Con Berlusconi torna la speculazione?
Per il momento le borse vanno giù e gli spread sono in forte crescita. L’inattesa accelerazione della crisi politica del governo Monti ha riportato l’Italia sotto i riflettori della speculazione. Quindi sembrerebbe essere si la risposta. C’è tuttavia da domandarsi perché, visto che i dati fondamentali sul piano economico non sembrano essere significativamente cambiati. Mentre sul piano politico, in sostanza si va verso l’anticipo del voto di poche settimane.
Ci sono diverse considerazioni da fare che esulano dal mero nuovo impegno politico del Cavaliere.
Innanzitutto, conviene partire dai dati economici. La Bce pochi giorni fa ha rivisto pesantemente al ribasso le previsioni: nel 2013 l’Europa intera sarà nel mezzo della recessione, e iniziano a sorgere dubbi anche sull’esistenza di un effettivo recupero nel 2014. Viene inoltre confermato il carattere asimmetrico della crisi, che ricade in misura maggiore sull’Italia e sugli altri paesi periferici dell’Unione. In uno scenario come questo, basta poco per far prevalere i venditori sul mercato finanziario.
Potrebbe essere che i mercati temano l'abbandono delle politiche di austerità ma è una semplificazione. I banchieri e gli speculatori sono affezionati alla lotta di classe, non all’austerity. Del resto, sanno bene che il tentativo di rimettere in equilibrio i conti dell’eurozona a colpi di tagli e tasse non sta funzionando. Basti guardare al rapporto tra debito pubblico e Pil: la cura Monti non lo ha ridotto ma anzi ha contribuito al suo aumento. La scommessa di fondo degli speculatori è un’altra, e riguarda le probabilità di sopravvivenza della zona euro.
Una mistificazione credere che il solo annuncio della discesa in campo di Silvio possa aver turbato a tal punto i mercati.
Non bisogna esagerare l’importanza di Berlusconi, un uomo che ha perso molto del suo potere e della sua credibilità. Ma direi che il suo ritorno potrebbe suscitare nuovi dubbi sulla tenuta futura della moneta unica europea. Non dobbiamo dimenticare che sul piano politico Berlusconi non ha mai avuto molto a che spartire con quell’aggregato d’interessi e di tradizioni che si organizza attorno al Partito popolare europeo, e con il suo europeismo.
Infatti ha sempre aggregato attorno a sé un coacervo di interessi diffusi e parcellizzati: piccole imprese, piccoli proprietari e rentiers, commercianti, eccetera. Questi soggetti hanno tratto beneficio dalla miscela di politiche di lassismo fiscale e di precarizzazione del lavoro che hanno lungamente caratterizzato l’azione dei suoi governi. Oggi però questo arcipelago di soggetti sociali soffre in modo particolare i vincoli monetari e fiscali ai quali l’Europa ci sottopone. Una campagna contro i danni dell’euro, di stampo vagamente nazionalista, potrebbe fare molta presa su queste categorie sociali.
Probabilmente Berlusconi giocherà in campagna elettorale la carta anti-europeista ma non solo. 
In fondo è un soggetto debole, in declino, è difficile dire fino a che punto potrà spingersi. È chiaro tuttavia che in termini generali sceglierà una linea di stampo anti-europeo, soprattutto se rinnoverà l’accordo con la Lega. Al di là delle sue possibilità di successo, questo posizionamento rappresenta un incentivo per i venditori sui mercati finanziari. Anche non dovesse avere successo. Perché incrinerebbe comunque, ulteriormente il consenso in Italia verso l’Europa. Man mano che il tempo passa e la crisi si aggrava, il fronte contro la moneta unica è destinato a ingrossarsi, e la fiducia sulla permanenza futura dell’Italia nella zona euro tende per forza di cose a deteriorarsi. Chi oggi si libera dei titoli scommette su questo: il solo aumento della probabilità di una uscita futura dell’Italia, e quindi di una ridenominazione dei titoli italiani in una moneta deprezzata, determina una caduta del loro valore atteso. E quindi spinge le vendite sul mercato.
Certo è che le probabilità che il Cavaliere possa vincere sono minime. Ma bisogna stare attenti, iFinancial Times lo ha spiegato bene. Berlusconi è solo un tassello di un puzzle più complessivo. È soltanto uno dei numerosi attori che oggi possono incarnare un sentimento anti-europeo, e che sanno di potere raccogliere nuovi consensi a seguito della crisi e del fallimento delle politiche di austerity. Per i gruppi d’interesse finanziari che tuttora scommettono sulla crisi della moneta unica, ogni nuovo sintomo di disgregazione dell’europeismo incentiva a fare speculazioni. Il fatto che l’ex-Presidente del consiglio della terza economia europea dichiari che l’uscita dall’euro non deve essere considerato un tabù, è solo uno degli ormai innumerevoli segnali di crisi del consenso intorno al progetto europeo. È in questa ottica che dobbiamo leggere i rimbalzi dei mercati. Senza sopravvalutare Berlusconi. Ma collocandolo dentro una scia di segnali. 
E' infatti possibile che già questa campagna elettorale finisca per organizzarsi lungo questa linea: europeisti da un lato e anti-europeisti di ogni sorta dall’altro…
L’arcipelago dell’anti-europeismo è molto articolato, ma si sta gonfiando. Questo è il punto. La polarizzazione intorno alla moneta unica potrebbe indurre le forze di sinistra ad assumere verso l’Europa un atteggiamento fideistico, acritico, fatto prevalentemente di retorica. Nel breve periodo questa strategia può anche pagare, ma una volta al governo la sinistra rischia di trovarsi in un vicolo cieco: costretta, costi quel che costi, a restar fedele ai tremendi vincoli che l’attuale configurazione della zona euro impone.
L’europeismo di sinistra oggi deve essere dialettico. Non si può lasciare ai soli movimenti di destra o vagamente nazionalisti la carta della critica dell’assetto dell’Unione. Un governo italiano sostenuto da forze di sinistra dovrebbe darsi un mandato preciso in Europa: chiarire in sede di trattativa con la Germania che il rischio concreto, che stiamo tutti correndo, è una crisi non solo della moneta unica ma anche del mercato unico europeo. Questa è l’ultima carta per tentare di mutare i rapporti di forza interni all’Unione. Se ci si affiderà invece a un europeismo acritico e indiscriminato, si pagheranno nel più lungo periodo pesanti conseguenze politiche.