L'ex procuratore aggiunto di Palermo sulla decisione della Corte Costituzionale: "Aveva ragione Zagrebelsky: le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto: la Consulta non poteva dare torto al capo dello Stato. Ma da quanto ho letto finora è un grosso pasticcio"

Antonio Ingroia
Una sentenza che ha prodotto “un paradosso”: “La corte oggi ci dice – prosegue Ingroia – che avremmo dovuto chiedere che le intercettazioni fossero rese pubbliche ordinando al gip di distruggerle senza depositarle. Ma il gip se guarda alla legge sa che non le può distruggere se non le deposita, quindi il gip avrebbe dovuto per forza depositare quelle intercettazioni che sarebbero finite sui giornali. Non so se era questo l’obbiettivo della corte e di Napolitano. Altra cosa se la Corte avesse detto stasera che in base all’ordinamento bisogna meglio tutelare la privacy del presidente e che quindi da ora in poi ci dovremo comportare in un certo modo. La sentenza in questo caso avrebbe avuto valore di legge, sarebbe stata condivisibile ma non paradossale. Questa sentenza invece è paradossale perchè suggerisce una prassi che ci obbliga di fatto a rendere pubbliche le intercettazioni, dopo averci esposto all’onta di un conflitto di attribuzione. Oggi siamo cornuti e mazziati”.
E adesso che succede? “Ora aspettiamo le motivazioni – conclude Ingroia – poi sulla base del dispositivo si attiverà la procedura. Bisogna aspettare per vedere come è scritta la sentenza. La verità è che aveva ragione Zagrebelsky: la Corte non poteva dare torto al capo dello Stato, le ragioni della politica non potevano non prevalere sulle ragioni del diritto”.
Da Il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2012