Una corsa contro il tempo, tra discussioni e critiche, che ottiene il primo successo. Il disegno di legge sulle Province ha ricevuto la fiducia al Senato con 160 sì e 133 no. Il testo ora passa alla Camera per l’ultima lettura. Solo poche ore prima la maggioranza era andata sotto per due volte in Commissione, ma nonostante le polemiche Matteo Renzi e il Partito democratico esultano. “Siamo consapevoli”, ha commentato il presidente del Consiglio, “che alcune Province lavorano bene, ma dobbiamo dare un segnale chiaro, forte e netto, con 3mila posti per i politici in meno. Questa è la premessa per dare speranza e fiducia ai cittadini e non è un caso che la riduzione di costi e posti della politica sia la premessa per restituire 80 euro ai cittadini”. Superare le province farà pur risparmiare “poco” ma intanto, ha osservato Renzi, fa sì che “tremila persone smettano di vivere di politica e provino l’ebbrezza di trovare un lavoro“. Senza contare che, secondo il premier, il passaggio è un preludio al compimento delle altre riforme: dalla riorganizzazione “radicale” della Pubblica amministrazione alla legge elettorale, dal tetto agli stipendi dei manager pubblici (“Piaccia o non piaccia, andiamo fino in fondo”), fino al superamento del Senato.
Entusiasta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio: “Poniamo le premesse per una nuova riorganizzazione dello Stato. Le Città metropolitane diventeranno il luogo dellacompetizione economica con le altre grandi aree europee e luogo di coordinamento efficace dei servizi pubblici. Le Province restano per ora solamente come agenzie di servizio ai Comuni e non più con funzioni duplicate per una pubblica amministrazione più efficiente e più semplice”. E ha aggiunto: “Un grande passo – sostiene Delrio -per un paese più semplice e capace di dare risposte alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese. Un passo che offre più opportunità con le Città metropolitane e che aiuterà i Comuni a lavorare meglio insieme. Non più sovrapposizioni di funzioni tra enti. Una riforma che l’Italia attende da trent’anni per quanto riguarda le Città metropolitane e che produce il superamento definitivo delle elezioni per le Province, oltre all’abolizione degli enti secondari di carattere provinciale”.
Il governo Renzi però al Senato ha ballato. Un risultato sul filo se si pensa che la maggioranza che disse sì alla nascita dell’esecutivo Renzi il 25 febbraio scorso poté contare su 169 senatori. E anche oggi ha rischiato: la richiesta di sospendere i lavori dell’Aula, avanzata in apertura di seduta dal sottosegretario Bressa per consentire ai tecnici di scrivere il maxiemendamento e al ministro delle Riforme Boschi di porre ufficialmente la questione di fiducia, è stata messa ai voti, per decisione di Linda Lanzillotta (Sc), ed è stata accolta sempre con 4 voti di scarto (134 sì, 128 no e due astenuti). Nel caso poi l’istanza di sospensione fosse stata respinta, l’Assemblea avrebbe dovuto fare i conti con la richiesta sospensiva (del testo) annunciata nel frattempo dal leghista Roberto Calderoli. Per evitare rischi e per “poter sbandierare la bandierina del taglio delle province in vista del voto per le Europee”, hanno sottolineato più volte in Aula i senatori M5S, il governo gioca la carta del voto di fiducia. E passa con Forza Italia che non sembra intenzionata a fare delle vere e proprie barricate. Tra ieri e stamattina le assenze “azzurre”, si spiega nel centrodestra, dimostrano che in Fi non si intende creare veri problemi . E alla fine rientra anche il dissenso dei centristi. L’unico che vota contro è Maurizio Rossi, mentre Tito Di Maggio, dopo un durissimo intervento contro il testo, preferisce alla fine lasciare l’Aula.
Il testo che ora arriverà a Montecitorio prevede una riforma delle attuali Province: parte di queste diventeranno enti di secondo livello, non avranno più consiglieri eletti direttamente e avranno alla loro guida i sindaci, infine ci sarà l’introduzione di dieci “Città metropolitane“. Un intervento che secondo il piano del sottosegretario Delrio dovrebbe portare a circa 160 milioni di risparmio,mentre secondo i dati della Corte dei Conti, citati da lavoce.info, se si contano le strutture uscite dalle riforme del 2011 l’intervento comporterà solo 35 milioni di risparmio. Sui numeri si scaglia anche Forza Italia che contesta le quasi 3000 indennità eliminate secondo Renzi. La deputata FiElena Centemero: “Dal ddl Delrio non derivano né una semplificazione né grandi risparmi, tanto più che i politici che operano nelle province e non verranno più pagati non sono i 3000 di cui parla Renzi ma 1722″.
Un disegno di legge discusso e contestato da molte parti, dall’opposizione fino ai protagonisti delle istituzioni. “Il ddl è assolutamente insufficiente”, ha commentato Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino e Unione delle Province d’Italia, “pieno di contraddizioni, crea solo confusione e incertezza sulle competenze. E non abolisce le Province, che alla fine saranno ancora 107, con meno competenze e funzioni, e più confusione. Cambierà solo il sistema elettorale che diventerà di secondo grado. E poi il ddl non prevede tempi brevi per il passaggio di consegne, e quindi l’idea è che si andrà avanti di proroga in proroga”. E Saitta sottolinea anche che “il ddl prevede che nella riorganizzazione delle competenze qualche funzione vada anche alle Regioni, sul futuro delle quali è in atto una discussione; quindi, si danno delle competenze che poi è possibile che torneranno indietro”. Il provvedimento è contestato da più parti: da chi vorrebbe tenere in vita il sistema attuale, da chi lo considera troppo tenero e da chi, preoccupato del riordino delle competenze, ritiene necessario un ddl costituzionale. La commissione Bilancio al Senato ha espresso un parere non ostativo molto articolato, con cinque condizioni di copertura su altrettanti articoli o parti di essi, e sei osservazioni. In particolare, nel parere si segnala che “varie disposizioni del provvedimento tendono inevitabilmente ad ampliare i margini di discrezionalità del governo nella predisposizione dei decreti attuativi”. La commissione Bilancio ha anche avanzato osservazioni sul rischio che con questo ddl aumentino i costi per lo Stato. “Non può escludersi – si legge – la duplicazione di costi e funzioni” dalla norma che “consente l’elezione diretta del sindaco e del Consiglio delle Città metropolitane”.
Il Partito democratico ostenta entusiasmo nonostante le polemiche. “Il ddl Delrio”, ha commentato il presidente del gruppo al Senato Luigi Zanda, “è il primo tassello di un complesso di riforme istituzionali che comprende anche le modifiche al titolo V della Costituzione, la fine del bicameralismo perfetto con la trasformazione del Senato, la nuova legge elettorale e l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti votata qualche settimana fa. Queste riforme elencate in sequenza dimostrano che c’è una forte idea di cambiamento. E quando il processo di riforme istituzionali sarà terminato, la forma dello stato italiano sarà diversa“. Il capogruppo di “Per l’Italia” Lucio Romano ha annunciato il sì alla fiducia al governo Renzi, esprimendo invece numerose perplessità. “Siamo del tutto consapevoli della necessità di una politica concretamente innovatrice che riduca costi e pesi delle rappresentanze istituzionali. Anche se avremmo auspicato un provvedimento più incisivo e una riduzione certa dei costi. Teniamo però conto dei rilievi formulati dalla Corte dei Conti, dei legittimi interrogativi sull’opportunità di creare città metropolitane sostanzialmente sovrapponibili ad alcune province e soprattutto della necessità di far seguire il riordino in discussione oggi alla riforma del Titolo V della Costituzione“. “Tuttavia -ha concluso il capogruppo- votiamo la fiducia, perchè convinti della necessità di affermare ancora una volta che questa maggioranza è tenuta insieme da un forte collante riformatore e dalla convinzione di guardare costruttivamente al futuro”.
Abolizione delle Province: la "bufala" di Renzi
Renzi "taglio le tasse!"....O bischero!!! e le coperture?
ITALICUM: l'algoritmo della CASTA per salvarsi la POLTRONA
La Camera dei Deputati ha approvato, tra le decine di voti effettuati ieri, l’algoritmo che permette la distribuzione dei seggi della nuova legge elettorale. La formula matematica che fa funzionare l’Italicum è però particolarmente controversa, visto che non permetterà ai candidati più votati nelle varie circoscrizioni di avere la certezza dell’elezione. Come rimarca un articolo del “Fatto Quotidiano” di oggi, l’algoritmo dell’Italicum si è meritato il soprannome di flipper “perché forze politiche di un certo spessore non sapranno in quale collegio eleggeranno i loro parlamentari perchè il meccanismo dei resti farà muovere i dati come una pallina del flipper”. In pratica potrà succedere che in collegi dove un partito ha preso più voti potrà risultare senza eletto, con il meccanismo dei resti che trasferirà il seggo al collegio dove la stessa lista ha raccolto meno consenso. Un meccanismo particolarmente penalizzante per i piccoli partiti, ma non solo. Ecco uno schema relativo ai risultati 2013, con attribuzione del premio di maggioranza al PD, e come verrebbero assegnati i seggi alla lista Monti nella circoscrizione Piemonte, elaborato dall’ufficio studi della Camera dei Deputati.
In blu ci sono gli eletti, e come si nota essi sono distribuiti in modo non ordinato rispetto ai consensi distribuiti, bensì ai trasferimenti degli scarti relativi ai quozienti di maggioranza e minoranza.
Un altro esempio relativo alla circoscrizione Lombardia mostra il meccanismo del flipper, con uno scambio tra Pdl e M5S che non rispetta l’ordine del voto effettivo, ovvero quale lista abbia preso più consensi nei vari collegi. ” Come mostra la tabella seguente, in tre collegi della circoscrizione Lombardia la lista ‘deficitaria’ (PDL) non ha potuto ‘ricevere’ il seggio in un collegio dove avrebbe potuto ‘cederlo’ la lista eccedentaria Mov. 5 Stelle; seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali contrassegnate in neretto su fondo verde, si vede come in quei collegi la lista PDL non ha potuto ricevere il seggio di cui era deficitaria perché la propria parte decimale ha già dato luogo ad attribuzione di seggio. Per completare l’assegnazione dei seggi spettanti alla lista PDL è stato necessario attribuire il seggio in altro collegio, dove la parte decimale NON ha dato luogo alla attribuzione di seggio: il seggio che era attribuito alla parte decimale della lista Mov. 5Stelle nei collegi 16, 19 e 18 è attribuito alla lista PDL, rispettivamente, nei collegi 9, 10 e 2. Al termine delle assegnazioni, tre dei 24 collegi plurinominali [ 2, 9 e 10 ] eleggerebbero tra i propri candidati un deputato in più di quanti spetterebbero loro per l’assegnazione in base ai residenti e, corrispettivamente, tre altri collegi [ 16, 18 e 19 ] eleggerebbero tra i propri candidati un deputato in meno.”
Un meccanismo così casuale che disciplina l’elezione dei singoli deputati è probabilmente la principale motivazione per cui un deputato potrà candidarsi in ben otto circoscrizioni diverse.
Renzi: il grande Bluff !!!
Ma di che discutiamo?
Ci viene da chiedere: e se il pregiudicato non è d’accordo,ma la maggioranza che governa sì, che facciamo? In un paese normale si riunirebbe la maggioranza e andrebbe avanti. In realtà la vera maggioranza è quella nata dal patto fra Renzi e Berlusconi che ha partorito una pessima legge elettorale e che influenza nel profondo le scelte di politica economica e sociale. Perché lo ” studiare” di Renzi è un bluff.
Eugenio Scalfafi,appunto,nell’editoriale domenicale riporta una conversazione con Enrico letta da cui si ricava che: Il cuneo fiscale già figura nella legge di stabilità approvata dal Parlamento e prevede una riduzione di tre miliardi per il 2014 e di dieci miliardi per il 2015. Il pagamento dei debiti dalla pubblica amministrazione alle imprese è già contabilizzato e i fondi già stanziati per 20 miliardi da erogare questo anno. La legge di stabilità ed altre leggi specifiche prevedono una serie di investimenti da parte di imprese pubbliche, a cominciare da Rete Imprese, dalla Fincantieri e da altre aziende.
Importanti anche gli impegni presi dalla Commissione europea che è disponibile a fornire fondi per la crescita economica e per l’equità sociale per somme rilevanti, da destinare al nuovo sistema di ammortizzatori sociali e di investimenti pubblici e privati. L’obiettivo è di ridurre le imposte sul lavoro e ripristinare con norme semplificate il credito di imposta per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Questi i fatti che editorialisti, commentatori, professori universitari che si improvvisano economisti, ignorano. Nei media silenzio assoluto. Nei talk show televisivi non c’è spazio.
Verso le elezioni europee. I Democratici attorcigliati sulle candidature
E il Pd? La minoranza, o meglio le minoranze, hanno qualcosa da dire? Se c’è una sinistra, forse, dovrebbe uscire dal politicismo, portando voci di chiarezza in un partito in evidente stato confusionale. L’adesione al Pse vuol dire qualcosa o no? Martin Schulz al congresso di Roma ha detto parole di sinistra. Ha aperto la campagna elettorale. Il Pd non ha ancora un embrione di lista. In quasi tutti gli altri Paesi ii capolista sono già ai nastri di partenza. Tanti sono i ” clienti” cui Renzi deve qualcosa. Può un grande partito fossilizzarsi in una discussione sul fatto se D’Alema sarà o no candidato? Dimenticando , magari, che proprio Massimo D’Alema è il presidente della Fondazione dei partiti socialisti e democratici, fa parte della Direzione del Pse, che è colui che più di ogni altro ha lavorato per il rinnovamento del Pse, oggi in grado di competere e di vincere le prime elezioni per il presidente della Commissione europea. Interessa qualcosa al Pd? O meglio all’Italia?
Ora FATTI, basta PAROLE: Renzi lasci la società di famiglia e il trucco per la doppia pensione
Matteo Renzi, ora che ha ottenuto la fiducia, dovrebbe fare un gesto fondamentale per la sua credibilità: dimettersi dalla società di famiglia. Come il Fatto ha già scritto, Renzi ha ottenuto ildiritto alla pensione grazie a un trucco: nel 2003, quando l’Ulivo decise di candidarlo allaProvincia di Firenze (elezione sicura nel giugno 2004) Renzi si fece assumere dalla società di famiglia nella quale era un semplice collaboratore. La Chil Srl si occupava di marketing e vendita dei giornali ai semafori con gli strilloni. Il padre e la madre l’avevano fondata nel 1993 e avevano ceduto nel 1997 le quote ai figli Matteo (40 per cento) e Benedetta (60 per cento). Quando matura la candidatura alla Provincia, Matteo è solo un co.co.co. Se fosse rimasto un collaboratore non avrebbe maturato i 10 anni di contributi pensionistici da dirigente né avrebbe avuto diritto alle cure mediche gratuite e al Tfr.
Per regalare questo vantaggio al figliolo, babbo Tiziano e mamma Laura lo assumono e lo pagano come dirigente per pochi mesi, per poi metterlo in aspettativa. Così i contributi sono a carico della Provincia, e del Comune dal 2009, che nel 2013 pagava 3mila e 200 euro al mese per il suo sindaco. Così, grazie a una somma stimabile in circa 350mila euro versata dagli enti locali per lui in dieci anni, Renzi oggi è un trentenne fortunato dal punto di vista assistenziale e pensionistico.
Se non può essere definita una truffa allo Stato, quella realizzata da Renzi, è una truffa alla ratio, allo scopo alto dello Statuto dei lavoratori del 1970. Il dubbio che sorge leggendo la cronologia di quelle giornate è che nel 2003 abbia usato la norma nata per garantire la partecipazione alle elezioni ai lavoratori per ottenere una pensione e un Tfr ai quali – fino a pochi giorni prima della sua candidatura – non aveva diritto.
Il 17 ottobre 2003 Matteo Renzi e la sorella vendono le quote della Chil alla mamma e al papà. Il 27 ottobre mamma Laura assume in Chil l’ex socio Matteo. Il co.co.co. diventa dirigente un giorno prima che l’Ansa batta la notizia: “Il coordinatore provinciale della Margherita Matteo Renzi per la presidenza della Provincia di Firenze e Leonardo Domenici per la poltrona di sindaco della città sono le candidature proposte alla coalizione dalla Margherita”. Il 30 ottobre, tre giorno dopo l’assunzione, l’Ansa racconta “la positiva accoglienza degli alleati della candidatura a presidente della Provincia del giovane Renzi”. Il 4 novembre, 8 giorni dopo l’assunzione, arriva l’ufficializzazione. Quello stesso anno anche il sindaco di Tortona, Francesco Marguati, viene eletto e assunto nella società di famiglia. Però nel 2008 Marguati e la figlia Michela sono staticondannati in primo grado a 16 mesi e 8 mesi per concorso in truffa aggravata ai danni del Comune. Il sindaco si era fatto assumere dalla figlia 22 giorni prima di assumere la carica. Per il pm, un rapporto di lavoro fittizio che “costava” al Comune 23 mila euro all’anno di contributi. Ogni storia fa caso a sé e comunque nel 2010, la Corte d’Appello di Torino ha assolto l’ex sindaco di Tortona. Intanto, nell’ottobre 2010 quando la Chil Srl viene ceduta, il ramo d’azienda con dentro il sindaco in aspettativa resta in famiglia: Matteo viene ceduto con il ramo marketing alla Eventi 6 della mamma e delle sorelle. Così il Tfr pagato dai contribuenti fino al 2010, pari a 28.300 euro, resta in famiglia.
Renzi non è l’unico furbetto: Josefa Idem è stata assunta dall’associazione del marito 15 giorni prima della sua candidatura nel 2006, Nicola Zingaretti è stato assunto dal comitato del Pd alla vigilia della sua candidatura ed entrambi sono usciti indenni dalle denunce. L’ex assessore provinciale di Vicenza, Marcello Spigolon, è stato rinviato a giudizio per truffa. Le vicende e le interpretazioni dei magistrati sono diverse ma la questione non è giudiziaria bensì politica. Renzi deve dimettersi dalla Eventi 6 perché la storia della sua pensione a sbafo da martedì non è più un peccato di gioventù.
Oggi Renzi è il presidente del Consiglio, ha diritto a una retribuzione (tra indennità e diaria) di circa 12mila euro lordi con un trattamento pensionistico simile a quello dei parlamentari. Entro il 2018 sarà quasi certamente parlamentare e alla fine della carriera avrà diritto al vitalizio. In qualità di dirigente in aspettativa della Eventi 6 potrebbe perseverare nella sua furbata anche a Palazzo Chigi. L’unica differenza è che da oggi la quota di contributi del dipendente (pari al 9 per cento) non sarà versata dal datore di lavoro pubblico, come accadeva con Provincia e Comune, ma da Renzi stesso. Se deciderà di restare dirigente in aspettativa della società di famiglia fino alla fine della sua carriera Renzi si ritroverà una doppia pensione e un doppio Tfr. La scelta sta a lui. Da oggi può chiedere sacrifici ai pensionati d’oro, agli esodati o ai giovani che non avranno mai una sola pensione. Con quale faccia potrà farlo se continua a costruirsi una doppia pensione con untrucchetto?
Da Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio 2014