"Il nostro Paese è tra gli ultimi per la qualità delle sue infrastrutture digitali, per il numero di cittadini connessi alla rete così come per la velocità di download (93°, dopo le Fiji) e di upload (143°, dopo il classico Trinidad e Tobago). La politica, essendo espressione delle lobby dell’editoria televisiva e temendo la diffusione di contenuti multimediali concorrenti non meno della diffusione della conoscenza e dell’informazione libera, ha non solo disincentivato nel passato l’evoluzione digitale della nostra economia, ma la ha proprio decisamente ostacolata grazie al non adeguamento delle normative e alla continua minaccia, spesso ma non sempre disinnescata grazie alla mobilitazione di blog e associazioni, di atti legislativi ostili. Quello che il partito del rottamatore di Arcore è riuscito a fare in pochi mesi di legislatura contro le libertà digitali ha dell’incredibile.
La web tax
La Commissione Bilancio alla Camera ha approvato un emendamento di Edoardo Fanucci (Pd)) alla Legge di Stabilità, sostenuto dal presidente della CommissioneFrancesco Boccia (Pd), che istituisce la cosiddetta Web Tax. Recita così: «i soggetti passivi che intendano acquistare servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana». Cosa significa? Che d’ora in poi non potremo più acquistare merce o software o servizi di qualunque tipo da siti che non abbiano aperto una partita Iva italiana. Quello che non esiste da nessun’altra parte in Europa, da noi sta per diventare realtà. Da Amazon a Google a qualunque altra impresa anche piccola, magari operante dall’altra parte del globo: saremo tagliati fuori da tutto, perché è evidente che il servizio che sarà disponibile agli altri cittadini europei, fornito magari da una piccola società del Michigan, a noi sarà precluso, essendo nei fatti impossibile dall’estero espletare tutte le pratiche previste dalla burocrazia italiana per sobbarcarsi l’onere di una posizione fiscale nel Paese più tartassato e oberato di scartoffie amministrative del mondo civilizzato. Ed è ipotizzabile che anche i giganti del web, che trovano nell’Italia un mercato del tutto marginale, possano abbandonarlo a se stesso per concentrarsi su territori meno oscurantisti e più redditizi. Vero è che oggi i colossi digitali fatturano nei paesi fiscalmente più convenienti, come l’Irlanda, ma nell’era dell’integrazione politica a tutti i costi, vuoi vedere che l’unica soluzione che non si può trovare a livello comunitario è quella di un riequilibrio delle politiche fiscali? Ci crede così poco, Letta, all’Unione Europa alla quale sacrifica ogni politica nazionale diversa da quella digitale?
Contro i motori di ricerca
Ma la scure della Santa Inquisizione democratica non si ferma. Nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, il proverbiale “venerdì 13”, il governo delle ex larghe intese (“Tesoro, mi si sono ristrette le intese”) ha varato un decreto che sferza un altro micidiale colpo sui motori di ricerca e sulla stessa libertà di informazione. Sotto evidente dettatura delle morenti lobby dell’editoria cartacea, viene incredibilmente sancito che prima di "linkare, indicizzare, embeddare, aggregare" un contenuto giornalistico è necessario chiedere il permesso all'editore. Avete capito bene: la fine dei provider di ricerca che indicizzano le ultime notizie per poi rimandarvi eventualmente alla fonte (viene in mente Google News). Ora dovranno stringere accordi preventivi con gli editori, che si possono immaginare economicamente svantaggiosi. Ma se quel “linkare ed embeddare” evoca sinistri presagi che aleggiano sui blog, i quali si ritroveranno a domandarsi se possono ancora inserire collegamenti ipertestuali agli articoli dei giornali, o citarne stralci, senza dover essere costretti a firmare improbabili contratti con Rcs o con il Gruppo Editoriale l’Espresso, quell’”aggregare” evoca scenari esilaranti nei quali potrebbero diventare illegali in un colpo solo tutti i feed reader privi di autorizzazione e trasformare i vostri pc in tante pericolose rotative clandestine. Un ennesimo regalo all’editoria e un inesplicabile duro colpo allo sviluppo della cultura della circolazione delle informazioni, attuato per decreto e ancora una volta senza il coinvolgimento del dibattito parlamentare.
Il sorpruso antidemocratico dell'AGCOM
E senza alcun dibattito parlamentare si è consumato un vero e proprio sopruso, un atto autoritario, antidemocratico e probabilmente anche incostituzionale, perpetrato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom), che il 12 dicembre ha varato una delibera che non ha precedenti altrove nel mondo e che consegna la libertà di pensiero al suo antagonista storico, l’insieme dei gruppi di pressione che tutelano il copyright, eliminando con un colpo di spugna l’attribuzione del potere giudiziario ai magistrati e conferendolo agli avvocati delle lobby, i quali in presenza (a loro insindacabile giudizio) di “un'opera, o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d'autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica”, potranno segnalarla all’Agcom che nel giro di pochi giorni potrà ordinare agli internet provider di oscurarla o rimuoverla. Per chi si illudeva che anche il nostro Paese, un giorno, avrebbe visto la nascita di un principio sacrosanto come quello del Fair Use, in vigore altrove, che consente ai cittadini di diffondere stralci di opere protette dal diritto di autore al fine di realizzare un dibattito o di stimolare una discussione attinente, la delibera Agcom appena emanata rappresenta la fine di ogni speranza. Tutto, qualunque contenuto presente in rete, secondo le definizioni di cui sopra, potrà essere oggetto di rivendicazione da parte degli editori. Un video su internet che contiene alcuni spezzoni di un telegiornale o di un servizio giornalistico, una foto pubblicata su un blog, anche se modificata in senso umoristico, magari elaborata a comporre un fotomontaggio, uno stralcio di articolo tratto da un giornale, l’audio del saggio di pianoforte di vostra figlia nel quale l’editore dello spartito riconosce l’uso della diteggiatura da lui depositata, tutto potrà risultare in una segnalazione effettuata all’Agcom che potrà ordinare al vostro hosting provider, o magari a YouTube, di cancellare il vostro blog in tutto o in parte, così come il vostro video. E poiché il provider o il fornitore di servizi di condivisione che nel volgere di pochissimi giorni non dovesse ottemperare, si troverebbe a pagare una sanzione che può arrivare fino a 250mila euro, si può tranquillamente puntare sul rosso e scommettere sul fatto che le segnalazioni inoltrate dall’Agcom verranno immediatamente tradotte nella rimozione dei contenuti controversi, e magari nell’oscuramento di tutto il sito. Interi blog di informazione, pieni di citazioni, di clip multimediali e di composizioni fotografiche, potrebbero scomparire dal 1 di aprile, data di entrata in vigore della normativa. Scavalcando a volo d’uccello l’unico potere che secondo la Costituzione può limitare la libertà di espressione: la magistratura. E purtroppo non si tratterà di un pesce d’aprile. Ed è notizia dell'ultima ora che, in un documento confidenzialeinviato al Governo italiano nientemeno che dal vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic, Commissario alle relazioni istituzionali, si chiede alle autorità italiane di chiarire in che modo intendono garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini nell'applicazione del regolamento Agcom.
Tasse su smartphone, tablet e pc
Come se non bastasse, sempre nell’ottica di agevolare lo sviluppo delle nuove tecnologie e la diffusione della cultura digitale, il decreto del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso ha escluso l’editoria elettronica (i produttori di ebook) dalle incentivazioni per l’editoria. E ha già annunciato che la settimana prossima varerà un nuovo decreto che imporrà balzelli sugli smartphone, sui tablet e sui pc, per un ammontare complessivo che nel 2014 assommerà a cento milioni di euro. Anziché spingere l’Italia e gli italiani verso la modernità, nel doveroso tentativo di mettersi perlomeno in scia con il progresso tecnologico che sostiene i popoli degli altri paesi del mondo nella loro domanda di competitività, il “progressista”
Enrico Letta assesta con il suo Governo i colpi più devastanti che la storia degli attacchi alla Rete in Italia ricordi, caratterizzandosi come uno degli alfieri delle lobby più cinico e spietato, e come uno dei nemici della conoscenza distribuita, dell’innovazione e della mobilità sociale che le nuove tecnologie consentono più ostile e oscurantista. Quanto costerà tutto questo alla nostra economia, in termini di ritardo nello sviluppo e dunque in termini di ulteriore perdita di produttività, purtroppo, lo scopriranno ancora una volta i nostri figli."
WEB TAX, tasse su SMARTPHONE E TABLET. Ecco cosa fa di NASCOSTO il governo LETTA.. mentre TUTTI i TG CONNIVENTI tacciono !!!
Abusivismo parlamentare: 945 parlamentari illegittimi! Dimettetevi!
Il Porcellum è illegittimo, dice la Corte costituzionale. Bocciato il premio di maggioranza, bocciate le liste bloccate. Si ritorna al proporzionale con soglia di sbarramento.
Ma non rivive il Mattarellum, come voleva un drappello di giudici costituzionali, perché la Consulta indica la necessità delle preferenze, non previste nel vecchio sistema.
Accoglie in toto il ricorso contro la legge elettorale del 2005, l’Alta Corte. Ma nella lunga camera di consiglio è battaglia. Perché dopo il voto unanime sull’ammissibilità del ricorso e poi sull’eliminazione del premio di maggioranza, sulla terza questione ci si spacca 7 a 8.
Sembra che i giudici più vicini alla sinistra, dal presidente Gaetano Silvestri a Sabino Cassese e Giuliano Amato ( di nomina presidenziale), allo stesso Sergio Mattarella (scelto dal parlamento e padre del sistema precedente), volessero che l’Alta Corte affermasse che abolite le liste bloccate ci fosse la «reviviscenza» del vecchio sistema. Ma la manovra non sarebbe riuscita perché si sarebbero opposti lo stesso relatore Giuseppe Tesauro, il vicepresidente Sergio Mattarella, i giudici Paolo Maria Napolitano, Giuseppe Frigo e altri scelti da Cassazione e Consiglio di Stato.
La sentenza è una batosta pesante che colpisce il parlamento inefficiente, i partiti divisi e la Casta dei politici che non hanno finora trovato un accordo sulla riforma. La Consulta dà, in sostanza, tre settimane alle Camere per correre ai ripari: il tempo necessario di solito per il deposito delle motivazioni della sentenza, perché solo da quel momento ne decorreranno «gli effetti giuridici».
E agli occhi di tutti apparirebbe l’illegittimità dei mille eletti con un sistema incostituzionale.
Una lunga discussione in camera di consiglio, iniziata in mattinata e proseguita, dopo una breve pausa, nel pomeriggio fino a poco prima delle 18, porta la Consulta a una decisione dai pesanti effetti politici sulla composizione delle Camere, sull’entità della maggioranza e sullo stesso governo.
Un verdetto che per alcuni accorcia le prospettive di questa legislatura e avvicina un voto anticipato, per altri potrebbe congelare il quadro in attesa della riforma. Crea comunque instabilità e incertezza.
La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme sul premio di maggioranza, per Camera e Senato, attribuito alla lista o alla coalizione che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e non abbiano avuto almeno 340 seggi a Montecitorio e il 55 per cento dei seggi assegnati a ogni regione, a Palazzo Madama. Contrarie alla Carta anche le norme sulle liste «bloccate»,perché non consentono all’elettore di dare una preferenza.
Nel comunicato stampa la Corte precisa che «nelle prossime settimane» si conosceranno le motivazioni del verdetto, che avrà solo allora i suoi effetti. E sottolinea, per non dare l’impressione di un’usurpazione di poteri, un’ovvietà: «Resta fermo che il parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali ». Scelte che, in teoria, potranno essere diverse dall’orientamento della Corte. Sarà la politica a dettarle. Esulta l’avvocato Aldo Bozzi, legale dei cittadiniche hanno promosso il ricorso trasmesso dalla Cassazione: «Quattro anni di battaglie andate a buon fine - dice -. Siamo tornati a essere cittadini e non dei sudditi. E adesso non si crea nessun vuoto giuridico ». Per Bozzi, si potrebbetornare al Mattarellum e andare a votare «in estate». Ma non è d’accordo l’altro avvocato dei ricorrenti, Felice Carlo Besostri: «Se la politica non interverrà con una nuova legge elettorale spiega-, farà sì che alle prossime elezioni si andrà a votare con una legge proporzionale con soglie di accesso e la possibilità di dare una preferenza».
Lo squilibrio nelle pensioni di anzianità
L’iniquità del sistema pensionistico italiano ha le sue radici nei privilegi di alcuni settori, nelle pensioni (di anzianità) più alte, nel loro numero e nel sistema di calcolo retributivo. Abbiamo calcolato lo sbilanciamento tra prestazioni contributive e retributive dal 2008 al 2012.
Il confronto sulla legge di stabilità ha avuto il merito di portare alla luce la grande iniquità distributiva che caratterizza il nostro sistema pensionistico.
Ed ecco che i giornali con grande stupore scoprono che la distribuzione delle pensioni in Italia ha un che di “brasiliano”: al 5 per cento dei pensionati più ricchi (800 mila persone su 16 milioni) va più del 16 per cento del totale della spesa per pensioni (43 miliardi su 270).
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA
Ma possiamo anche sottolineare come nei cinque anni della crisi sono andati in pensione (previdenziale) circa 1,6 milioni di persone, con un costo complessivo pari a 31 miliardi a regime (cioè nel 2012), e che di questi 31 miliardi ben l’80 per cento della spesa (e cioè 24 miliardi) è andato a 717 mila persone che hanno avuto le pensioni più alte, con medie di 2600 euro o importi più elevati. Molti di questi hanno poi continuato a lavorare cumulando (legalmente) pensione e reddito.
Ma il welfare italiano non è solo il paese per ricchi che qui abbiamo descritto ed è popolato anche da quelli più sfortunati. Gli sfortunati sono coloro che dovranno aspettare a volte senza poter lavorare non la pensione di anzianità appannaggio di chi lavora con carriere piene alle spalle, ma la pensione di vecchiaia, improvvisamente portata a 67 o 70 anni.
L’iniquità distributiva del sistema pensionistico italiano ha le sue radici principali nei privilegi di alcuni settori, nelle pensioni (di anzianità) più alte, nel loro numero preponderante negli anni 2000 e nel sistema di calcolo retributivo che ha consentito trattamenti insostenibili.
I DATI DELL’INIQUITÀ
Ma quale è stato il meccanismo che ha prodotto tutto ciò, e come si può quantificare questa “iniquità”?
In uno studio in procinto di pubblicazione che abbiamo recentemente presentato all’Università La Sapienza di Roma abbiamo illustrato i risultati di un modello che valuta lo sbilanciamento tra prestazioni contributive e retributive delle pensioni erogate dal 2008 al 2012 stimando in tal modo quanto è stato effettivamente sulle pensioni di anzianità liquidate negli ultimi cinque anni e valutandone anche il costo in termini di spesa complessiva effettiva.
Per fare ciò sono state utilizzate come benchmark le pensioni medie per ogni scaglione di reddito ricalcolate secondo le regole del contributivo. L’eccedenza della pensione percepita rispetto a questo benchmark costituisce la pensione “in squilibrio” rispetto ai contributi accreditati.
Per calcolare le pensioni contributive è stata ricostruita la serie delle retribuzioni con i relativi contributi in tutta la vita attiva, utilizzando come anzianità contributiva quella media effettiva, circa 38 anni, e ipotizzando un andamento della retribuzione pari a quello medio di fatto effettivo, più un profilo di carriera individuale, differenziato in relazione al livello di retribuzione dell’ultimo anno, che abbiamo stimato sulla base di analisi empiriche (longitudinali). Vediamo i principali risultati.
La platea sulla quale facciamo la valutazione è costituita dalle pensioni di anzianità maturate tra il 2008 e il 2012 da circa 486 mila lavoratori dipendenti privati pensionatisi in media a 58,5 anni, tra il 2008 e il 2012, per un importo medio di quasi 2000 euro lordi. La spesa per questa platea è stata di 12 miliardi di euro nel 2012. Il 37 per cento di questi pensionati è collocato sopra i 2000 euro e percepisce un totale di 7 miliardi pari quasi al 60 per cento della spesa.
I risultati dello squilibrio sono riportati nella tabella 1, sia in termini di pensione mensile sia di spesa totale. La parte non “giustificata” dai contributi pagati è in media pari al 28 per cento circa e si concentra principalmente nella fascia delle pensioni più alte, dove il 37% dei pensionati, quelli con più di 2500 euro mensili, accumula il 63 per cento dello squilibrio complessivo.
Tabella 1 – Squilibrio dei contributi nelle prestazioni pensionistiche
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DOVE SI ANNIDANO GLI SQUILIBRI
Per le pensioni dei lavoratori dipendenti privati maturate dopo il 2008, sui circa 12 miliardi di spesa pensionistica circa 3,5 miliardi non sono “giustificati” dai contributi pagati (1). In particolare l’entità dello squilibrio diminuisce all’aumentare dell’età di pensionamento per effetto della minore speranza di vita nel calcolo contributivo. Infatti per le pensioni percepite all’età di vecchiaia (di cinque anni più alta in media di quella di anzianità) lo squilibrio è minore ed è in media pari al 15 per cento.
Questi valori crescerebbero includendo anche i dipendenti pubblici (2). Per le sole pensioni di anzianità, vi sarebbero quindi ulteriori 2,5 miliardi che porterebbero il totale dello squilibrio (solo per le pensioni di anzianità maturate dal 2008 al 2012) a circa 6 miliardi di euro annui nel 2012.
È opportuno sottolineare che per le pensioni superiori a 44 mila euro annui si è valutato anche l’effetto di riduzione dello squilibrio causato dall’operare del “tetto” sull’aliquota di rendimento che attenua il valore delle pensioni retributive più alte. Il grafico evidenzia come, al crescere della retribuzione oltre i 5 mila euro mensili, lo squilibrio percentuale cominci a ridursi.
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Questi dati evidenziano una situazione di grande iniquità distributiva nella quale lo stato trasferisce risorse ingenti per sostenere le pensioni più opulente e godute in età anteriori a 60 anni. Si è osservato da alcune parti che le pensioni di anzianità sarebbero state principalmente la “compensazione” al lavoro operaio e precoce. Non è così: nel milione di persone circa (tabella 2) che è andato in pensione di anzianità, tra il 2008 e il 2012 compresi i dipendenti pubblici e gli autonomi, le pensioni inferiori ai 1500 euro mensili, che comprendono verosimilmente quelle degli operai, sono solo il 18 per cento, ed hanno complessivamente il 10 per cento della spesa pensionistica.
Tabella 2 – Pensioni di anzianità dipendenti e autonomi liquidate dal 2008 al 2012 per classi di reddito inferiori e superiori a 1500 euro mensili
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Lo stupore per queste cifre può ancora lasciare spazio a chi pensa che si possa contribuire a rilanciare l’economia italiana attraverso una politica capace di connettere politiche del welfare e mercato del lavoro, ristrutturando e non tagliando la spesa pubblica. Si può partire aggredendo il nodo del sistema previdenziale, mettendo in campo un’operazione di verità sulle pensioni che scopra i margini per un intervento redistributivo al suo interno e che favorisca l’occupazione, tuteli i più deboli, eliminando iniquità e privilegi: un modo efficace per sostanziare la retorica del “circuito virtuoso tra equità e sviluppo”.
(1) Ci si riferisce ai risultati medi e casi particolari dovuti a profili di carriera che, ad esempio, non crescono negli ultimi anni abbiano squilibrio inferiore o nullo e viceversa.
(2) le cui pensioni medie di anzianità sono mediamente più alte del 20 per cento di quelle dei privati.
Ecco perchè l'Austerity è inutile! Quello che i media collusi non dicono! Svegliamoci!
C'è un famoso aforisma di Henry Ford che cito:
"E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina." Bisognerebbe chiedersi per chi sia un bene? Scommetto che molti sanno la risposta, ma ancora una volta si nasconderanno dietro le barriere dell'immobilismo e dell'oscurantismo, piaghe sociali queste di cui i mass-media ne sono emblematici portatori.
La Biancofiore prima si dimette, poi grida all’epurazione. Come giocare sulla pelle del popolo italiano
Convinta che nessuno, come al solito, l’avrebbe presa sul serio, l’impagabile Micaela Biancofiore aveva rassegnato le dimissioni da sottosegretario alla Semplificazione e allo Sport. E? accaduto invece che il premier Letta queste dimissioni le ha accettate, anche perchè -ha spiegato- la Biancofiore, a differenza dei ministri Pdl, non le aveva ritirate successivamente al dietrofront di Berlusconi sulla sfiducia. Risultato: visto che vuole uscire dal governo, si accomodi. Povera Biancofiore! Oggi ha scoperto di essere l’unica a rimetterci il posto. Così, di un colpo, la più dura dei duri s’è velocemente cambiata d’abito, indossando la maschera della vittima: “Chiedo a Alfano se si tratta di epurazione o di mobbing”, ha dichiarato. Epurazione? Mobbing? Ma non si era dimessa lei di sua sponte? Noi comuni mortali possiamo tradurre così: “Mi ero dimessa, ma solo per finta, e voi lo sapevate. Non potete maltrattarmi così!”.
Aumento IVA 22%: RIFIUTIAMOCI DI PAGARE! SCIOPERO FISCALE contro QUESTA CLASSE POLITICA!
Pare addirittura che nei giorni scorsi siano addirittura circolati dei moduli prestampati per consentire ai parlamentari del Pdl di presentare le loro dimissioni senza star lì a perder tempo. Ma poiché la Costituzione dice che il parlamentare è senza vincolo di mandato, e questa assomiglia molto a una servitù di mandato, si precisa che chi vuole può anche scriversela di suo pugno la lettera, con le motivazioni che preferisce, purché la firmi. A questo il Porcellum ha ridotto il Parlamento, e non solo a destra per la verità: a un bivacco di subordinati.
Ma del resto quasi tutto è senza precedenti in questa storia delle dimissioni di massa postdatate. Al punto che il presidente della Repubblica ha sentito il dovere di alzare la voce come non aveva mai fatto prima, condannandola con parole durissime, segnalandone la «gravità e assurdità». Napolitano l'ha interpretato come un atto che porta il gioco politico già estremo di queste settimane oltre il segno, oltre un punto di non ritorno. Le dimissioni dei ministri del Pdl avrebbero sì aperto una crisi di governo; ma le dimissioni dei parlamentari aprirebbero una crisi costituzionale, mettendo in conflitto tra di loro i poteri dello Stato. Esse minacciano, cioè, un atto al limite dell'eversione (la serrata del Parlamento) per protestare contro ciò che si definisce un «atto eversivo» (un voto del Parlamento sulla decadenza).
Berlusconi sembra dunque sperare che la decadenza dell'intero Parlamento possa rendere meno amara la inevitabile fine della sua vita parlamentare. Coinvolgendo le istituzioni nel proprio destino giudiziario, accetta però il teorema dei suoi nemici, che vorrebbero ridurre la sua storia politica ventennale a una vicenda di processi e di condanne. E toglie le castagne dal fuoco a chi nel Pd alimenta da mesi il falò dell'intransigenza, diventando lui il sicario di un governo in realtà mai digerito a sinistra.
Ma tant'è: da oggi si può davvero dire che l'esecutivo Letta è al capolinea. Non avrebbe senso assumere altri impegni di bilancio, per evitare l'aumento dell'Iva o il ritorno dell'Imu, quando non si sa chi potrà rispettarli. Il presidente del Consiglio deve dunque fare la cosa giusta e istituzionalmente corretta: andare alle Camere per verificare se ne ha ancora la fiducia. In questi mesi, anche per gli errori di un governo che ha sommato invece di selezionare le pretese dei partiti, Letta non è riuscito a domare il fronte di chi voleva le elezioni a febbraio e che ha sfruttato la vicenda giudiziaria di Berlusconi per averle. Ora non gli resta che l'ultima carta: rimettere al centro la ragione per cui è nato.
Il 15 di ottobre, infatti, non è solo la data in cui Berlusconi andrà agli arresti domiciliari o ai servizi sociali. È anche il termine per presentare la legge di Stabilità, e cioè il principale strumento di politica finanziaria dello Stato. Senza di quello, l'Italia può tornare nel gorgo dove stava affogando nel novembre del 2011. Due anni di lacrime e sangue vanificati in un istante. Vediamo chi vota per la rovina nazionale.
Aumento IVA al 22%: Loro non si vergognano e noi PAGHIAMO!
Nell’elenco dei prodotti destinati ad aumentare troviamo così beni di consumo tecnologici come televisori, macchine fotografiche, computer, e poi frigoriferi, lavastoviglie ed elettrodomestici in genere, e i mobili. Ma anche giocattoli, articoli sportivi e strumenti musicali. E poi i mezzi di trasporto quali auto moto e biciclette. Rientra nell’aliquota ordinaria tutto l’abbigliamento, comprese le scarpe e gli indumenti per i neonati, così come i prodotti per l’igiene e la pulizia, i profumi e i cosmetici.
La maggior parte degli alimentari, considerati beni di prima necessità, è invece sottoposta alle aliquote ridotte. Sono però tassati al 21 per cento, e quindi passeranno al 22, i vini, i liquori e i superalcolici, le bevande gassate e i succhi di frutta, e il caffè.
La tassazione è quella più alta anche per la maggior parte dei servizi: da quelli legali e contabili al parrucchiere, dai servizi telefonici ai noleggi auto, per arrivare ai pacchetti vacanza ed alla manifestazioni sportive, fino alla palestra ed alla piscina.
Su base annua, lo scatto di un punto dovrebbe generare un maggior gettito pari a 4,2 miliardi: è quindi poco più di 1 per questo scorcio di 2013. Anche se esiste un giustificato timore sull’effettiva entità degli introiti, visto che l’aumento potrebbe avere un effetto negativo sulla propensione al consumo degli italiani, di questi tempi già non particolarmente intensa.
La mancata approvazione del decreto predisposto dal ministero dell’Economia lascia in sospeso anche il destino dell’Iva dopo il primo gennaio del 2014. Il provvedimento prevedeva una rimodulazione delle attuali aliquote ridotte; in mancanza di successivi interventi, il passaggio al 22 per cento resterebbe naturalmente in vigore. Qualora si decidesse invece di intervenire sulla struttura complessiva dell’imposta, per tenere l’aliquota ordinaria al 21 per cento su tutti o su una parte dei prodotti, sarebbe inevitabile una manovra abbastanza decisa sulle altre due aliquote; e nei limiti fissati dalla direttiva europea del 2006 si potrebbe decidere anche di toccare beni e servizi attualmente ad aliquota zero, ossia esenti. Non sarebbe escluso un ritocco dell’attuale aliquota super-agevolata del 4 per cento, relativa ai principali generi alimentari di prima necessità e ai libri, che si trova in virtù di un’antica eccezione al di sotto del livello minimo fissato dalla Ue, il 5 per cento.
Tv, Berlusconi e gli italiani: dipendenza senza fine
Re Giorgio nomina 4 senatori "a vita": scatta il piano B!
Diciamo subito che il ruolo politico dei senatori a vita si è profondamente modificato nel corso degli anni, rispetto all’originario disegno costituzionale. L’istituto (art. 59 Cost.) fu introdotto come "limitata deroga al principio di sovranità popolare" (Alberti) al fine di assicurare nella "seconda camera" la presenza di "personalità di altissima competenza" (Ambrosini). Ma se queste personalità sono così “capaci”, perché non si candidano direttamente? Questa era la domanda – ancora attualissima – di Terracini, il quale così si oppose all’introduzione dell’art. 59 Cost.: "Se vi sono persone le quali, in possesso di requisiti di carattere particolarissimo, rifuggono dalla vita politica, è bene che dalla vita politica siano tenuti fuori perché la loro avversione rappresenta un elemento deteriore".
L’idea, in ogni caso, era quella di differenziare – pur nel “bicameralismo perfetto” del nostro sistema parlamentare – il Senato dalla Camera, con la presenza, nella cosiddetta Camera Alta, di personalità di rango.
Ma i costituenti non ipotizzarono che i senatori a vita potessero risultare politicamente decisivi all’interno degli equilibri tra Governo e Parlamento? L’unico che vide chiaro il problema fu, ancora una volta, Terracini: "la nomina a vita urta contro il principio del rinnovamento del Senato; ogni celebrità, per quanto viva astratta dalla vita politica, ha in definitiva di fronte ai problemi politici un suo determinato atteggiamento, che si rifletterebbe inevitabilmente sulla fisionomia politica del Senato quale risulta dalle elezioni".
All'epoca, tuttavia, il rischio sembrava più astratto che reale. Tutto ciò si è, però, modificato nel corso del tempo.
Una prima, rilevante, inversione del dettato costituzionale si verificò sotto la Presidenza Pertini. L’articolo 59 Cost. prevede, nel suo secondo comma, che "Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Sino agli anni Ottanta, l’articolo fu interpretato nel senso che il numero dei senatori a vita presenti in Senato fosse certo, predeterminato dalla Costituzione: mai superiore a 5.
Nel 1984, tuttavia, Pertini sostenne che quel numero si dovesse riferire alla persona del Presidente della Repubblica e non alla carica di senatore: ciascun Presidente della Repubblica – in altri termini – avrebbe potuto nominare nel corso del suo mandato 5 senatori a vita (indipendentemente dal numero dei senatori complessivamente presenti in Parlamento).
Fu così che, con Pertini, i senatori a vita superarono il numero complessivo di 5. Al momento dell’elezione di Pertini, infatti, erano già senatori a vita Cesare Merzagora ed Amintore Fanfani. Pertini ne nominò dapprima 3 (Leo Valiani, Eduardo De Filippo e Camilla Ravera), portando così il numero a 5. Dopodiché sostenne che, ai sensi del dettato costituzionale, potesse nominarne ancora 2. E così fece, con le nomine di Norberto Bobbio e Carlo Bo.
Anche Cossiga seguirà tale prassi, mentre né Scalfaro né Ciampi si discostarono dall’interpretazione “tradizionale” dell’art. 59 Cost. Ad oggi, in ogni caso, il numero dei senatori a vita resta sempre incerto, di fatto non-predeterminato dalla Costituzione. Ciò che ci interessa, però, è il cambiamento del ruolo politico dei senatori a vita che si è prodotto in questi ultimi trent’anni.
A partire, infatti, dalla fine della Prima Repubblica, i senatori a vita sono stati fondamentali per determinare le sorti e la tenuta dei Governi. Così, ad esempio, il primo governo Berlusconi ottenne la fiducia al Senato con un voto in più del necessario, e ciò grazie ai voti dei senatori a vita (Gianni Agnelli, Francesco Cossiga, Giovanni Leone). Si pensi, ancora, al 2006, con l’approvazione della mozione di fiducia al nuovo esecutivo Prodi, sempre grazie all’intervento decisivo dei senatori a vita.
Con la fine, in altri termini, degli equilibri politici della Prima Repubblica, il ruolo dei senatori a vita è cambiato, divenendo sempre più politicamente decisivo per la formazione e la stabilità dei Governi. Da qui le proposte ed i dibattiti per l’abrogazione dell’istituto, che hanno trovato sostenitori in schieramenti politici molto diversi tra loro. Da ultimo, anche Grillo – in un post risalente all’agosto del 2012 (esattamente un anno fa, prima della mossa odierna di Napolitano) – aveva, correttamente, notato:
In Senato pochi voti possono determinare l'esito di un voto di fiducia o l'approvazione di una legge non costituzionale. E' già successo. I senatori a vita possono risultare decisivi. E' già successo. La composizione del Parlamento, in teoria, dovrebbe essere decisa solo dal popolo sovrano. Non è così. L'istituto delle nomina del senatore a vita sfugge a qualunque controllo democratico. E' una promozione di carattere feudale, baronale, come ai tempi dei valvassini e dei valvassori. Per diritto divino. Il presidente in carica può influenzare senza rendere conto a nessuno la legislatura successiva alla sua presidenza nominando chi gli aggrada.
Napolitano, per la verità, aveva già dato prova di considerare la nomina dei senatori a vita uno strumento politico fondamentale: la nomina di Mario Monti, appena precedente la sua chiamata al Governo, ne è stato un esempio evidente. Ma oggi la “mossa” di Napolitano ha un significato politico ancora maggiore, se possibile, del precedente.
I 4 senatori appena nominati saranno, probabilmente, decisivi nel caso in cui il Governo Letta dovesse entrare in crisi. Essi, infatti, potrebbero garantire quella manciata di voti necessaria ad un possibile Letta-bis, nel caso in cui Berlusconi dovesse cercare la crisi di Governo e le elezioni anticipate.
Napolitano si dimostra, ancora una volta, il politico più accorto e il vero capo di un Governo di coalizione, delle “larghe intese”, in cui Letta è solo formalmente il Premier, ma non è, in realtà, che l’uomo del Presidente. Il Capo dello Stato – questo è noto – non vuole le elezioni, non è disposto a sciogliere anticipatamente le Camere. E, per questo, egli ha appoggiato la soluzione Violante (rinvio alla Consulta) per salvare Berlusconi. Ma, visto che essa potrebbe non rivelarsi sufficiente, Napolitano ha preparato la contro-mossa: il controllo di 4 nuovi senatori. È sufficiente sedersi ad un tavolo e fare un po’ di calcoli per capire che un Letta-bis, per ottenere la maggioranza al Senato, avrebbe bisogno – fermi i voti del Pd e dei montiani – giusto di un altro po’ di senatori passati al di là dei ranghi (chiamatelo tradimento, compravendita, libero mandato, come volete), nonché proprio di altri 3 o 4 senatori. Che siano proprio i senatori a vita di nuova nomina?
L’esercizio di un potere costituzionalmente previsto è, ancora una volta, strumento per il controllo del "sistema" politico da parte del Capo dello Stato. La nomina dei 4 senatori prepara, infatti, un Letta-bis, ossia una nuova operazione politica che avrà il compito di evitare le elezioni anticipate, tenendo “bloccata” una maggioranza parlamentare del tutto fittizia e salvando, ancora per un po’, la vecchia politica dei partiti.
È Napolitano che sta assicurando questa sopravvivenza, ed è pertanto dalla politica di Napolitano – nascosta dietro la sua “neutralità” costituzionale – che bisogna a tutti i costi uscire.
Invece di fare nuovi senatori a vita bisognava abolire questo istituto frutto di un residuo storico più monarchico che repubblicano. Ma ormai viviamo sotto Re Giorgio, e allora non ci resta che parlare di problemi come la “grazia” o “i senatori a vita”. E cioè dei privilegi del monarca che sta pensando tutti i modi per salvare il suo Governo. E questo Paese si sveglia ogni giorno sempre più diviso tra senatori a vita e sudditi a vita.
P.S. Una nota finale, sui nomi dei senatori, meriti e competenze scientifiche o artistiche escluse. Stupisce non poco la nomina soprattutto di Elena Cattaneo, la quale è – a quanto mi risulta – la più giovane senatrice a vita mai nominata, appena cinquantenne (è nata nel 1962). Sembra abbastanza inopportuno, specie in un momento come questo, garantire ad una donna di cinquant’anni, con una nomina dall’alto e quindi senza alcuna legittimazione democratica, uno stipendio vita natural durante (diciamo, statisticamente, per i prossimi trent’anni?). Un senatore a vita percepisce – comprese diaria, indennità, rimborsi – , all’incirca, 13.000 euro netti al mese (211.502 Euro lordi all’anno). Quanto ci costerà la senatrice Cattaneo? E se – come sembra uso – i senatori a vita campano più degli altri (guardate la Montalcini, ma anche Andreotti e Carlo Azelio Ciampi).
Ed ecco, allora, che in tempi di crisi, dove sono difficili da trovare finanze per la cassaintegrazione, Re Giorgio si scopre particolarmente magnanimo, scaricando sul bilancio dello Stato – e su di noi – quattro nuovi stipendi, non proprio “popolari”. Viva la Repubblica!"
Letta servo del padrone B. tra ingiustizia ed iniquità fiscale
Con la riforma dell'Imu i proprietari di un solo alloggio di 80 metri quadrati di categoria catastale usuale, risparmieranno 4-500 euro all'anno. Quelli di 4 o 500 metri quadrati di maggior pregio ne risparmieranno 10-15 mila. Ma non basta! I grandi costruttori non pagheranno l'Imu 2013 e 2014 per il gigantesco numero di alloggi invenduti che popolano le desolate periferie urbane. Un regalo misurabile in decine di milioni di euro. Soldi con cui si possono acquistare o potenziare giornali (Caltagirone e Bonifaci - Messaggero e Tempo - ne sono il più noto esempio) utili a cantare le lodi al governo di turno. O ad aiutare nelle strepitose rimonte berlusconiane in campagna elettorale. Sociologi ed economisti di ogni corrente di pensiero concordano nell'affermare che il ventennio che abbiamo alle spalle è quello in cui si sono prodotte le più impressionanti differenze sociali a tutto vantaggio dei ceti benestanti. Il governo Letta ha aumentato la forbice.
Ma oltre ai numeri contano ancora di più i fatti simbolici e strutturali. L'Italia, come paventava La voce.info, è diventata l'unico paese sviluppato a non tassare la proprietà edilizia. Sono soggette a Imu soltanto le abitazioni di lusso: in tutto 73 mila immobili su 20 milioni di alloggi. Tutti gli altri sono stati equiparati e azzerati alla faccia della Costituzione. Tanto è vero che nascerà la «service tax», un'imposta legata all'erogazione dei servizi urbani che verrà pagata in gran parte dagli inquilini invece dei proprietari com'era con l'Imu.
In buona sostanza con la novità introdotta i proprietari di una sola abitazione perderanno immediatamente i benefici della cancellazione dell'Imu, mentre gli inquilini vedranno crescere notevolmente il prelievo fiscale. Un altro regalo alla rendita immobiliare. Un altro colpo micidiale all'equità.
Non stupisce dunque la felicità del centro destra.
Ha cancellato il principio fondante della progressività della tassazione, chiudendo con un suggello impensabile il ventennio della restaurazione proprietaria. Stupisce invece la serafica indifferenza del primo ministro Letta che sembra non aver colto la rilevanza di questo micidiale colpo. Eppure dovrebbe essere culturalmente erede di quel Fiorentino Sullo che aveva compreso cinquant'anni fa - pagando un prezzo personale pesantissimo - che il nodo scorsoio che strangola l'Italia è il dominio della rendita speculativa. Evidentemente i cattolici «democratici» alla Letta non appartengono a questo importante filone di pensiero. Ma stupisce di più la sconcertante sudditanza dell'intero Pd che ha messo sullo stesso piatto della bilancia 500 milioni per la cassa integrazione, che dovevano essere comunque trovati se non si volevano acuire le tensioni sociali del prossimo autunno caratterizzato dalla crescente disoccupazione, con la cancellazione di uno dei pilastri che reggeva lo stato.
Il trionfo di Berlusconi sta qui, nell'aver lasciato senza rappresentanza i due terzi della popolazione italiana. Una ristretta élite sociale governa per interposta persona e continua a colpire ciecamente le classi più sfavorite. Può contare su una maggioranza dei due terzi del parlamento cui impone ogni tipo di provvedimento legislativo: articoli come quelli approvati ieri l'altro sono scritti da chi conosce alla perfezione i meccanismi, come ad esempio l'ufficio studi dei costruttori.
Ridare voce e rappresentanza a questa Italia senza più fiducia è il compito sempre più urgente che ha la sinistra in cui crediamo. La proposta di Micro Mega ripresa da Pierfranco Pellizzetti mercoledì su queste pagine di lavorare per un governo di «legalità repubblicana» formato da personalità impermeabili alle pressioni delle lobby, è l'unica strada per ridare speranza al paese.
Siamo la nazione che cresce di meno perché siamo in perenne ostaggio di una rendita parassitaria che non ci permette di diventare un paese realmente libero e moderno. Non ci si può meravigliare se mancano investimenti stranieri. O se molti imprenditori non investano nei comparti produttivi: meglio giocare all'eterna tombola della speculazione immobiliare improduttiva e intascare plusvalenze gigantesche. Il trucco funziona sempre, anche grazie al governo Letta.
ITALIANI ESULTATE, NON PAGHERETE PIU' l'IMU: solo la SERVICE TAX.....
Il nuovo balzello, che è stato chiamato Taser, prenderà forma solo nella legge di Stabilità, si applicherà dal 2014 e sarà finalizzato a finanziare i servizi comunali, compresa la raccolta dei rifiuti. E solo con questa riforma - brutta notizia per le imprese - arriverà l’attesa deducibilità dell’imposta sui beni strumentali, come i capannoni, o sui locali utilizzati dagli enti no profit.
«Non sarà un’Imu mascherata», ha assicurato il presidente del Consiglio Enrico Letta che ha annunciato una riduzione del carico fiscale sulle famiglie. Ma se questa nuova imposta peserà meno sulle tasche dei cittadini si saprà solo quando, definiti i dettagli, sarà possibile fare i conti. Di certo le prime simulazioni contenute nelle ipotesi stilate dal Tesoro solo qualche settimana fa, mettono in risalto che, a seconda delle scelte, l’impatto per l’erario potrebbe essere anche a saldo zero, mantenendo immutato l’aggravio sui cittadini rispetto alla tassazione dell’Imu.
Il percorso che porta alla definizione della nuova tassa è delineato nel decreto e prevede un fitto confronto con le parti sociali e con i comuniche sono i beneficiari ultimi della tassa. Ma le linee guida sono già definite. Si prevede che sarà composta da due componenti: la prima servirà a pagare la raccolta dei rifiuti, la seconda i cosiddetti «servizi indivisibili», ora previsti dalla Tares. I
n pratica arriva una sorta di tassa che ne ingloba due. La prima parte, quella relativa alla raccolta dei rifiuti, dovrà consentire di coprirne completamente i costi e si pagherà in base ai metri quadrati. Per la seconda, invece, il comune potrà scegliere come base imponibile o la superficie o la rendita catastale. Sarà a carico sia del proprietario (in quanto i beni e i servizi pubblici locali concorrono a determinare il valore commerciale dell’immobile) che dell’occupante (in quanto fruisce dei beni e servizi locali).
La filosofia - ha spiegato Letta - è la stessa di un condominio, con la quale si pagano servizi comuni e si valuta l’efficienza dell’uso delle risorse che sono state pagate («Pago, vedo, voto»). Ma, a scanso di equivoci, è comunque previsto un tetto al prelievo fiscale, per evitare rischi di uno shock da tassazione. Anche perché l’acronimo scelto per la nuova tassa, Taser, non farebbe ben sperare: è lo stesso nome delle pistole elettriche utilizzate dalla polizia Usa per immobilizzare, proprio con l’elettroshock, i malviventi in fuga.
«Faccio fatica a nascondere la mia grande soddisfazione. I Tg e i giornali di domani porteranno nelle case degli italiani una bellissima notizia: gli italiani dovevano pagare una tassa e non la pagheranno». Sono le parole del vicepremier Angelino Alfano. «È un provvedimento fatto nel modo giusto, è tax free», ha aggiunto.
Dietro la proposta numero otto del dossier Saccomanni, si cela dunque una mossa abilissima. Che consente di cancellare e superare l'Imu in un solo colpo, grazie a un cambio di nome e funzione: non più balzello sul mattone, ma contributo ai "servizi indivisibili" dei Comuni. Non più Imu, ma Service Tax. Insomma, una tassa nuova che somiglia tanto a una vecchia, la Res. Approvata dal Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2011, in prima lettura. E dunque dal governo Berlusconi, con Calderoli e Tremonti sponsor e ministri. Indispensabile per chiudere una falla di allora, quella dell'Ici sulla prima casa abolita. Ma mai entrata in funzione, perché sostituita dall'Imu di Monti che un mese dopo era a Palazzo Chigi per evitare il tracollo del Paese.
La vecchia Res valeva 3,1 miliardi. Ed era strutturata come l'ancor più antica Isi di Amato, la zia dell'Ici. E cioè aliquota al 2 per mille, nessuna detrazione, rendita rivalutata del 5%. Saccomanni e i suoi tecnici devono averci pensato. E dedotto che unendo Imu prima casa (4 miliardi) e tassa sui servizi (1 miliardo, in arrivo a fine anno) si arriva a 5 miliardi. Ripristinare la vecchia Res ne copre 3 abbondanti. I restanti 2 miliardi li mette il governo. Ed è il massimo che i conti pubblici in questo momento possono concedere. La Res non può che essere accolta da tutti, devono aver concluso in via Venti Settembre. Il Pd difatti l'ha inventata (Marco Causi nel marzo 2011 propose la Tax Service). Il Pdl l'ha ripresa e presentata come una vittoria del federalismo, approvandola addirittura in Consiglio dei ministri.
La Uil, Servizio politiche territoriali, ha fatto un po' di conti. In media, ogni famiglia paga 225 euro di Imu prima casa e 305 euro di rifiuti. Se il primo balzello sparisse e arrivasse la nuova Res, cioè la Service Tax, dovrebbe versare 110 euro extra (utili a finanziare l'illuminazione pubblica, i marciapiedi, l'anagrafe, la polizia municipale e così via). Il risparmio sarebbe dunque di soli 115 euro. Ovvero la metà dell'Imu. Ma con un pregio. Il Pdl potrebbe dire: abbiamo eliminato l'Imu. Il Pd: l'abbiamo superata. I Comuni: è finalmente una tassa municipale e potremo usarla a seconda dei bisogni, esentando, scontando, agevolando chi è in difficoltà. Vincono tutti? Quasi. Perché chi è in affitto pagherebbe una tassa in più. E il risparmio non sarebbe epocale.
Ma il dossier Saccomanni è chiaro. "La Tares deve assicurare la copertura integrale della totalità dei costi riguardanti il ciclo di gestione dei rifiuti". Tradotto: i quasi 5 miliardi che le famiglie italiane devono ai Comuni solo per la spazzatura restano. Poi però si può "introdurre la Service Tax per la copertura dei servizi indivisibili". Ma solo di questi. E manovrandola bene, si può dire di aver archiviato l'Imu. Con un'altra tassa, però. Quando smetteranno di paragonare il nostro Q.I. a quello di una gallina spennata?
Continuando a giocare sulla pelle del popolo siriano
La frustrazione maggiore di Ammar, è con il mondo occidentale, caduto in letargo di fronte al dramma di un popolo violentemente oppresso da un regime sanguinario e crudele. "Siamo l'ennesimo fallimento della politica occidentale nel Medio Oriente", dice amaro Ammar. Le sue parole sono una eco di altre espressioni di risentimento e disperazione che ho raccolto in questi giorni. "Ciò che spicca è la perdita di credibilità degli Stati Uniti e la mancanza di coerenza dell'Occidente", mi dice un giovane attivista. "L'indifferenza del mondo occidentale ha alimentato il ciclo della violenza in Siria in questi anni," afferma un ex soldato dell'esercito di Assad che ha optato per la diserzione.
Quando ci raggiunge la notizia di un nuovo e devastante attacco con armi chimiche, che ha ucciso almeno un migliaio di persone nella periferia di Damasco, una donna curda, avvocato e difensore di diritti umani, manifesta il suo dolore e la sua rabbia :"Non mi aspetto niente e non voglio niente dall'Occidente ipocrita", dice con voce ferma e secca."Abbiamo tutte le risorse per difenderci e per evitare il genocidio del nostro popolo" aggiunge dopo avermi raccontato come uomini armati affiliati ad Al Qaeda, dalle lunghe barbe e dai turbanti neri, in un piccolo villaggio abbiano ucciso una decina di uomini davanti agli occhi delle mogli e dei bambini.
È tragico, ed anche angosciante, ascoltare queste storie, che sono pure una testimonianza dell'incapacità di una solidarietà effettiva e globale. Ahmed, che proviene da Damasco, ha 27 anni ed è medico. E' stato uno dei primi ad organizzare la resistenza contro il regime di Assad. "Durante l'attacco con armi chimiche di due mesi fa, metà della mia famiglia e dei miei parenti sono stati uccisi," mi racconta con un sorriso amaro. "Sono stato il primo medico ad entrare nelle zone colpite, con alcuni flaconi di medicinali svizzeri che mi sono stati venduti al prezzo di 100 dollari ciascuno, un prezzo esorbitante". Ahmed è ripartito una decina di giorni fa, e non ho notizie del suo destino dopo l'attacco della scorsa settimana.
Shameran è una donna col volto incorniciato in un chador color nocciola. Prima della rivoluzione, lavorava come giudice nella sua città e oggi è la leader di una rete crescente di donne, che si oppone a Assad e lavora per i diritti umana. "Le truppe di Assad hanno ucciso i miei due fratelli," mi racconta. "Non siamo un popolo violento e siamo insorti con proteste pacifiche", dice. Uno dei fratelli, ferito dagli agenti di Assad, è stato ammazzato nelle corsie dell'ospedale dove lo stavano curando. "Di fronte alla violenza del regime, ci siamo dovuti armare, per difenderci", mi spiega.
Sabri, ha 25 anni ed è curdo. Mi racconta di come il suo popolo non solo deve combattere con l'esercito di Assad ed i paramilitari del Comitato Popolare di Milizie, ma anche contro la Jabhat al-Nusra, le armate degli estremisti islamici. Sabri però non si fida neppure dell'Esl, l'Esercito Siriano Libero. Racconta :"Nella mia città, il comandante dell'Esl, è lo stesso che mi ha arrestato e torturato quando ero all'università e mi sono rifiutato di collaborare con i servizi segreti siriani".
Quando gli chiedo di Obama, ride e mi risponde in italiano con un sonoro "vaffanculo", espressione che ha imparato da un foto-giornalista nostrano. Molti degli amici di Sabri si sono arruolati nei gruppi di resistenza armata curda. Pur riconoscendo il diritto all'autodifesa, ha rinunciato alla lotta armata, ma ha deciso piuttosto di aiutare giornalisti stranieri ad entrare clandestinamente in Siria, perché raccontino il dramma del suo popolo. "Camminiamo tra due fuochi - mi dice - Se usiamo la violenza, perderemo la nostra anima. Se non ci armiamo, rischiamo l'estinzione".
Le immagini delle vittime civili dell'attacco con armi chimiche della scorsa settimana, hanno provocato nel mondo occidentale una onda di emozioni, e sprigionato la retorica dell'intervento umanitario. Il segretario di stato americano John Kerry ha parlato di "oscenità morale" e, per dare un tocco umano alle sue parole, ha sottolineato che come padre di famiglia non è rimasto scosso dalle immagini delle salme di bambini innocenti avvelenati dai gas. La maggior parte dei siriani coi quali ho parlato in questi giorni, spera in un intervento guidato dagli Stati Uniti, per quanto tardivo, con la speranza, ovvero la illusione, che possa incrinare in maniera decisiva la forza dell'esercito di Assad.
In realtà, dubito che la soluzione di un'intervento umanitario sia una soluzione. Ma la inazione sarebbe peggiore. Il lancio di missili cruiser su obiettivi militari precisi (l'ennesima operazione chirurgica) sembra essere oggi un'opzione necessaria e inevitabile. E' comunque il risultato di due anni in cui gli Stati Uniti, Europa e le Nazioni Unite, sono stati protagonisti di un'azione diplomatica inadeguata, timida, ed inefficace, lasciando che la situazione degenerasse progressivamente in uno scenario da guerra civile. Ammar, il mio interlocutore, vede l'intervento degli Stati Uniti, come inevitabile:"Sarebbe peggio, se gli Stati Uniti non punissero oggi Assad, e domani scagliassero i droni contro gli estremistii: ciò favorirebbe la rivolta musulmana e il rafforzamento delle organizzazioni come al-Qaeda".
Nelle prossime ore, o nei prossimi giorni, il presidente Obama darà probabilmente il via libera ad una azione militare. Sarà concepita come un'azione punitiva, ovvero un'intervento militare non accompagnato da una politica che miri ad alterare la situazione a favore della resistenza siriana oppure ad un cambio di regime. È un'intervento che rispecchia un compromesso all'interno dell'amministrazione americana tra falchi e colombe.
Più che al popolo siriano, l'azione punitiva servirà agli stessi Stati Uniti per non perdere del tutto la propria credibilità nel mondo arabo già fortemente incrinata da Guantanamo, ed dal fallimento in Afghanistan, Iraq e Libia. Più che un intervento umanitario, sarà un'operazione di immagine, più retorica che politica, come ci ha abituato il presidente Obama. E così, il mondo occidentale continua a giocare sulla pelle del popolo siriano.
Napolitano, si dimetta!
Letta, la crisi, L'agibilità di B. e la Repubblica delle banane
Enrico Letta ostenta serenità, ma non c’è dubbio che il destino del governo è appeso letteralmente a un filo. Peraltro, proprio in un momento assolutamente decisivo sul versante delle scelte di politica economica.
Da un lato perché questo è il momento di sciogliere i nodi rimasti aperti su temi importanti quali la riforma dell’Imu, la sterilizzazione dell’Iva, il rifinanziamento della Cig in deroga. Dall’altro, perché si avvicina il varo della legge di stabilità 2014, la norma che dovrebbe ridisegnare la politica economica in senso più espansivo per accompagnare la ripresa e creare lavoro.
Si gioca tutto in pochi giorni. Oggi il primo banco di prova sarà la riunione di Consiglio dei ministri che dovrebbe licenziare il pacchetto D’Alia sui precari del pubblico impiego e l’Agenzia per il riuso dei fondi europei per lo sviluppo non utilizzati. A quanto si conosce un’intesa nella maggioranza già è stata raggiunta. Poi mercoledì sarà la volta della decisione sull’Imu.
Sarà durissima. Il clima è già rovente. «Non pensi Saccomanni di arrivare in Consiglio dei ministri con una proposta «prendere o lasciare» sull’Imu. Dati i tempi non penso che sarebbe produttivo», avvisa il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, che sostiene di non avere notizie dal ministro dell’ Economia, e nessuna risposta dal lontano 22 luglio.
Anche se nel frattempo Saccomanni ha diffuso un dossier di 105 pagine con nove possibili ipotesi di riforma dell’imposta per il 2013. A Brunetta risponde duramente il viceministro dell’Economia Stefano Fassina, del Pd. «Le risorse per cancellare l’Imu sulla prima casa non sono sufficienti ad esentare anche le abitazioni di lusso - spiega - vorrei che il Pdl prestasse attenzione non solo verso chi ha appartamenti di 400 metri quadrati, ma anche verso chi rischia di non vedere rifinanziata la Cig in deroga».
Posizioni e tensioni che non rassicurano il premier Letta, che tornando dall’Afghanistan dove ha visitato le basi italiane, ha detto ai giornalisti che «buttare a mare tutto in questo momento sarebbe una follia».
Certo è che se ci fosse una crisi di governo la fittissima agenda parlamentare e di governo verrebbe letteralmente dinamitata. L’Ufficio di presidenza della Giunta delle Elezioni di Palazzo Madama si riunirà il 4 settembre per decidere il calendario dei lavori, mentre per il 9 è già fissata la seduta per l’intervento del relatore Andrea Augello.
Alla Camera è approdato il decreto legge contro il femminicidio, ma anche per l’arresto differito in occasione delle manifestazioni sportive e sulle competenze dei commissari delle Province in attesa del riordino delle stesse.
Il 6 settembre dovrebbe essere votato il disegno di legge che definisce il percorso delle riforme costituzionali. Letta al Meeting di Rimini aveva chiesto un’accelerazione sulla legge elettorale, e a Montecitorio, è stata decisa la procedura d’urgenza, ma il clima è pesante. E non meno complicato si annuncia il cammino di altri tre provvedimenti che attendono di essere esaminati alla Camera per passare poi al Senato: riforma del finanziamento ai partiti, legge contro l’omofobia e modifica delle norme sulla diffamazione per arrivare all’ eliminazione del carcere per i giornalisti.
Tutto questo marasma in una situazione contingente quanto mai drammatica solo e soltanto per salvare Silvio Berlusconi dalla decadenza come Senatore della Repubblica. Naturalmente i falchi e le colombe del PDL hanno pensato bene che far cadere il governo su un tema tanto importante come la pressione fiscale sarebbe stato più facilmente giustificabile rispetto al tema della persecuzione giudiziaria del Cavaliere, anche rispetto al proprio elettorato.
E' però vero che chiunque sia dotato di un minimo di buon senso e di malizia capisce che la motivazione che spinge verso la crisi di governo è solo il ricatto fatto da Berlusconi al PD, far venir meno le larghe intese e quindi il governo se si votasse a favore della decadenza. Ma qui in gioco non c'è alcuna "questione democratica". C'è solo da uniformarsi alle regole dello Stato di diritto, rispettando la separazione dei poteri, se non vogliamo diventare una Repubblica delle banane.