(Fonte: Marco Travaglio da Il fatto quotidiano del 12 marzo 2010)
Breve escursus storico-legislativo del governo condotto da Silvio Berlusconi a danno del popolo e della nazione che lo hanno eletto. Aggiorniamo la lista delle leggi "ad personam" con quella sul "processo lungo" approvata in senato il 29 luglio 2011.
1. Decreto Biondi (1994). Approvato il 13 luglio 1994 dal governo Berlusconi I, vieta la custodia cautelare in carcere (trasformata al massimo in arresti domiciliari) per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari, comprese la corruzione e la concussione, proprio mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessano di essere stati corrotti da quattro società del gruppo Fininvest (Mediolanum, Videotime, Mondadori e Tele+) e sono pronte le richieste di arresto per i manager che hanno pagato le tangenti. Il decreto impedisce cioè di arrestare i responsabili e provoca la scarcerazione immediata di 2764 detenuti, dei quali 350 sono colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli (compresi la signora Pierr Poggiolini, l’ex ministro Francesco De Lorenzo e Antonino Cinà, il medico di Totò Riina). Il pool di Milano si autoscioglie. Le proteste di piazza contro il “Salvaladri” inducono la Lega e An a ritirare il consenso al decreto e a costringere Berlusconi a lasciarlo decadere in Parlamento per manifesta incostituzionalità. Subito dopo vengono arrestati Paolo Berlusconi, il capo dei servizi fiscali della Fininvest Salvatore Sciascia e il consulente del gruppo Massimo Maria Berruti, accusato di aver depistato le indagini subito dopo un colloquio con Berlusconi.
2. Legge Tremonti (1994). Il decreto n.357 approvato dal Berlusconi I il 10 giugno 1994 detassa del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese, purchè riguardino l’acquisto di “beni strumentali nuovi”.La neonata società Mediaset (che contiene le tv Fininvest scorporate dal resto del gruppo in vista della quotazione in Borsa) utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata: che non sono beni strumentali, ma immateriali, e non sono nuovi, ma vecchi. A sanare l’illegalità interviene il 27 ottobre 1994 una circolare “interpretativa” Tremonti che fa dire alla legge Tremonti il contrario di ciò che diceva, estendendo il concetto di beni strumentali a quelli immateriali e il concetto di beni nuovi a quelli vecchi già usati all’estero.
3. Legge Maccanico (1997). In base alla sentenza della Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì che consente alla Fininvest di possedere tre reti tv sull’analogico terrestre è incostituzionale:3., presumibilmente Rete4, dev’essere spenta ed eventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996. Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I, Antonio Maccanico, concede una proroga fino al 31 dicembre 1996 in attesa della legge “di sistema”. A fine anno, nulla di fatto per la riforma e nuova proroga di altri sei mesi. Il 24 luglio 1997, ecco finalmente la legge Maccanico: gli editori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere più del 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediaset è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per le comunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisterà in Italia “un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via cavo”. Che significhi “congruo sviluppo” nessuno lo sa, così Rete4 potrà seguitare a trasmettere sine die in barba alla Consulta.
4. D’Alema salva-Rete4 (1999). La neonata Agcom si mette all’opera solo nel 1998, presenta il nuovo piano per le frequenze tv e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali. Rete4, essendo “eccedente” rispetto alla Maccanico, perde la concessione; al suo posto la vince Europa7 di Francesco Di Stefano. Ma il governo D’Alema, nel 1999, concede a Rete4 una “abilitazione provvisoria” a seguitare a trasmettere senza concessione, così per dieci anni Europa7 si vedrà negare le frequenze a cui ha diritto per legge.
5. Gip-Gup (1999). Berlusconi e Previti, imputati per corruzione di giudici romani (processi Mondadori, Sme-Ariosto e Imi-Sir), vogliono liberarsi del gip milanese Alessandro Rossa-to, che ha firmato gli arresti dei magistrati corrotti e degli avvocati Fininvest Pacifico e Acampora, ma ha pure disposto l’arresto di Previti (arresto bloccato dalla Camera, a maggioranza Ulivo). Ora spetta a Rossato, in veste di Gup, condurre le udienze preliminari dei tre processi e decidere sulle richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla procura di Milano. Udienze che iniziano nel 1999. Su proposta dell’on. avv. Guido Calvi, legale di Massimo D’Alema, il centrosinistra approva una legge che rende incompatibile la figura del gip con quella del gup: il giudice che ha seguito le indagini preliminari non potrà più seguire l’udienza preliminare e dovrà passarla a un collega, che ovviamente non conosce la carte e perderà un sacco di tempo. Così le udienze preliminari Imi-Sir e Sme, già iniziate dinanzi a Rossato, proseguono sotto la sua gestione e si chiuderanno a fine anno con i rinvii a giudizio degli imputati. Invece quella per Mondadori, non ancora iniziata, passa subito a un altro giudice, Rosario Lupo, che proscioglie tutti gli imputati per insufficienza di prove (poi, su ricorso della Procura, la Corte d’appello li rinvierà a giudizio tutti, tranne uno: Silvio Berlusconi, dichiarato prescritto grazie alle attenuanti generiche).
6. Rogatorie (2001). Nel 2001 Berlusconi torna a Palazzo Chigi e fa subito approvare una legge che cancella le prove giunte dall’estero per rogatoria ai magistrati italiani, comprese ovviamente quelle che dimostrano le corruzioni dei giudici romani da parte di Previti & C. Da mesi i legali suoi e di Previti chiedono al tribunale di Milano di cestinare quei bonifici bancari svizzeri perché mancano i numeri di pagina, o perché si tratta di fotocopie senza timbro di conformità,o perchè sono stati inoltrati direttamente dai giudici elvetici a quelli italiani senza passare per il ministero della Giustizia. Il Tribunale ha sempre respinto quelle istanze. Che ora diventano legge dello Stato. Con la scusa di ratificare la convenzione italo-svizzera del 1998 per la reciproca assistenza giudiziaria (dimenticata dal centrosinistra per tre anni), il 3 ottobre 2001 la Cdl vara la legge 367 che stabilisce l’inutilizzabilità di tutti gli atti trasmessi da giudici stranieri che non siano “in originale” o “autenticati” con apposito timbro, che siano giunti via fax, o via mail o brevi manu o in fotocopia o con qualche vizio di forma. Anche se l’imputato non ha mai eccepito sulla loro autenticità, vanno cestinati. Poi, per fortuna, i tribunali scoprono che la legge contraddice tutte le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e tutte le prassi seguite da decenni in tutta Europa. E, siccome quelle prevalgono sulle leggi nazionali, disapplicano la legge sulle rogatorie, che resterà lettera morta.
7. Falso in bilancio (2002). Siccome Berlusconi ha cinque processi in corso per falso in bilancio, il 28 settembre 2001 la sua maggioranza approva la legge-delega numero 61 che incarica il governo di riformare i reati societari. Il che avverrà all’inizio del 2002 con i decreti delegati che: abbassano le pene da 5 a 4 anni per le società quotate e addirittura a 3 per le non quotate (prescrizione più breve, massimo 7 anni e mezzo per le quotate e 4 e mezzo per le non quotate; e niente più custodia cautelare né intercettazioni); rendono il falso per le non quotate perseguibile solo a querela del socio o del creditore; depenalizzano alcune fattispecie di reato (come il falso nel bilancio presentato alle banche); fissano amplissime soglie di non punibilità (per essere reato, il falso in bilancio dovrà superare il 5% del risultato d’esercizio, l’1% del patrimonio netto, il 10% delle valutazioni. Così tutti i processi al Cavaliere per falso in bilancio vengono cancellati: o perché manca la querela dell’azionista (B. non ha denunciato B.), o perché i falsi non superano le soglie (“il fatto non è più previsto dalla legge come reato), o perché il reato è ormai estinto grazie alla nuova prescrizione-lampo.
8. Mandato di cattura europeo (2001). Unico fra quelli dell’Unione europea, il governo Berlusconi II rifiuta di ratificare il “mandato di cattura europeo”, ma solo relativamente ai reati finanziari e contro la Pubblica amministrazione . Secondo “Newsweek”, Berlusconi “teme di essere arrestato dai giudici spagnoli” per l’inchiesta su Telecinco. L’Italia otterrà di poter recepire la norma comunitaria soltanto dal 2004.
9. Il governo sposta il giudice (2001). Il 31 dicembre, mentre gli italiani festeggiano il Capodanno, il ministro della Giustizia Roberto Castelli, su richiesta dei difensori di Previti, nega contro ogni prassi la proroga in Tribunale al giudice Guido Brambilla, membro del collegio che conduce il processo Sme-Ariosto, e dispone la sua “immediata presa di possesso” presso il Tribunale di sorveglianza dov’è stato trasferito da qualche mese, senza poter completare i dibattimenti già avviati. Così il processo Sme dovrebbe ripartire da zero dinanzi a un nuovo collegio. Ma poi interviene il presidente della Corte d’appello con una nuova “applicazione” di Brambilla in Tribunale fino a fine anno.
10. Cirami (2002). I difensori di Previti e Berlusconi chiedono alla Cassazione di spostare i loro processi a Brescia perché, sostengono, a Milano l’intero Tribunale è viziato da inguaribile prevenzione contro di loro. E, per oliare meglio il meccanismo, reintroducono il vecchio concetto di “legittima suspicione” per motivi di ordine pubblico , vigente un tempo, quando i processi scomodi traslocavano nei “porti delle nebbie” per riposarvi in pace. E’ la legge Ci-rami n. 248, approvata definitivamente il 5 novembre 2002. Ma nemmeno questa funziona: la Cassazione, nel gennaio 2003, respinge la richiesta di trasloco: il Tribunale di Milano è sereno e imparziale.
11. Lodo Maccanico-Schifani (2003). Le sentenze Sme e Mondadori si avvicinano. Su proposta del senatore della Margherita Antonio Maccanico, il 18 giugno 2003 la Cdl approva la legge 140, primo firmatario Renato Schifani, che sospende sine die i processi ai presidenti della Repubblica, della Camera, del senato, del Consiglio e della Corte costituzionale. I processi a Berlusconi si bloccano in attesa che la Consulta esamini le eccezioni di incostituzionalità sollevate dal Tribunale di Milano. E ripartono nel gennaio 2004, quando la Corte boccia il “lodo”.
12. Ex Cirielli (2005). Il 29 novembre 2005 la Cdl vara la legge ex Cirielli (misconosciuta dal suo stesso proponente), che riduce la prescrizione per gli in-censurati e trasforma in arresti domiciliari la detenzione per gli ultrasettantenni (Previti ha appena compiuto 70 anni, Berlusconi sta per compierli). La legge porta i reati prescritti da 100 a 150 mila all’anno, decima i capi di imputazione del processo Mediaset (la frode fiscale passa da 15 a 7 anni e mezzo) e annienta il processo Mills (la corruzione anche giudiziaria si prescrive non più in 15, ma in 10 anni).
13. Condono fiscale (2002). La legge finanziaria 2003 varata nel dicembre 2002 contiene il condono tombale. Berlusconi giura che non ne faranno uso né lui né le sue aziende. Invece Mediaset ne approfitta subito per sanare le evasioni di 197 milioni di euro contestate dall’Agenzia delle entrate pagandone appena 35. Anche Berlusconi usa il condono per cancellare con appena 1800 euro un’evasione di 301 miliardi di lire contestata dai pm di Milano.
14. Condono per i coimputati (2003). Col decreto 143 del 24 giugno 2003, presunta “interpretazione autentica” del condono, il governo ci infila anche coloro che hanno “concorso a commettere i reati”, anche se non hanno firmato la dichiarazione fraudolenta. Cioè il governo Berlusconi salva anche i 9 coimputati del premier, accusati nel processo Mediaset di averlo aiutato a evadere con fatture false o gonfiate.
15. Pecorella (2006). Salvato dalla prescrizione nel processo Sme, grazie alle attenuanti generiche, Berlusconi teme che in appello gli vengano revocate, con conseguente condanna. Così il suo avvocato Gaetano Pecorella, presidente della commissione Giustizia della Camera, fa approvare nel dicembre 2005 la legge che abolisce l’appello, ma solo quando lo interpone il pm contro assoluzioni o prescrizioni. In caso di condanna in primo grado, invece, l’imputato potrà ancora appellare. Il presidente Ciampi respinge la Pecorella in quanto incostituzionale. Berlusconi allunga di un mese la scadenza della legislatura per ripresentarla uguale e la fa riapprovare (legge n.46) nel gennaio 2006. Ciampi stavolta è costretto a firmarla. Ma poi la Consulta la boccia in quanto incostituzionale.
16. Frattini (2002). Il 28 febbraio 2002 la Cdl approva la legge Frattini sul conflitto d’interessi: chi possiede aziende e va al governo, ma di quelle aziende è soltanto il “mero proprietario”, non è in conflitto d’interessi e non è costretto a cederle. Unica conseguenza per il premier:deve lasciare la presidenza del Milan
17.Gasparri-1(2003). In base alla nuova sentenza della Consulta del 2002, entro il 31 dicembre 2003 Rete4 deve essere spenta e passare sul satellite. Il 5 dicembre la Cdl approva la legge Gasparri sulle tv: Rete4 può seguitare a trasmettere “ancorchè priva di titolo abilitativo”, cioè anche se non ha più la concessione dal 1999; il tetto antitrust del 20% sul totale delle reti non va più calcolato sulle 10 emittenti nazionali, ma su 15 (compresa Telemarket). Dunque Mediaset può tenersi le sue tre tv. Quanto al tetto pubblicitario del 20%, viene addirittura alzato grazie al trucco del “Sic”, che include un panel talmente ampio di situazioni da sfiorare l’infinito. Confalonieri calcola che Mediaset potrà espandere i ricavi di 1-2 miliardi di euro l’anno. Ma il 16 dicembre Ciampi rispedisce la legge al mittente: è incostituzionale.
18. Berlusconi salva-Rete4 (2003). Mancano due settimane allo spegnimento di Rete4. Alla vigilia di Natale, Berlusconi firma un decreto salva-Rete4 (n.352) che concede alla sua tv l’ennesima proroga semestrale, in attesa della nuova Gasparri.
19. Gasparri-2 (2004). La nuova legge approvata il 29 aprile 2004, molto simile a quella bocciata dal Quirinale, assicura che Rete4 non sfora il tetto antitrust perché entro il 30 aprile il 50% degli italiani capteranno il segnale del digitale terrestre, che garantirà loro centinaia di nuovi canali. Poi però si scopre che, a quella data, solo il 18% della popolazione riceve il segnale digitale. Ma poi l’Agcom dà un’interpretazione estensiva della norma: basta che in un certo luogo arrivi il segnale digitale di una sola emittente, per considerare quel luogo totalmente digitalizzato. Rete4 è salva, Europa 7 è ancora senza frequenze.
20. Decoder di Stato (2004).
Per gonfiare l’area del digitale, la finnaziaria per il 2005 varata nel dicembre 2004 prevede un contributo pubblico di 150 euro nel 2004 e di 70 nel 2005 per chi acquista il decoder per la nuova tecnologia televisiva. Fra i principali distributori di decoder c’è Paolo Berlusconi, fratello di Silvio,titolare di Solaris (che commercializza decoder Amstrad).
21. Salva-decoder (2003). Il digitale terrestre è un affarone per Mediaset, che vi trasmette partite di calcio a pagamento, ma teme il mercato nero delle tassere taroccate: prontamente, il 15 gennaio 2003, il governo che ha depenalizzato il falso in bilancio porta fino a 3 anni con 30 milioni di multa la pena massima per smart card fasulle per le pay tv.
22. Salva-Milan (2002). Col decreto 282/2002, convertito in legge il 18 febbraio, il governo Berlusconi consente alle società di calcio, quasi tutte indebitatissime, diammortizzare sui bilanci 2002 e spalmare nei dieci anni successivi la svalutazione dei cartellini dei giocatori. Il Milan risparmia 242 milioni di euro.
23. Salva-diritti tv (2006). Forza Italia blocca il ddl, appoggiato da tutti gli altri partiti di destra e di sinistra, per modificare il sistema di vendita dei diritti tv del calcio in senso “collettivo” per non penalizzare le società minori privilegiando le maggiori. Il sistema resta dunque “soggettivo” , a tutto vantaggio dei maggiori club: Juventus, Inter e naturalmente Milan.
24. Tassa di successione (2001). Il 28 giugno 2001 il governo Berlusconi abolisce la tassa di successione per i patrimoni superiori ai 350 milioni di lire (fino a quella cifra l’imposta era già stata abrogata dall’Ulivo). Per combinazione, il premier ha cinque figli e beni stimati in 25mila miliardi di lire.
25. Autoriduzione fiscale (2004). Nel 2003, secondo “Forbes”, Berlusconi è il 45° uomo più ricco del mondo con un patrimonio personale di 5,9 miliardi di dollari. Nel 2005 balza al 25° posto con 12 miliardi. Così, quando a fine 2004 il suo governo abbassa le aliquote fiscali per i redditi dei più abbienti, “L’espresso” calcola che Berlusconi risparmierà 764.154 euro all’anno.
26. Plusvalenze esentasse (2003). Nel 2003 Tremonti vara una riforma fiscale che detassa le plusvalenze da partecipazione. La riforma viene subito utilizzata dal premier nell’aprile 2005 quando cede il 16,88% di Mediaset detenuto da Fininvest per 2,2 miliardi di euro, risparmiando 340 milioni di tasse.
27. Villa abusiva con condono (2004). Il 6 maggio 2004, mentre «La Nuova Sardegna» svela gli abusi edilizi a Villa Certosa, Berlusconi fa approvare due decreti. Il primo stabilisce l’approvazione del piano nazionale anti-terrorismo e contiene anche un piano (segretato) per la sicurezza di Villa La Certosa. Il secondo individua la residenza di Berlusconi in Sardegna come «sede alternativa di massima sicurezza per l’incolumità del presidente del Consiglio e per la continuità dell’azione di governo». Ed estende il beneficio anche a tutte le altre residenze del premier e famiglia sparse per l’Italia. Così si bloccano le indagini sugli abusi edilizi nella sua villa in Costa Smeralda. Poi nel 2005 il ministro dell’Interno Pisanu toglie il segreto. Ma ormai è tardi. La legge n. 208 del 2004, varata in tutta fretta dal governo Berlusconi, estende il condono edilizio del 2003 anche alle zone pro-tette: come quella in cui sorge la sua villa. Prontamente la Idra Immobiliare, proprietaria delle residenze private del Cavaliere, presenta dieci diverse richieste di condono edilizio. E riesce a sanare tutto per la modica cifra di 300mila euro. Nel 2008 il Tribunale di Tempio Pausania chiude il procedimento per gli abusi edilizi perchè in gran parte condonati grazie a un decreto voluto dal mero proprietario della villa.
28. Ad Mediolanum (2005).
Nonostante le resistenze del ministro del Welfare, Roberto Maroni, Forza Italia impone una serie di norme favorevoli alle compagnie assicurative nella riforma della previdenza integrativa e complementare (dl 252/2005), fra cui lo spostamento di 14 miliardi di euro verso le assicurazioni, alcune norme che forniscono fiscalmente la previdenza integrativa individuale (a beneficio anche di Mediolanum, di proprietà di Berlusconi e Doris) e soprattutto lo slittamento della normativa al 2008 per assecondare gli interessi della potente lobby degli assicuratori (di cui Mediolanum è una delle capofila). Intanto, nel gennaio del 2004, le Poste Italiane con un appalto senza gara hanno concesso a Mediolanum l’utilizzo dei 16mila sportelli postali sparsi in tutta Italia.
29. Ad Mondadori-1 (2005). Il 9 giugno 2005 il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti stipula un accordo con le Poste Spa per il servizio «Postescuola»: consegna e ordinazione – per telefono e on line – dei libri di testo destinati agli alunni della scuola secondaria. Le case editrici non consegneranno i loro volumi direttamente, ma tramite la Mondolibri Bol, una società posseduta al 50 per cento da Arnoldo Mondadori Editore Spa, di cui è mero proprietario Berlusconi. L’Antitrust esamina il caso, ma pur accertando l’indubbio vantaggio per le casse Mondadori, non può censurare l’iniziativa perché a firmare l’accordo non è stato il premier, ma la Moratti.
30. Ad Mondadori-2 (2005). L’8 febbraio 2005 scatta l’operazione “E-book”, per il cui avvio il governo stanzia 3 milioni. E a chi affidano la sperimentazione i ministri Moratti (Istruzione) e Stanca (Innovazione)? A Monda-dori e Ibm: la prima è di Berlusconi, la seconda ha avuto come vicepresidente Stanca fino al 2001.
31. Indulto (2006). Nel luglio 2006 centrosinistra e centrodestra approvano l’indulto Mastella (contrari Idv, An, Lega, astenuto il Pdci): 3 anni di sconto di pena a chi ha commesso reati prima del 2 maggio di quell’anno. Lo sconto vale anche per i reati contro la Pubblica amministrazione (che sul sovraffollamento della carceri non incidono per nulla), compresa la corruzione giudiziaria, altrimenti Previti resterebbe agli arresti domiciliari. Una nuova legge ad personam che regala anche al Cavaliere un “bonus” di tre anni da spendere nel caso in cui fosse condannato in via definitiva.
32. Lodo Alfano (2008). Nel luglio 2008, alla vigilia della sentenza nel processo Berlusconi-Mills, il Pdl tornato al governo approva il lodo Alfano che sospende sine die i processi ai presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio. Soprattutto del Consiglio. Nell’ottobre 2009 la Consulta boccerà anche quello in quanto incostituzionale.
33. Più Iva per Sky (2008). Il 28 novembre 2008 il governo raddoppia l’Iva a Sky, la pay-tv di Rupert Murdoch, principale concorrente di Mediaset, portandola dal 10 al 20%.
34. Meno spot per Sky (2009). Il 17 dicembre 2009 il governo Berlusconi vara il decreto Romani che obbliga Sky a scendere entro il 2013 dal 18 al 12% di affollamento orario di spot.
35. Più azioni proprie (2009). La maggioranza aumento dal 10 al 20% la quota di azioni proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio. La norma viene subito utilizzata dalla Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.
36. Ad listam (2010). Visto che le liste del Pdl sono state presentate fuori tempo massimo nel Lazio e senza timbri di autenticazione a Milano, il governo vara un decreto “interpretativo” che stravolge la legge elettorale, sanando ex post le illegalità commesse per costringere il Tar a riammetterle. Ma non si accorge che, nel Lazio, la legge elettorale è regionale e non può essere modificata da un decreto del governo centrale. Così il Tar ribadisce che la lista è fuorilegge, dunque esclusa.
37. Illegittimo impedimento (2010). Non sapendo più come bloccare i processi Mediaset e Mills, Berlusconi fa approvare il 10 marzo 2010 una legge che rende automatico il “legittimo impedimento” a comparire nelle udienze per sé stesso e per i suoi ministri, il tutto per una durata di 6 mesi, prorogabili fino a 18. Basterà una certificazione della Presidenza del Consiglio e i giudici dovranno fermarsi, senza poter controllare se l’impedimento sia effettivo e legittimo. Il tutto in attesa della soluzione finale, cioè delle nuove leggi ad personam che porteranno il totale a quota 40: “processo breve”, anti-intercettazioni e lodo Alfano-bis costituzionale. Cioè incostituzionale.
38. Processo lungo (2011). Prevede la possibilità per la difesa di presentare lunghe liste di testimoni a testimoniare in un processo e stabilisce che non si può più considerare come prova definitiva in un processo la sentenza passata in giudicato di un altro procedimento. Anche se il testo del governo precisa che questa norma non vale ad esempio per i processi di mafia e terrorismo.
E' un governo "Ad Personam", mentre l'italia inesorabilmente affonda
BARACK OBAMA: «TEMPO SCADUTO» L'INCUBO "DEFAULT" E' ALLE PORTE
Se il politico è un evasore....
“Se non è un’evasione questa…”. Daniele Barbieri è il segretario nazionale del Sunia, il sindacato degli inquilini ed assegnatari, e davanti alla lettera con cui il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha risposto sul Corriere alle accuse di pagare in nero l’affitto della casa a Roma del suo ex collaboratore Marco Milanese (ora coinvolto nell’inchiesta sulla P4), risponde senza esitazioni: “E’ una vergogna, quello che emerge da questa vicenda è un evidente caso di evasione fiscale, dove l’evasore ovviamente non è Tremonti ma Milanese, se è lui il proprietario dell’immobile”.
Nella risposta alla richiesta di chiarimenti che era stata pubblicata giovedì 28 luglio, sempre sulCorriere, da Sergio Romano, il ministro Tremonti sostiene di “essersi basato su di un accordo verbale revocabile a richiesta” e di aver “convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo”. Secondo Barbieri è proprio questa la prova dell’evasione.
“Esiste un'unica via per non pagare le tasse – dice il segretario del Sunia a Sky.it – ed è il comodato gratuito, cioè quando il proprietario di un appartamento decide di lasciarlo per qualche periodo a un’altra persona ma non chiede niente in cambio. Di solito questa fattispecie contrattuale viene utilizzata quando tra parenti o amici ci si scambia un favore, ma in molti casi è proprio dietro un contratto di comodato gratuito che si nasconde l’evasione, perché poi i pagamenti avvengono in nero”.
Non è questo il caso di Tremonti e Milanese, visto che sono stati loro a dichiarare che il pagamento dell’affitto avveniva in contanti (mille euro a settimana), anche se il titolare dell’Economia ha spiegato: “Nessun nero e nessuna irregolarità. Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini non era infatti dovuta l’emissione di fattura o vietata la forma di pagamento”.
Per Barbieri però non è così: “Milanese ha subaffittato, in tutto o in parte, un appartamento e un contratto di subaffitto è soggetto alle tasse. Io dico che se voleva coprire questa vicenda, avrebbe fatto meglio a inventarsi un’altra storia”. La conclusione è amara e polemica: “Mentre da un lato si intensificano gli strumenti per la lotta contro l’evasione fiscale, basti pensare alla cedolare secca, il ministro dell’Economia non trova niente di meglio che vivere in affitto senza pagare le tasse, come fanno tutti i comuni cittadini”. O quasi tutti.
A.A.A. Sindacato Cercasi
Penso al sindacato. Vengono in mente le donne dell'8 Marzo 1908, quando le operaie dell'industria tessile Cotton di New York, scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, ma l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire.
Scoppiò un incendio e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme.
Euro stangata per Mediaset
Un’altra tegola finanziaria cade su Silvio Berlusconi, questa volta col bollino europeo. La Corte di giustizia Ue ha confermato questa mattina che i contributi italiani per l'acquisto dei decoder digitali terrestri pagati dallo stato e decisi dal governo (Berlusconi) nel 2004 e nel 2005 costituiscono aiuti di stato incompatibile con il mercato comune.
La massima magistratura comunitaria ha pertanto respinto l'impugnazione di Mediaset rispetto alla decisione analoga del Tribunale UE che aveva confermato dell'operato della Commissione Ue che aveva bocciato l'intervento dello Stato e ordinato il recupero degli aiuti.
Ora il colosso dellla tv privata italiana dovrà restituire i soldi ottenuti. La decisione solla somma spetta alla magistratura italiana. Stima spannomatrica di oltre 50 milioni. Mediaset dice di averne già pagati 6,1. Sembrano pochi. Si vedrà.
Riassunto delle precedenti puntate.
Il processo di conversione dei segnali televisivi al sistema digitale avviato in Italia nel 2001, ricorda la Corte nella sentenza, prevedeva che il passaggio al sistema digitale si concludesse e che la trasmissione in tecnica analogica cessasse definitivamente entro il dicembre del 2006.
La data prevista per la cessazione delle trasmissioni analogiche è stata successivamente rinviata due volte, sino al 30 novembre 2012.
Con la legge finanziaria del 2004, l'Italia ha concesso un contributo pubblico di 150 euro a ogni utente del servizio di radiodiffusione che acquistasse o noleggiasse un apparecchio per la ricezione, in chiaro, dei segnali televisivi digitali terrestri (T-DVB/C-DVB). Il limite di spesa del contributo è stato fissato a 110 milioni. La legge finanziaria del 2005 ha reiterato tale provvedimento nello stesso limite di spesa di 110 milioni, riducendo tuttavia il contributo per ogni singolo decoder digitale a 70 euro.
A questo punto si muove Mediaset con un ricorso al Tribunale Ue con l'obiettivo di far annullare la decisione della Commissione.
Nel giugno del 2010, però, il Tribunale ha respinto il ricorso confermando che il contributo "costituiva un vantaggio economico a favore delle emittenti terrestri, quali Mediaset, in quanto aveva loro consentito di consolidare, rispetto ai nuovi concorrenti, la loro
posizione esistente sul mercato".
Passo successivo di Mediaset l'impugnazione della sentenza davanti alla Corte di giustizia. Oggi la Corte ricorda che, ai fini della valutazione della selettività di una misura, occorre accertare se essa implichi un vantaggio per talune imprese rispetto ad altre collocate in analoga situazione di fatto e giuridica.
Secondo la Corte, Il Tribunale "ha rilevato correttamente che i contributi di cui trattasi
hanno spinto i consumatori all'acquisto di decoder digitali terrestri, limitando i costi per le emittenti televisive digitali terrestri le quali, in tal modo, hanno potuto consolidare la loro posizione sul mercato rispetto ai nuovi concorrenti".
La Corte conferma inoltre che il Tribunale ha correttamente affermato che un aiuto di cui i beneficiari diretti siano i consumatori può nondimeno costituire un aiuto indiretto agli operatori economici, quali le emittenti televisive in questione. "Giustamente il Tribunale ha inoltre respinto l'argomento della Mediaset secondo cui la Commissione non avrebbe dimostrato la sussistenza di un collegamento tra il contributo e le emittenti di cui trattasi".
La Corte condivide anche il ragionamento del Tribunale secondo cui l'elemento di selettività basato sulle caratteristiche tecnologiche, che favorisce la tecnologia digitale terrestre rispetto a quella satellitare, ha comportato "una distorsione della concorrenza, ragion per
cui la misura di cui trattasi e' incompatibile con il mercato comune".
Inoltre, ritiene corretta l'affermazione del Tribunale per cui il diritto dell'Unione non impone alla Commissione di fissare l'importo esatto dell'aiuto da restituire. Al contrario, e' sufficiente che la decisione della Commissione consenta al destinatario stesso di determinare, senza
difficoltà eccessiva, tale importo secondo le modalità previste dall'ordinamento nazionale.
Inoltre, l'obbligo per le autorità nazionali di calcolare l'importo preciso degli aiuti da recuperare deriva dall'obbligo di leale cooperazione che vincola reciprocamente la Commissione e gli Stati membri nell'applicazione delle norme dell'Unione in materia di aiuti di Stato. "Correttamente il Tribunale ha quindi affermato che spetterà al giudice nazionale, laddove venga adito, fissare l'importo dell'aiuto da recuperare sulla base delle indicazioni delle modalità di calcolo fornite dalla Commissione".
Reazioni
Per David Sassoli, capogruppo PD al Parlamento Europeo, "respingendo il ricorso di Mediaset, i giudici europei confermano definitivamente la decisione della Commissione Europea che aveva contestato al governo Berlusconi di avere avvantaggiato le TV del Biscione incentivando con soldi pubblici l'acquisto di decoder digitali terrestri. Si tratta di una sentenza largamente annunciata vista la palese violazione - da sempre denunciata dagli esponenti del PD - della normativa europea in materia di concorrenza. Ancora una volta questa sentenza dimostra come il conflitto di interessi di Berlusconi abbia causato all'Italia anni di malgoverno e di sprechi economici".
Dark Pools, speculando con la nostra vita
Il mandante degli attacchi finanziari che stanno colpendo l'Italia è la finanza ombra che ha letteralmente stravolto il sistema economico mondiale e che rischia di produrre danni incalcolabili. Ogni giorno le cronache registrano il ruolo della speculazione nell’andamento altalenante sia dell’indice di Piazza Affari sia dei prezzi dei titoli obbligazionari dai quali dipende il famoso spread, cioè la differenza dell’interesse pagato sui titoli di Stato decennali italiani rispetto a quelli della Germania. La volatilità, cioè l’incredibile altalena che porta le borse a crescere di due punti percentuali per perderne il giorno dopo due o tre, trae origine diretta dalle piattaforme di contrattazione lanciate dalle grandi banche e operanti nel segmento Over the counter, cioè completamente non regolamentato.
Per capire di che cosa stiamo parlando basta qualche dato: durante il lunedì nero dell’11 luglio ad esempio, sul Chi-X (mercato parallelo gestito dalla banca d’affari giapponese Nomura) per il titolo Intesa SanPaolo sono passati di mano oltre 80 milioni di pezzi, rispetto ai 300 circa di piazza Affari (quasi il 30% di quanto scambiato dal titolo in Borsa Italiana); aggregando anche altre piattaforme alternative (in gergo chiamate MTF) come Bats e Turquoise, il valore si avvicina al 50%. Per Unicredit la quota scambiata sui mercati alternativi è risultata nella giornata di lunedì prossima al 25% di quanto fatto in Borsa. In gergo queste piattaforme sono chiamate “dark pools” (pozze scure): si tratta di borse alternative dove si possono negoziare grandi quantitativi di azioni senza che nessuno riesca a vedere i prezzi intermedi della contrattazione. Si vede solo il prezzo finale, quando i giochi sono fatti. E qui la speculazione, soprattutto quella ribassista, impazza con effetti incontrollabili.
L’associazione che raggruppa gli operatori specializzati in questo settore (Isda, International Swaps and Derivatives Association) si sta battendo contro qualsiasi nuova normativa che possa frenare il boom di attività su queste piattaforme che oltre che opache sono il terreno di caccia dell’high frequency trading, l’uccelliera dove il cacciatore spara raffiche di palline utilizzando sistemi informatizzati basati su astrusi algoritmi con l’obiettivo di comprare e vendere decine di milioni di pezzi di un titolo per la durata di un battito di ciglia per realizzare utili giganteschi.
Le dark pools hanno cominciato a proliferare in Europa dal 2007, dopo l’approvazione della normativa europea sui mercati finanziari Mifid che abolisce l’obbligo di concentrazione delle negoziazioni nei mercati regolamentati ed introduce nuovi sistemi di scambio. I cosiddetti Alternative Trading Systems o ATS (il nome ufficiale delle dark pools), che dovrebbero garantire la “best execution”, l’esecuzione delle negoziazioni alle migliori condizioni possibili per i clienti. Uno dei principi cardine della Mifid.
In pratica, se prima ci si rivolgeva a una banca per comprare 20mila azioni di Eni, la banca le poteva negoziare solo ai prezzi stabiliti dalla Borsa Italiana. Ora lo può fare anche passando per una borsa alternativa, che offre la possibilità di spuntare prezzi migliori. “Le dark pools hanno aumentato la concorrenza e l’efficienza delle operazioni finanziarie”, ha dichiarato recentemente la banca d’investimenti Goldman Sachs. “Ne hanno tratto vantaggio in particolare i piccoli investitori. Oggi comprare e vendere azioni costa meno, soprattutto per loro”. Tutto bene allora?
Non proprio. Anche perché le borse alternative possono facilitare la manipolazione dei prezzi e la speculazione. Lontano da occhi indiscreti. Uno dei primi a lanciare l’allarme è stato il finanziere americano Thomas Caldwell. “La proliferazione delle nuove borse private aumenta il rischio che i prezzi siano manipolati”, ha dichiarato Caldwell al Reuters Exchanges and Trading Summit già nel 2008. “Le banche che comprano e vendono azioni nelle dark pools possono avere informazioni privilegiate sui prezzi. Se non saranno regolamentate, la frammentazione dei mercati e l’internalizzazione degli scambi potranno diventare gli ingredienti di un nuovo grande scandalo finanziario”.
Sì, perché gli ATS oltre a spezzettare il mercato azionario permettono alle banche di internalizzare gli scambi, costruendosi borse su misura in casa. E’ quello che è successo, per esempio, con la piattaforma Turquoise, una dark pool creata nel 2007 da un consorzio di nove banche tra cui Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley e UBS. Il gotha della finanza mondiale. Attraverso Turquoise, che oggi è controllata dal London Stock Exchange (la borsa di Londra), passa poco meno del 3 per cento degli scambi sul MIB 30 (principale indice della borsa italiana), oltre il 9 per cento dell’FTSE100 (l’indice che comprende le 100 società più capitalizzate della borsa di Londra) e circa il 6 per cento del DAX (l’indice di riferimento della borsa tedesca).
Le stesse banche che hanno lanciato Turquoise sono anche azioniste della borsa alternativa Chi-X Europe. Chi-X, che è la più grande tra le borse alternative, tratta il 17,14 per cento degli scambi sulle imprese del MIB 40 italiano e il 24,62 per cento dell’indice FTSE 250 di Londra. “Nel primo semestre 2011 il volume di titoli scambiati su Chi-X Europe è salito a 860,9 miliardi di euro, con un aumento del 16 per cento rispetto al secondo semestre del 2010”, ha comunicato Chi-X in una nota diffusa il 19 luglio. “Ci confermiamo al secondo posto tra le borse europee come volume di scambi e al primo posto come numero di contrattazioni”.
Le contrattazioni di Chi-X Europe avvengono in buona parte alla luce del sole. Per gli ordini “al buio” ci si può rivolgere però a Chi-Delta, lanciata da Chi-X nel maggio del 2009. Nel primo semestre del 2011 sono passate per Chi-Delta 4,2 milioni di contrattazioni (+24% rispetto al secondo semestre del 2010) per un totale di 39,1 miliardi di euro. In base alle statistiche di Thomson Reuters, Chi-Delta è il maggiore libro d’ordini “al buio” in Europa.
La crescita inarrestabile delle dark pools non è un segnale confortante per la stabilità dei mercati azionari e tanto meno per il piccolo mercato borsistico italiano. I titoli azionari delle banche italiane sono sotto attacco da parte delle dark pools già dalla fine di giugno. Venerdì 8 e lunedì 11 luglio, i due giorni orribili dell’attacco speculativo al nostro paese, Unicredit e Intesa Sanpaolo erano ai primi posti nei libri d’ordini di Turquoise e Sigma-X (la dark pool di Goldman Sachs). Se non si introdurranno presto nuove regole, la speculazione sul nostro paese (e sulle altre borse europee) continuerà ad avvenire al buio, nelle “pozze scure” della finanza controllate dalle banche. Dove i fondi hedge e i grandi investitori internazionali continueranno ad agire indisturbati, pronti ad approfittare della prossima scintilla per far scoppiare di nuovo la corsa alla vendita di titoli e la successiva rincorsa del governo, con il solito corredo di promesse, manovre e tagli per “rassicurare i mercati”.
Tutto ciò ha permesso lo sviluppo di una mega ed incontrollata speculazione finanziaria che ha avuto origine, guarda caso la coincidenza, con l'avvento delle dark pool e della compravendita azionaria non controllata e non preventivamente regolamentata.
Se a ciò aggiungiamo la fragilità politica e sistemica dell'Europa unita soltanto da una moneta condivisa ma in realtà divisa politicamente, economicamente, finanziariamente e sociologicamente, il quadro che si delinea è completo.
Ed infatti gli attacchi speculativi degli ultimi anni nascono a suo tempo dall’abbandono del loro campo proprio da parte dei politici del continente (di destra e di sinistra), a favore delle volontà dei mercati, delle banche, delle agenzie di rating. E, proseguono con l’incapacità e la scarsa voglia della classe politica attuale di portare avanti un progetto di sviluppo complessivo e solidale del continente; tale indecisione contribuisce poi ad alimentare la crisi stessa, favorendo la speculazione. Intanto chi può, come la Germania, – che dovrebbe guidare il processo di rinnovamento del continente –, cerca invece di portare avanti una strategia alternativa, in direzione dello sviluppo dei legami con i paesi emergenti e in particolare con la Cina e la Russia.
E' pacifico che, questa crisi, non potrà che finire, prima o poi, o con l’uscita dall’euro dei paesi del Sud Europa, o con l’avvio deciso dell’Europa verso una unificazione economica e politica sostanziale.
E a nulla serve o servirà il piano di salvataggio varato nei giorni scorsi. Anzi al contrario sembra del tutto inadeguato rispetto alle scelte sulle questioni di fondo. Tra l’altro, il documento pretende di risolvere la crisi greca ma aspettiamoci, dopo i primi due, anche un terzo e forse un quarto pacchetto per salvare il paese ellenico. Con l’accordo, il rapporto debito/pil scenderà infatti per il paese dal 170% al 130%, che appare certamente ancora troppo elevato. La crisi, peraltro, non è ormai tanto quella della Grecia, o anche del Portogallo e dell’Irlanda, ma essa ha al centro l’Italia e la Spagna, paesi di ben altre dimensioni. Così, gli investitori esteri posseggono, grosso modo, solo per quanto riguarda il nostro paese, titoli pubblici per circa 800 miliardi di euro, di cui quasi i tre quarti sono nelle mani delle banche francesi e tedesche. Altro che esposizione verso la Grecia! In questo senso, la dotazione del fondo salva- stati (Efsf) appare nettamente inadeguata al compito.
Forse l'errore di fondo è stato trattare il problema della Grecia come un semplice problema di liquidità mentre si tratta invece di una crisi di solvibilità, di difficoltà strutturali legate al fatto che il paese non riuscirà mai a ripagare il suo enorme debito ed è destinata quindi all’insolvenza.
Le cause di tali problemi strutturali, comuni peraltro anche al nostro paese, sono certo legate da una parte alla dissennata politica di spesa pubblica perseguita in passato dalla Grecia come dall’Italia, ma anche e soprattutto, dall’altra, al fatto che l’economia di tali paesi non cresce più da tempo; in particolare, essi, insieme a Portogallo, Spagna, Francia, non sopportano un cambio dell’euro a 1,4 e oltre con il dollaro. Naturalmente pesa poi fortemente, in Europa come negli Stati uniti, in direzione di un alto livello di debito pubblico, lo sconquasso portato dalla crisi, sia in termini di maggiori uscite per sostenere l’economia che di minori entrate fiscali.
La mancata crescita dei paesi del Sud Europa è legata poi a molti fattori, non ultimo quello relativo al fatto che dal momento dell’ingresso nell’euro tali paesi non sono più stati in grado di svalutare la loro moneta per far fronte alla loro scarsa competitività.
Sicuramente avrenno qualche cinico speculatore finanziario in meno ed una stabilità ritrovata dei sistemi finanziari e del circuito bancario, anticamera di una migliore qualità delle nostre stesse vite.
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