Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.
La mazzata che si abbatte su Filippo Penati, il più influente fra i dirigenti del Pd milanese, segna un brusco risveglio dall’illusione che la vittoria elettorale del centrosinistra, e il lusinghiero risultato conseguito dal suo partito maggiore, potessero esentarlo dal fare i conti con la stagione della malapolitica. Il groviglio rimosso delle scelte sbagliate che troppo a lungo favorirono il predominio della destra nordista, ora è avvelenato dal dubbio giudiziario. Il ciclo storico della deindustrializzazione, quando gli immobiliaristi si imposero come potenze fameliche intorno alle aree degli stabilimenti svuotati, ha forse trascinato anche una sinistra indebolita nelle dinamiche del consociativismo e dell’affarismo?
E’ questa la domanda scomoda cui dovrà rispondere l’indagine della Procura di Monza per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti. Si ipotizzano quattro miliardi di tangenti (promesse o riscosse, non è chiaro) intorno all’ex stabilimento Falck di Sesto San Giovanni, negli anni in cui Penati era sindaco di quella città simbolo del movimento operaio. Prima di diventare segretario dei post-comunisti ambrosiani; poi ancora presidente della Provincia di Milano; e infine coordinatore della segreteria di Bersani.
Penati era già reduce da una bruciante sconfitta politica nelle primarie del centrosinistra milanese del novembre 2010, quando Giuliano Pisapia distaccò nettamente il candidato prescelto dal partito in base alla logica anacronistica del moderatismo: secondo cui una società immaginata congenitamente di destra mai avrebbe votato un sindaco dal netto profilo alternativo. Fu allora che Penati decise di lasciare l’incarico romano per fare ritorno al partito lombardo, su cui manteneva l’egemonia, forse nell’inconfessabile convinzione che Pisapia non ce l’avrebbe potuta fare.
Dirigente di vecchia scuola amendoliana, a lui era toccato il compito ingrato di confrontarsi non solo con la spregiudicatezza dei vari clan destrorsi, ma anche con la parabola disastrosa degli immobiliaristi e della finanza accorsa al loro capezzale quando si ritrovarono sommersi dai debiti. In tale contesto avverso, il professionista di una politica ridotta alla minorità ha sempre preferito “realisticamente” l’incontro allo scontro. Nessuno ha mai potuto dubitare della sua rettitudine. Di lui, uomo sobrio e gentile, tutto si può dire tranne che sia un rampante. Ma certo ha privilegiato la tattica rispetto alla strategia, gli interessi ai valori. Fino a meritarsi l’epiteto di “leghista di sinistra” per l’intima convinzione che fosse necessario assecondare gli umori popolari contro i rom e gli immigrati. Forse il più grave dei suoi errori: perché la visione distorta di una società assoggettata alla paura, ha impedito al Pd, troppo a lungo, di riconoscere i soggetti nascenti dell’opposizione al berlusconismo.
Naturalmente spetta alla magistratura verificare se l’eccesso di realismo e la subalternità ai disvalori della destra si siano tradotti pure in comportamenti illeciti. Stiamo parlando di vicende risalenti al decennio scorso. Nel frattempo l’area Falck, per cui il comune di Sesto San Giovanni ha rilasciato le concessioni entrate nel mirino degli inquirenti, ha conosciuto intricati passaggi proprietari. Suscitano forti appetiti, ma hanno contribuito a rovinose cadute, come quella di Luigi Zunino, sempre col paracadute delle banche che si accollano miliardi di debiti. Ormai non si sa più chi è il più debole fra i politici che disegnano i piani regolatori, i finanzieri spregiudicati che li contrattano e i superbanchieri che cercano di tappare i buchi. Come dimostrano le vicende parallele di don Verzè e di Salvatore Ligresti, fino a ieri percepiti come intoccabili, è un intero sistema che sembra prossimo a crollare. Non stupisce che trascini con sé settori trasversali della politica, ridotti in questa vicenda al mero ruolo di comparse.
Al di là delle responsabilità personali di Filippo Penati e degli altri indagati, è evidente che il Partito democratico è chiamato sul piano nazionale a fare i conti con l’idea malsana che la sua sopravvivenza politica necessitasse di una partecipazione corriva agli scambi interni dell’establishment. Non può passare in cavalleria la vicenda scandalosa dell’Enac, la società pubblica del trasporto aereo nel cui Cda sedeva –come se fosse normale- il responsabile di settore del partito. Che per giunta ora ha ammesso di avere percepito una tangente. Lo stesso vale per i procacciatori di finanziamenti della Fondazione Italianieuropei, della quale si ricorda un convegno sul sistema bancario, convocato proprio a Sesto San Giovanni, in cui sedeva tra gli ospiti più omaggiati Cesare Geronzi.
Il gruppo dirigente del Pd, a cominciare dal segretario Bersani, non possono attendere le risultanze delle inchieste giudiziarie per provvedere a un’autoriforma severa delle pratiche relazionali improprie. Gli errori di linea politica compiuti a Milano, prima che dall’esterno del partito giungesse salvifico il vento del cambiamento, non sono certo un episodio isolato. Serve un pubblico discorso di verità, pena la rivolta dei cittadini che aspirano a una politica davvero democratica per risollevare il paese precipitato in un baratro economico e morale.
Quanto a Filippo Penati, deve spiegare al più presto, con la massima trasparenza e senza attendere le contestazioni dei magistrati, il suo operato al tempo in cui era sindaco di Sesto San Giovanni e gestiva la destinazione delle aree industriali dismesse. Lo deve alla sua biografia, lo deve al partito in cui Bersani gli assegnò incarichi di direzione nazionale, lo deve alla cittadinanza nauseata dal malgoverno affaristico del centrodestra lombardo. Comprendo che ciò possa risultargli doloroso, ma la sua stessa sensibilità credo dovrebbe indurre Penati a lasciare -in attesa di un chiarimento definitivo- l’incarico istituzionale di vicepresidente del Consiglio regionale lombardo.
Gad Lerner
la mela è marcia ed i vermi mangiano da destra e da sinistra
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