Sono nata a Londra il 10 maggio 2011 sotto il segno del Toro ascendente Cancro, umore instabile e variabile, mutevole come il tempo londinese. Sono un’emigrata privilegiata, sono atterrata a Londra lavoromunita.
Usi e costumi made in Uk. Ho trovato lavoro grazie ad una segnalazione. Non si è trattato dell’italico uso del “figlio/nipote di”, ma di una pratica comune in molti uffici londinesi. Sto parlando del refer a friend, “raccomanda un amico”. Funziona così: un semplice impiegato sottopone all’azienda il cv di qualcuno le cui caratteristiche rispondano all’offerta del momento. Se il processo di reclutamento va a buon fine, il raccomandato avrà un lavoro e il referente un bonus produzione. Chiaramente ho fatto due colloqui e ho superato tre mesi di prova. Ma sono stataufficialmente raccomandata!
Felicità vs open space. Lavoro in un open space che si popola alle nove del mattino. Il bon tonda ufficio prevede che non ci si saluti mai, a meno che l’incontro con le altre forme di vita impiegatizia non avvengano in cucina, in corridoio o a causa di scontri fortuiti. Nell’open space si condivide solo l’aria che si respira, per il resto ognuno sta solo nel suo metro quadro. Ci si isola dietro grosse cuffie, si mangia davanti al pc, ci si spruzza il deodorante a intervalli regolari, si mangia salmone affumicato alle 10 del mattino. Fa parte di quella legge non scritta per cui, in particolare gli inglesi, riescono a proteggere lo spazio privato in mezzo ad una folla di gente.
Felicità non fa rima con tempestività. Nel mio ufficio funziona così: per quanto sia un posto di presunta creatività, – siamo per lo più web designer - si è sottoposti a una organizzazione da ministero. Qualsiasi richiesta, dalla più semplice (“scusa dove sono i file sorgenti?”) alla più complessa (“un file è scomparso durante la pubblicazione”), conta almeno tre passaggi di email, per giungere alla conclusione che: devi aspettare, perché la persona che ti deve aiutare è inevitabilmente busy.
Felicità: easy & busy. Dopo otto anni da precaria italiana, la mole di lavoro da smaltire nella mia azienda londinese mi sembra decisamente inferiore a qualsiasi altra esperienza. Questione di percezione? I miei colleghi sono sempre stanchi e busy, anche se palesemente intenti a fissare lo schermo del pc. Dopo un po’ di mesi ho capito che si tratta di una prassi aziendale. Bisogna sempre dire che si è busy e che “ahimè, è solo lunedì”. E in barba allo stakanovismo, non appena sono le 18.00, c’è la fuga generale!
Felicità? Non essere licenziati. Pochi mesi dopo il mio arrivo, l’azienda si è fusa con uncompetitor. Il che ha dato inizio a una lunga serie di riunioni-entertainment. Tra un muffin e un tè, abbiamo scoperto gli innumerevoli benefici della fusione. L’epilogo è stato il licenziamento dei quadri manageriali e il taglio di un intero dipartimento. Mesi di attese e convocazioni, senza particolari esternazioni di emozioni, se non da parte dei lavoratori/lavoratrici non nativi inglesi, che hanno rotto il tabù, parlando delle preoccupazioni dell’imminente licenziamento. Niente sindacato. Contrattazione lasciata al buon senso delle persone che si sono unite e hanno fatto fronte comune. Un contratto a tempo indeterminato non è per sempre. La vita lavorativa resta sempre un po’ in bilico con quel pizzico di malessere dato dalla precarietà. Ma su questo punto io, modestamente, sono già preparata.
di Daniela Miele, impiegata a Londra
Una precaria italiana a Londra
Il nostro Bavaglio
di Norma Rangeri
Nel momento di massima crisi del paese, sarebbe un grave errore sottovalutare le strategie di resistenza di Berlusconi e del suo governo. Tanto più che le tre mosse con cui il presidente del consiglio tenta di difendersi sono in piena luce. L'uomo che ammorba l'aria, per citare le parole del cardinale Bagnasco, ha già predisposto il piano di attacco: imbavagliare, blindare, chiudere ogni forma di comunicazione e informazione (televisione, giornali, intercettazioni). Come è naturale per un regime mediatico che ha nel conflitto di interessi il peccato originale che lo ha fatto nascere e vivere per tutti questi anni.
Nel disperato tentativo di prolungare l'agonia del tramonto, è questa l'ultima carta che il berlusconismo gioca per reggere l'onda d'urto che farà ballare piazze e palazzi sotto i colpi delle draconiane misure di austerità chiamate «decreto sviluppo». Controllare, deformare, manipolare l'informazione è fondamentale per comunicare una realtà fittizia capace di attenuare l'effetto-Grecia che incombe. Diventa cruciale raccontare l'ultima favola all'opinione pubblica e agli elettori, tanto più se chiamati alle urne in tempi brevi.
La cancellazione dai palinsesti della Rai dei programmi di punta dell'antiberlusconismo, mai riuscita negli anni delle vacche grasse, può considerarsi missione compiuta oggi quando la popolarità del leader è ai minimi storici. La legge sulle intercettazioni (con particolare accanimento contro il web: macchina formidabile nella diffusione della critica al potere) è attivata e procede a marce forzate in parlamento. La chiusura di 100 testate (giornali in cooperativa, di partito, di ogni colore politico, compresi persino i fogli diocesani) è all'ordine del giorno, inevitabile con il taglio dei fondi all'editoria in agguato con la prossima legge di stabilità.
Come i nostri lettori e sostenitori sanno, per noi è questione di vita o di morte, come scriviamo da quando, era il 2008, è cominciata la manovra di strangolamento dell'editoria no-profit della coppia Tremonti-Berlusconi, divisa su tutto, in totale sintonia su questo punto. Finora siamo riusciti a sopravvivere grazie al sostegno di quell'editore collettivo rappresentato dalle generazioni che hanno letto e leggono un quotidiano nazionale in cui ritrovano storia e ideali della sinistra italiana. Ma il finanziamento pubblico trasparente, se non hai un editore o un partito o un Lavitola alle spalle, è indispensabile per reggere i costi di carta e stampa. La pubblicità è solo cosa loro (della tv e di Mediaset innanzitutto) e per i giornali restano le briciole. Nel paese piagato da un mortificante analfabetismo, chiudere 100 testate significa togliere ogni giorno dalle edicole 400 mila copie e aumentare l'esercito dei senza lavoro di quattro mila persone (i costi degli ammortizzatori sociali ammonteranno al doppio del budget attualmente stanziato per l'editoria ).
In fondo la richiesta-appello lanciata da Michele Santoro (sottoscrivere dieci euro per una tv di servizio pubblico), è animata dallo stesso bisogno e impegno che ha fatto nascere e vivere il manifesto negli ultimi quarant'anni.
Berlusconi: anche la chiesa lo invita ad andare....
«Mortifica soprattutto dovere prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro, ma intrinsecamente tristi e vacui». «Non è la prima volta che ci occorre annotarlo; chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della serietà; della disciplina e dell'onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda». «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale». «C'è da purificare l'aria perché le nuove generazioni - crescendo - non restino avvelenate».
Queste ed altre, ancora più pesanti, parole sono state pronunciate dal cardinal Bagnasco alla recente assemblea della Cei. Un attacco così duro da parte del Vaticano non credo che Berlusconi se lo aspettasse e non so proprio come pensi di reagire. Il dato di fatto è che Berlusconi non va più bene a nessuno, né al Vaticano e neppure alla Confindustria. E' diventato insopportabile anche a forze storicamente di destra come l'associazione degli imprenditori e la Chiesa cattolica, pur fatte le dovute differenze.
Eppure questo governo sopravvive, peggiorando ulteriormente la situazione del paese. Regge perché la destra confindustriale non ha più la forza e la progettualità degli anni passati e anche il Vaticano non sta messo tanto bene. La destra ha scaricato Berlusconi, ma c'è una sinistra in grado di dare la spallata finale? Questo è l'interrogativo cruciale. Ancora - va detto - non c'è in campo un'opposizione capace di formulare un programma di governo e organizzare una mobilitazione di massa per disarcionare il cavaliere, capo di un governo sempre più personale e clientelare. Che cosa è il Pdl se non una sommatoria di interessi particolari e abbastanza corrotti. Credo che mai ci sia stata in Italia una maggioranza di governo così eteroclita e d'affari e, aggiungerei, legata dal massimo della corruzione italiana.
Siamo - è una ripetizione - in una situazione di grave crisi (la disoccupazione cresce), se c'è ancora una sinistra, una forza democratica, batta un colpo. E presto. Più tempo passa più la situazione peggiora, più il paese perde di forza e di dignità. Se Berlusconi non va più bene neppure al Vaticano, darsi una mossa sarebbe obbligatorio.
In questa situazione di straordinaria emergenza forse sarebbe utile una riunione di tutte le forze di opposizione per definire un comune programma di emergenza per riportare il paese a una normalità democratica e ai suoi oggettivi conflitti.
Euro Bond: Missione Impossibile!
Italia&Berlusconi SCADUTI:Ecco perchè DEVE dimettersi!
QUANDO PARLA BERLUSCONI
Degno di nota il fatto che la situazione relativa dell'Italia è drammaticamente peggiorata dopo che Giulio Tremonti, messo sotto accusa per la vicenda di Marco Milanese, per difendere la sua posizione ha sostenuto che era lui il garante dei conti pubblici “chi mi attacca, attacca il Paese”(punto 4 in nero nel grafico).
In effetti è stato il segnale peggiore che si potesse dare ai mercati. Un ministro con un minimo di senso dello Stato avrebbe dovuto sostenere che, indipendentemente dall’evoluzione della sua situazione personale, i conti pubblici sarebbero stati tenuti comunque sotto controllo. Un altro evento che ha fatto aumentare considerevolmente lo spread italiano rispetto a quello spagnolo è il discorso di Silvio Berlusconi alla Camera e Senato il 3 agosto. Era stato annunciato come un discorso fondamentale, ma in realtà era privo di qualsiasi novità rilevante per gli investitori: come sempre questi discorsi sono molto peggio dei non discorsi. Poi ancora la decisione di tenere chiuse le Camere per 6 settimane nel mezzo della tempesta, proprio mentre il da poco dimissionario José Luis Zapatero annunciava che avrebbe rimandato le sue ferie. Tutti gli eventi muovono lo spread nella direzione che, a priori, si ritiene plausibile. L’unica eccezione è l’annuncio di Berlusconi circa il fatto che sarebbe stata varata una nuova manovra entro il 18 agosto. Questo annuncio (punto 9 in nero) non sembra avere avuto alcun effetto sulla posizione relativa dell’Italia. A quanto pare contano i fatti più che gli annunci soprattutto quando gli annunci sono del nostro presidente del Consiglio. La rapida approvazione della prima manovra a inizio luglio sotto la pressione di Giorgio Napolitano (punto 5 in nero) ha, invece, migliorato la posizione relativa dell'Italia.
Guardando alla Spagna, l'approvazione della riforma delle pensioni (punto 3 in rosso), l’introduzione di nuove misure di contenimento fiscale (punto 6 in nero) e la decisione di includere nella Costituzione il pareggio di bilancio (punto 9) sembrano essere stati efficaci nel migliorare la posizione relativa della Spagna. L’annuncio a fine luglio da parte di Zapatero dell’anticipo a novembre delle elezioni (punto 4) rispetto alla loro scadenza naturale non sembra aver peggiorato lo spread spagnolo che era invece aumentato dopo che il quotidiano El Paisaveva chiesto le sue dimissioni dieci giorni prima (punto 2 in nero).
Quindi quei 110 punti di ritardo accumulati sin qui rispetto alla Spagna sembrerebbero proprio riflettere ritardi nella reazione del nostro governo almeno rispetto a quello (pur dimissionario) spagnolo. Significativo il fatto che siano state organizzate visite di ministri e banchieri spagnoli a New York e nei grandi centri finanziari per promuovere i titoli di stato iberici e che il sito del Tesoro spagnolo, a differenza del sito del Tesoro italiano, pubblichi sistematicamente informazioni utili agli investitori e metta in rilievo ogni riforma varata in quel paese.
Durante una crisi di credibilità conta invertire le aspettative e per questo la comunicazione è fondamentale. Nonostante il nostro presidente del Consiglio abbia grande competenza in merito non sembra certo averla messa al servizio del paese. Forse aveva altre cose da fare….
LE CONSEGUENZE DELLO SPREAD
Cosa significano 110 punti base in più di interessi da pagare.? A regime implicano una spesa aggiuntiva per interessi sul debito superiore a un punto di Pil, circa 20 miliardi. La spesa per interessi cresce per fortuna gradualmente, man mano che i titoli vanno a scadenza e vengono rinnovati con nuove emissioni. Circa quattro miliardi in più nel primo anno, poi otto nel secondo anno fino a raggiungere venti miliardi nell’arco di sette-otto anni. Quindi siamo ancora in tempo se vogliamo evitare di pagare questa tassa legata all’inadeguatezza del nostro governo. Ma il tempo stringe perché diventa ogni giorno più difficile invertire le aspettative, che tendono a consolidarsi quando lo spread rimane alto così a lungo.
C'è anche un problema di credibilità personale del nostro presidente del Consiglio nella dinamica dello spread relativo. Ci sono studi tra l’economia e la psicologia, basati su tecniche di priming, che documentano come gli individui messi a conoscenza di particolari poco edificanti sulla vita privata dei leader politici rinuncino a comprare i titoli di stato di quei paesi. Questo spiegherebbe il nuovo allargamento dello spread dopo la pubblicazioni delle nuove intercettazioni sulla vita privata del nostro premier. Per capire quanto sia rilevante, ponetevi la seguente domanda: comprereste un auto usata da chi, ne avete la prova, in pubblico dice una cosa e, in privato, ne fa un’altra? Finché rimane a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi è, volenti o nolenti, il primo venditore dei nostri titoli di stato e non vi è dubbio che il mercato ci fa pagare un prezzo anche per la sua scarsa credibilità personale. Dato che ai nostri ministri piacciono i termini inglesi per denominare i nuovi balzelli, diciamo che una parte non piccola di quei 110 punti potrebbe essere una …. Papi’s tax.
Berlusconi DIMETTITI: se non ora quando?
Ora sono tutti d'accordo. Anzi: ora siamo tutti d'accordo: Berlusconi deve andarsene. Se non se ne va andiamo incontro a una catastrofe nazionale. Lo dice da tempo la Repubblica, ha iniziato a dirlo con chiarezza crescente il Corriere della Sera. Lo dice la Camusso; lo dice la Marcegaglia. Con la consueta efficacia e autorevolezza lo ha detto Eugenio Scalfari (Repubblica, 18 settembre). Lo dicono, anche se con qualche significativa distinzione, i partiti di opposizione. E ora lo dicono persino le agenzie di rating (l'unica che ancora non parla, a dir la verità, è la Chiesa: cosa che ancora una volta riapre la riflessione sulla presenza nel suo seno di un millenario conflitto fra missione spirituale e interessi temporali: prevalenti in genere questi ultimi sulla prima).
Il quadro, dunque, faticosamente e progressivamente, si è chiarito. E però ... e però un inconveniente grave è rappresentato dal fatto che il principale interessato, il Cavalier Berlusconi, non ha nessuna intenzione di andarsene e dispone di una maggioranza parlamentare disposta a seguirlo fino in fondo, qualsiasi cosa, anche la più ributtante accada, nella sua pervicace difesa del posto. La «moral suasion» in questo caso, - è ormai ampiamente dimostrato, - non funziona, perché non è nelle condizioni di funzionare.
Se le cose stanno così, - e cioè: se si diffonde sempre più la persuasione che la permanenza del governo Berlusconi apre le porte a una vera e propria catastrofe nazionale; e se colui il quale, per evitare una vera e propria catastrofe nazionale, non ha nessuna intenzione di fare il famoso «passo indietro» (chiariamo bene questo punto: Silvio Berlusconi non farà mai, mai, mai il famoso «passo indietro»), che si fa per renderlo necessario? Proporrei di spostare il discorso, da questo momento in poi, dal perché sia esso necessario ai modi possibili per renderlo necessario. Cioè: tornare a parlare di politica allo scopo di contrapporre all'imminente, e in queste condizioni, se nulla di nuovo sopravviene, inevitabile catastrofe nazionale, una risposta comune, un disegno all'altezza della difficilissima situazione.Deposta la prospettiva (tanto deprecata) del cosiddetto «golpe democratico» (ma se è vero come è vero che siamo a un passo dalla catastrofe, qualche misura di tipo emergenziale si renderà comunque necessaria, - o no?), il mio ragionamento si compone di tre punti, strettamente connessi, anzi interdipendenti fra loro, come si vedrà meglio in conclusione.
Il primo è: non si può imboccare una nuova strada, ridare fiato e speranza alla gente, mobilitare lo spossatissimo paese, senza nuove elezioni. Governi tecnici, di transizione, inciuci di vario genere, governo di centro-destra senza Berlusconi ecc. ecc., sarebbero toppe in uno scafo che cede tutto. Nuove elezioni con il vecchio sistema elettorale? Sì, anche, se il quadro politico si sarà sufficientemente chiarito. C'è bisogno che il popolo sia chiamato a decidere: se ciò non avverrà, un ulteriore sprofondamento non sarà evitabile. Una campagna elettorale estremamente concentrata, anzi concentratissima, di due mesi, e poi al voto.
Alle elezioni, - a queste elezioni, - non può non andare (secondo punto), per evitare la catastrofe berlusconiana, una coalizione di «emergenza democratica», un centro-sinistra-centro estremamente allargato. Il Terzo Polo deve decidersi: o sta con Berlusconi o con i suoi cascami, oppure contribuisce significativamente a dare inizio alla nuova fase. E le forze che compongono il cosiddetto Nuovo Ulivo debbono muoversi compattamente nella medesima direzione. Si presti attenzione a questo punto: Berlusconi resta in sella e porta il paese verso la catastrofe, non solo perché non ha nessuna intenzione di fare il famoso «passo indietro», ma anche perché le opposizioni, per quanto possa apparire incredibile, non hanno finora enunciato l'intento comune di rovesciarlo insieme mediante il voto. Invece c'è bisogno di questo, - ossia non se ne può proprio fare a meno, - perché la tragicommedia abbia fine. Obiezione: che può fare un governo fondato su di una tale eterogenea coalizione? Può fare molto: può fronteggiare più efficacemente e in maniera al tempo stesso più equa la crisi economica; può ristabilire le regole del gioco, rimettere in auge la Costituzione, la separazione dei poteri, il rispetto della giustizia e della moralità pubblica; può limitare i costi della politica, ridurre le dimensioni della rappresentanza, allargare al tempo stesso la sfera della classe dirigente al di là dei confini logori e spesso screditati del ceto politico tradizionale; può fare una nuova, decente legge elettorale. E, se ci si pensa bene, solo un tale governo può, nell'attuale situazione, fare tutto questo. Inoltre: è chiaro che una campagna elettorale, e un governo, impiantati su questa prospettiva, non provocherebbero soltanto la definitiva sconfitta personale di Silvio Berlusconi, ma la deflagrazione altamente probabile del suo partito di carta: il Pdl: ci sarebbe unicamente il problema di fronteggiare e vagliare quanti fra i suoi aderenti ed esponenti correrebbero verso la nuova sponda.
Perché il processo descritto abbia inizio, condizione essenziale, ovviamente, perché si compia (terzo punto), è che si vada al voto. Al voto, - resistente oltre misura, come più volte si è detto, il Presidente del Consiglio, - si può andare solo con lo scioglimento delle Camere. Torna in gioco l'interpretazione (e la conseguente, eventuale applicazione) dell'art. 88 della Carta Costituzionale: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Ho chiesto più volte agli esperti costituzionalisti, di cui è ricco il campo democratico, di pronunciarsi su tale testo, ma non ne ho avuto risposta alcuna. A me è del tutto chiaro che la prassi instauratasi nel tempo ha reso lo scioglimento delle Camere, come dicono i giuristi, un atto «complesso e duale», il quale cioè comporta, accanto alla firma del Presidente della Repubblica, la controfirma del Presidente del Consiglio.
A me non pare però che questo stia scritto nella Costituzione, né mi pare che i casi di controfirma elencati con precisazione nell'art. 89 si adattino a quello, di tutt'altra natura, rappresentato dallo scioglimento delle Camere. Forse la strada giusta è leggere gli art. 87, 88 e 89 come un tutto unico, logicamente concatenato e coerente: se il Presidente della Repubblica, colui che scioglie le Camere, ha la facoltà di farlo in quanto è «il capo dello Stato e il custode dell'unità nazionale (art. 87), forse l'eccezionalità della situazione (la follia familistico-politica di Umberto Bossi, recentemente ridispiegatasi, offre anche su quest'altro versante un contributo rilevante alla sempre più probabile implosione italiana), consentirebbe un riavvicinamento alla lettera (e secondo me allo spirito) della Costituzione.
Insomma: gli italiani dovrebbero esser messi nella condizione di poter scegliere loro da che parte stare; la scelta, come accade in tutte le situazioni di emergenza, è molto elementare; per farlo, e farlo bene, ci vorrebbe una concertazione spontanea e al tempo stesso molto intelligente fra istituzioni, forze politiche non-berlusconiane e società civile dissidente. Se ci sono altre strade, bisogna dirlo, e presto.
Berluscone-Nerone si salva. L'Italia No!
La Casta ha salvato anche Marco Milanese. 312 sì contro 305 no e parere negativo della Camera all’arresto nei confronti dell’ex braccio destro del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, accusato di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e associazione per delinquere nell’ambito dell’inchiesta P4. Si è trattato, però, di una vittoria striminzita. Le manette per il deputato Pdl, infatti, sono state evitate per soli 7 voti (forse 6, perché quello di Enrico Letta del Pd non sarebbe stato conteggiato). Anzi 3, se si considera che la maggioranza richiesta era di 309 preferenze contrarie all’arresto. E mentre i vertici di Pdl e Lega hanno subito convocato un vertice per comprendere chi fossero i disobbedienti, nella maggioranza è scoppiata la polemica sull’assenza di Tremonti, volato a Washington per la riunione del Fondo monetario internazionale. Per il sottosegretario Daniela Santanché, il comportamento del ministro del Tesoro è stato “semplicemente vergognoso”. In serata, però, è stato lo stesso Milanese ad ‘assolvere’ Tremonti, ampiamente giustificato “perché in missione all’estero”. Ma non basta: le frizioni tra Pdl e ministro restano. Come i dubbi sulla tenuta della coalizione che governa il Paese.
L’immagine più gettonata è quella dell’imperatore Nerone. L’inetto sovrano sorride lieto e spensierato suonando la lira mentre alle sue spalle Roma brucia. E’ questa, con qualche variante stilistica, la vignetta scelta da diversi quotidiani europei per descrivere il surreale sfascio dell’economia italiana. Un’allegoria che, manco a dirlo, non ha il volto dell’iconografia classica, né tantomeno quello cinematografico dell’immenso Peter Ustinov, bensì, ovviamente, quello di un festante Silvio Berlusconi. Nel giorno in cui il premier incassa un’importante prova di fiducia da parte della sua maggioranza,capace anche a scrutinio segreto di salvare il collega Milanese, i mercati sfiduciano il sistema Italia. Colpendo ancora una volta la borsa e spingendo nuovamente al rialzo gli interessi sui titoli di Stato.
Nella giornata, molto negativa per altro per l’intero continente, in cui Piazza Affari ha chiuso malissimo: -4,52%. Un risultato leggermente migliore rispetto a Madrid (-4,68%), Francoforte (-4,96%) e Parigi (-5,25%). A incidere sul ribasso i soliti noti, già protagonisti del downgrade di ieri ad opera di Standard & Poor’s: Unicredit, il titolo più scambiato, viaggia ormai a quota 65,9 centesimi per azione dopo aver ceduto oggi il 6,27%. Resiste Intesa, che perde solo 1,5 punti percentuali, mentre chiudono in forte ribasso Eni (-5,28%), Enel (-5,10) e Fiat (-4,55). Alle 18 lo spread Btp/Bund viaggiava a quota 396 dopo aver nettamente sfondato questa mattina i 400 punti base. Pessime notizie dall’over the counter, il mercato extra borsistico: il valore dei credit default swaps sui titoli sovrani italiani si colloca secondo la società di analisi Markit a quota 545 punti, 400 in più, circa, rispetto al prezzo del maggio scorso. Per assicurare un credito di 10 milioni con lo Stato italiano si pagano oggi 545 mila euro contro i 450 mila circa che devono spendere, per esempio, i creditori di Madrid. La probabilità teorica di un default italiano a 5 anni, stimano gli analisti di Cma, è del 38%. Il livello più alto di sempre.
Certo, la speculazione al ribasso è sempre presente e l’attuale architettura del sistema finanziario non fa granché per difendere i mercati. Insomma, il peso delle “operazioni corte” e la mancanza di autodifesa delle major bancarie e industriali più colpite (refrattarie evidentemente al buyback) sono noti e meriterebbero una trattazione sconfinata. Ma adesso, a differenza di quanto accadeva in estate, non si può dare principalmente la colpa ai mercati. Comunque la si pensi è certo che il blocco delle vendite allo scoperto ha saputo restituire una certa stabilità alle piazze finanziarie. Lo si vede dal calo dei volumi contrattuali sui titoli più esposti (Unicredit, Fiat e Intesa soprattutto) e lo si intuisce dalle più moderate oscillazioni sullo spread. Insomma, sul differenziale Btp/Bund non si spostano più 150 punti base in tre sedute, come accadeva a luglio, ma ciò non toglie che il divario sui rendimenti dei titoli abbia toccato di nuovi i massimi storici. E fatti due conti non è difficile capire il perché.
Il mercato italiano, concordano ormai gli analisti, non sconta soltanto l’onda lunga della crisi greca, che si abbatte sull’intera area euro spingendo al ribasso gli indici di borsa, ma paga, in modo particolare, i giudizi “politici” delle agenzie di rating. Solo che “politici”, occorre specificare, non significa “politicizzati”. Come a dire che agli analisti di Standard & Poor’s non importa minimamente di dare giudizi ideologici. Per gli osservatori conta solo la capacità dell’esecutivo di rispondere alla crisi e ai problemi del sistema Paese. Il fatto che questa incapacità discenda poi dall’inadeguatezza della classe politica attuale è semmai un problema nostro. Non certo dei mercati, quindi, che alla luce degli ultimi avvenimenti, seguono l’unico trend logico: quello del ribasso. Perché alcuni titoli azionari saranno pure obiettivamente sottovalutati. Ma di fronte a certi giudizi è impensabile che il loro valore possa risollevarsi nel breve periodo.
La sequenza causale è ormai evidente. Tutti, dall’Ue al Fmi fino al governo stesso, hanno dovuto rivedere al ribasso le prospettive di crescita dell’economia italiana (anche quest’anno non si arriverà alla soglia dell’1%). Le riforme vere latitano anche se in questo caos generalizzato qualcuno ha incassato le sue vittorie (si pensi al rinnovato potere di contrattazione guadagnato dalle imprese sui sindacati dopo il clamoroso precedente del referendum Fiat), e gli osservatori si adeguano. Standard & Poor’s ha dapprima declassato l’Italia, poi, di conseguenza, le sue “blue chips”, a cominciare da quegli istituti bancari che sono maggiormente esposti ai bond nazionali. Infine, le borse si sono adeguate. Nel senso che gli investitori, anche e soprattutto quelli “lunghi” (i fondi pensione ad esempio) hanno preso a disfarsi dei titoli italiani tanto sul fronte azionario quanto su quello obbligazionario. Insomma, il meccanismo è chiaro così come chiara è la necessità di un’inversione di tendenza figlia a sua volta di una rinnovata fiducia nella terza economia dell’area euro. Peccato però che la fiducia occorra meritarsela.
Italia, declassamento e default: GAME OVER
L’italia sempre più nel mirino delle agenzie di rating. Dopo avere modificato in negativo il rating generale del nostro paese, l’agenzia Standard&Poor’s ha declassato sette istituti di credito italiani, tra cui Intesa Sanpaolo e Mediobanca. A pesare sono soprattutto l’instabilità politica e quei 150 miliardi di euro di debito che gli istituti hanno acquistato, senza contare le prospettive economiche sempre più nere sulla crescita italiana dopo le previsioni al ribasso del Fondo monetario internazionale.
I rating a lungo termine di Ca’ de Sass e Piazzetta Cuccia scendono entrambi da A+ ad A. Per altre otto banche, tra le quali Unicredit, l’outlook e’ stato invece rivisto da ‘stabile’ a ‘negativo’.
Abbassato da A+ ad A anche i rating di Findomestic, Banca Imi, Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo e Cassa di Risparmio di Bologna. In tutti e sette i casi il rating di breve termine resta confermato ad ‘A-1′ e l’outlook è negativo. A Bnl è stato ridotto anche il rating di breve termine, da A-1+ ad A-1, mentre il rating di lungo termine passa da AA- ad A+. Anche in questo caso l’outlook è negativo.
Le altre banche per le quali è stato tagliato solo l’outlook sono Istituto per il Credito Sportivo,Banca Fideuram, Agos-Ducato, Cariparma e le sussidiarie di Piazza Cordusio Unicredit Bank Ag, Unicredit Bank Austria Age Unicredit Leasing.
Sulla questione del declassamento delle banche e soprattutto sull’incubo default abbiamo ascoltato il parere di Corrado Passera. “Quello che ho detto recentemente sul default – ha detto Passera – vuol dire che non è probabile, né tanto meno che ce lo aspettiamo. Però dobbiamo sapere, come qualsiasi altro Paese, che quando si mettono insieme alti debiti e bassa crescita, e anche bassa credibilità, ci sono rischi anche di quel tipo”. Per Passera però “è un rischio che possiamo totalmente evitare, è un rischio che l’Italia ha tutti gli strumenti per superare e gestire. Sta a tutti noi classe politica per prima e classe dirigente nel suo complesso, assicurare che l’Italia passi attraverso questa fase in modo piu’ indolore possibile”. Passera, più in generale, ha poi ribadito che il sistema delle banche italiane tiene nonostante la crisi: “Le banche italiane hanno dimostrato di saper tenere – ha affermato – e lo hanno dimostrato nelle due crisi del 2008-2009. Ci siamo preparati anche per questa seconda tornata di crisi: parlo soprattutto per noi, ma penso anche alle altre banche. Abbiamo anticipato gli aumenti di capitale, abbiamo messo da parte riserve di liquidità. E’ la ragione per la quale in Italia il credito non si è mai fermato e l’attivita’ delle banche nel nostro Paese continua a funzionare”. “E’ chiaro – ha aggiunto Passera – che la crisi che abbiamo intorno sui mercati, soprattutto della raccolta a lungo termine, è pesante, però avendo fatto in anticipo una serie di mosse, possiamo garantire la continuita’ dell’attività su tutti fronti”.
E’ invece un Silvio Berlusconi determinatissimo quello che si presenta davanti a Giorgio Napolitano pronto a rispedire al mittente qualsiasi soluzione alternativa che preveda un suo passo indietro e l’addio da palazzo Chigi.
"Io non faccio passi indietro. Ho una maggioranza e chi mi vuole sfiduciare se ne assuma la responsabilità in Parlamento. E se non dovessi avere più i numeri si va alle elezioni." afferma nella sua egoica miopia politica.
Sente di poterselo permettere, raccontano i retroscena, dopo avere parlato ancora una volta con il Senatùr. Con Bossi il premier avrebbe tirato le somme: il governo va avanti, non fino alla fine della legislatura, ma almeno a gennaio. Intanto Berlusconi porterà avanti la sua operazione verità: parlare direttamente con gli elettori per cercare di risalire la china.
Tanto basta per ringalluzzire il premier e superare un confronto teso come quello con il Capo dello Stato, in cui il Cavaliere avrebbe ribadito ancora una volta la volontà a finire la legislatura mettendo mano, già nel Consiglio dei ministri di domani, a quelle misure per la crescita auspicate dal Colle. Napolitano non ha nascosto la sua preoccupazione di fronte alla situazione economica e alla difficoltà, vista la fragilità dell’esecutivo, di far fronte ad un eventuale peggioramento dell’economia italiana. Il capo dello Stato insomma ha messo in chiaro che l’esecutivo può andare avanti solo se garantisce di avere i numeri. Poco prima era toccato a Bossi spegnere le polemiche sulla tenuta dell’esecutivo. Argomento: il voto per l’arresto di Milanese, il parlamentare del Pdl che proprio ieri si è autosospeso dal partito. “Io voto per non far cadere il governo”. Questa la fine di una giornata di melina e di attesa in vista del verdetto di questa mattina alla Camera. In serata poi, le parole di Bossi prima e la fermezza del premier chiudono i giochi di chi, come Bersani, auspicava che il cavaliere andasse da Napolitano per rimettere il mandato.
Da un lato così Berlusconi resta ostinato sul ponte di comando, dall’altro l’ennesimo possibile sgambetto all’esecutivo rappresentato dal caso Milanese sembra disinnescato: in casa Lega si vota no. O almeno così vuole la versione ufficiale del Senatùr. Versione che dovrebbe, in ipotesi, mettere una pezza allo scivolosissimo voto segreto che potrebbe favorire gli indecisi. Nel frattempo, c’è spazio per il senatùr per confermare che vertice pomeridiano con Silvio Berlusconi è “andato bene”.
Ma la risposta (reale) la dà ancora una volta l’agenzia Standard & Poor’s, che ieri sera ha tagliato il rating di sette banche. Tra queste Banca Intesa e Mediobanca, non certo piccoli istituti. Notizia non confortante che inchioda il quadro economico dopo l’ennesimo tracollo di Piazza Affari e l’aumento dello spread che ha sfiorato di nuovo il tetto dei 400 punti.
E non è finita. Perché mentre il Tesoro conferma il pareggio di bilancio entro il 2013 (cosa peraltro smentita ieri da S&P), Moody’s ha declassato il rating della Fiat. Tutte questioni, quelle economiche, di cui si è discusso al Quirinale. Il Presidente della Repubblica ha ribadito la propria preoccupazione per la situazione economica del nostro Paese. Ma Napolitano ha ribadito anche la necessità di varare misure che siano il più possibile condivise tra le forze politiche in Parlamento e che siano frutto di “consultazioni ampie”, coinvolgendo anche le parti sociali. Quella “coesione”, più volte sollecitata dal Quirinale, che può consentire al Paese di affrontare e superare la crisi.
Ma esiste un altro rating , più importante, ed è quello del Paese. Il problema in questo caso è certamente il presidente del Consiglio. Berlusconi è stato per molti italiani una speranza di stabilità politica e dinamismo economico. Oggi quella speranza si è dissolta sotto il peso di una micidiale combinazione di promesse non mantenute, incidenti di percorso, scandali, comportamenti indecorosi e sorprendenti imprudenze. Oggi il maggiore problema italiano è la fine dell'era Berlusconi. Tutti, anche i migliori tra i suoi amici, sanno che l'era è finita e che Berlusconi deve uscire di scena. Ma non vi è ancora un accordo sul modo in cui voltare pagina. Qualcuno spera che la mirabolante e tempestosa storia del cavaliere di Arcore termini in un tribunale alla fine di un processo per corruzione, frode o indegnità morale. Altri sperano in un risolutivo messaggio alle Camere del capo dello Stato. Sono due soluzioni che avrebbero uno stesso effetto: quello di provare l'impotenza della democrazia italiana, la sua incapacità di affrontare il problema con gli strumenti propri di un sistema democratico.
Ciò che davvero mi lascia sconcertato è il fatto che il Cavaliere pur di non ammettere il fallimento del proprio progetto politico e la sua personale sconfitta, soprattutto morale, è disposto a tutto, anche ad assistere impotente alla catastrofica disintegrazione del nostro paese.
Davvero bisogna appellarsi al senso di responsabilità, (se ne hanno un minimo), dei parlamentari della maggioranza, soprattutto i transfughi precedentemente eletti nelle file dell'opposizione: il gioco è finito, game over! Date un voto contro questo governo che nel suo immobilismo e nella sua impotenza ci condanna ad un quotidiano declassamento economico, politico e morale. Prima che lo spettro del nostro fallimento si materializzi inesorabilmente e senza ulteriori appelli.
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