Matteo Renzi ha promesso 10 miliardi di tagli alle tasse sui redditi più bassi, una misura assai rilevante per l’equilibrio dei nostri conti pubblici. Al momento si può parlare solo di un annuncio, visto che il presidente del Consiglio non ha indicato coperture certe per finanziare questa misura. L’unico annuncio dei tanti fatti ieri che si può valutare con maggior certezza è la riduzione dell’Irap finanziata da un aumento delle tasse sui redditi da capitale, portati al 26% – un’aliquota che si somma alle patrimonialine introdotte da Tremonti e Monti – con l’eccezione dei titoli di stato e dei libretti di risparmio postali. Il taglio all’Irpef sarebbe finanziato dalla spending review e dall’aumento del deficit, dal 2,6 al 3%, al limite del consentito dei parametri europei. Che si possano recuperare così tanti soldi dalla spending review indicata da Cottarelli in commissione Finanze, sopratutto in così poco tempo, appare improbabile. Altrettanto incerto è invece il punto politicamente più rilevante, la decisione di chiedere all’UE più spazi di manovra sul deficit. Matteo Renzi chiede alla Commissione di invertire l’approccio tenuto con l’Italia e anche con gli altri paesi europei. Non più flessibilità sui bilanci consuntivi, per forzare il concetto, ma su quelli preventivi. Il vincolo del 3% non è rispettato da molti paesi europei, e l’organismo di governo dell’UE non ha deciso di inasprire il conflitto con alcune nazioni che da tempo mancano i loro obiettivi di bilancio con regolarità. come Francia e Spagna. Le regole del Fiscal Compact in vigore da quest’anno, inserite nel two-pack, consentono però alla Commissione una sorta di veto preventivo sui bilanci nazionali che potrebbe cancellare sul nascere i sogni di Renzi. Posto che, alla luce della crescita più bassa dell’Italia, il nostro deficit 2014 sia davvero del 2,6%, e non assai più vicino al 3%. Fino ad ora l’UE è stata particolarmente severa con l’Italia, e la spiegazione risiede in due elementi di valutazione difficilmente contestabili. La prima è il nostro debito pubblico esplosivo, ora collocato sopra al 130%. L’Italia deve collocare ogni anno una cifra di circa 400 miliardi di euro per potere finanziare le sue attività correnti. Un conto che l’UE non potrebbe saldare, a regole attuali, in caso di fuoriuscita del nostro paese dai mercati dei capitali. La seconda è l’instabilità dei governi, che tende ad interrompere i percorsi di consolidamento fiscale concordati con Bruxelles. Matteo Renzi vuole tagliare le tasse e sfidare l’Europa, una strategia che appare molto orientata al tornante più difficile per la leadership dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, le prossime elezioni europee. L’UE difficilmente potrà permettersi, dal punto di vista politico, che in due paesi fondatori,Francia e Italia, la seconda e terza economia dell’eurozona, forze no euro come Front National e M5S arrivino al primo posto nelle elezioni per l’assemblea di Strasburgo. Fino ad ora la Commissione e la leader sostanziale dell’UE, Angela Merkel, hanno seguito una linea incompatibile con la strategia di Renzi. La scommessa del presidente del Consiglio appare quella di ottenere un radicale mutamento d’opinione ai vertici dell’Unione Europea, che potrebbe riscrivere la storia della crisi del debito sovrano europeo. Il suo predecessore Enrico Letta aveva impostato il discorso sulla fiducia su una nuova linea di contrasto all’austerità, ma dopo poche settimane al governo l’ex inquilino di Palazzo Chigi ha seguito fedelmente l’europeismo ortodosso di Mario Monti, e per certi versi, di Silvio Berlusconi come strategia di risposta alla crisi del debito.