Con ancora negli occhi le fiamme che divampavano ad Atene, e la guerriglia urbana che ha sconvolto la Grecia, abbiamo sentito sulla crisi ellenica e sulle sue proporzioni l’economista di ispirazione marxista Vladimiro Giacchè, uno che negli ultimi tempi aveva già aspramente criticato le politiche portate avanti dall’Unione Europea. Volevamo capire se il pacchetto Austerity votato ieri nel Parlamento di Atene potrebbe essere effettivamente una soluzione della crisi, e soprattutto quali sono stati i reali motivi dell’esplodere della “bomba” Grecia.
Ieri in Parlamento il premier ellenico Papademos ha detto che l’alternativa all’approvazione del “pacchetto Austerity” sarebbe stata il buio. Lei cosa ne pensa?
Io direi che il “pacchetto Austerity” è il buio, e questa è esattamente la lezione che si dovrebbe trarre, ma che non si vuole trarre, dalle politiche di austerità già inferte dal popolo greco da due anni a questa parte. La crisi attuale è una crisi di debito pubblico, una crisi che non nasce però dal debito pubblico ma da squilibri della bilancia commerciale; ed è chiaro quindi che se la si cura con l’Austerity una situazione di questo tipo potrebbe solamente peggiorare. La situazione attuale non è nient’altro che il prodotto delle misure già approvate dal maggio 2010 in poi, misure che dovevano teoricamente ridurre il rapporto deficit/Pil. Peccato che insorga un piccolo problema, ovvero che, come qualcuno aveva già detto in tempi non sospetti, se vengono portate avanti misure di Austerity in un momento di recessione si potrebbe sì ridurre formalmente il deficit, ma in realtà si rischierebbe solo di deprimere sempre di più l’economia, il che significherebbe che, diminuendo di 1 il debito e di 10 il Pil, il risultato finale risulterebbe peggiore. Se guardiamo la dinamica del debito pubblico greco sembrerebbe essere andata proprio così. Atene oggi è alle prese con un debito che ha avuto un’impennata incredibile e che è diventata ancora più pronunciata proprio dopo le misure di Austerity varate nel maggio 2010. Queste misure di austerità hanno ridotto la domanda interna, ridotto le pensioni, gli stipendi e hanno quindi fatto crollare anche gli investimenti e l’economia greca nel suo complesso, portando a una discesa del Pil pari al 15% in soli due anni. Di fronte a questi dati quindi si potrebbe tranquillamente dire che, anche se il debito complessivo fosse diminuito, in proporzione sarebbe invece peggiorato. Attualmente il debito ellenico si aggira intorno al 170-180%, una cifra altissima che ci testimonia di una situazione completamente fuori controllo e la cosa pazzesca è che per salvare la Grecia sarebbe bastato molto meno di quello che l’Europa ha gettato grazie alle proprie indecisioni per cercare di recuperare la situazione. Recentemente Fabio Pavesi, giornalista del Sole 24 Ore, ha dimostrato che per riportare il rapporto debito/Pil greco all’80% (che sarebbe una cifra inferiore allo stesso rapporto tedesco), sarebbero bastati nel maggio 2010 “solo” 167 miliardi di dollari; per carità pur sempre una bella cifra, ma se si considera che per salvare una singola impresa assicuratrice gli Stati Uniti hanno speso ben 201 miliardi, e che i paesi europei ne hanno spesi 3440 per salvare le banche, non c’è paragone. Per controbattere a questa osservazione è stato detto che se si davano quei soldi alla Grecia si sarebbe alimentato l’azzardo morale del paese ellenico, ma allora perchè è lecito finanziare le banche e non gli Stati? La Bce non finanzia i titoli di Stato dei paesi sotto attacco, salvo alcune eccezioni, e invece finanzia massicciamente le banche private europee, andando verso una gigantesca socializzazione delle perdite. Questo meccanismo non è solo ingiusto, ma non funziona nemmeno perchè è evidente che la gran parte dei problemi delle banche europee derivi dai titoli di Stato, per cui senza intervenire “a monte”, risulta impossibile risolvere “a valle”. Tornando alla Grecia, questa è la prova di come non funzioni l’Europa oggi, e soprattutto di come esistano dinamiche pazzescamente ingiuste e autodistruttive per la stessa Ue. La verità è che noi disponiamo di una zona Euro in cui abbiamo un vincolo forte, che è quello monetario e non permette le svalutazioni competitive; manca una funzione correttiva agli squilibri delle bilance commerciali, e questi sono, come nel caso della Grecia, all’origine del problema del debito pubblico.
Il debito pubblico va sempre visto come una derivata della crisi e di problemi che esistono da altre parti perchè lo Stato si è fatto e si fa carico di alcuni finanziamenti, leciti e non, ai privati. In Grecia sono stati finanziati gli evasori fiscali e lo Stato ha fornito una base per mantenere alti i consumi; il problema è che sosteneva in questo modo i paesi esportatori in Grecia, e quindi Germania, Francia che esportavano beni di consumo e armi. La Grecia guardacaso è il secondo paese Ocse per spese militari in rapporto al Pil dopo gli Stati Uniti, e importa principalmente armi prodotte in Germania e in Francia. Tutto questo sta accadendo perchè ci troviamo all’interno di una unione monetaria priva di unione politica e di un unione economica integrate, e questo perchè in Europa queste politiche non sono praticabili per via di difetti dei trattati di costituzione dell’Europa, e questo ha consentito ad alcuni paesi di fare concorrenza sleale in termini di dumping fiscale e sociale rispetto ad altri paesi della zona Euro. Tra questi paesi c’è l’Irlanda, che da tempo fa dumping fiscale, e la Germania, che ha portato avanti una deflazione salariale sin dal ’98 diminuendo la domanda interna del 15% e spingendo grazie a questo le sue esportazioni. La Germania ci dovrebbe quindi spiegare come mai, essendo così virtuosa, abbia visto il suo debito pubblico crescere di oltre 750 miliardi di euro in 10 anni. Ci troviamo quindi di fronte a un problema di “architettura generale” dell’Europa. Il debito pubblico ellenico è inferiore a quello della California, ma nessuno immagina che la California possa sprofondare in mare o che i suoi stipendi vengano ridotti del 50% come in Grecia, e questo perchè nel suo caso a intervenire a sostegno è lo Stato centrale. Tutto questo in Europa non è possibile perchè siamo di fronte a un’unione sbilenca che non prevede trasferimenti dai paesi più ricchi a quelli più poveri. Per questo l’integrazione non funziona così com’è ed è sottoposta a tensioni qualora si producano degli choc asimmetrici che coinvolgono tanto alcuni Stati e altri poco. In questo caso ci si troverebbe di fronte a una divergenza di economica che renderebbe insensata l’esistenza della moneta unica, tanto che per un greco e un tedesco attualmente avere la stessa moneta non ha alcun significato. Questo meccanismo andrebbe quindi ripensato fino in fondo, ma non lo si fa e si preferisce lanciare una politica di Austerity, un Austerity che impostata nei termini brutali che abbiamo visto in Grecia e Italia è insostenibile e anche economicamente controproducente, tutte cose già dette da Keynes negli anni Trenta, ovvero che l’Austerity andrebbe fatta nei momenti di Boom e non certo in quelli di recessione. Per questo se si opera una stretta sui conti pubblici quando un paese è in crisi, ci si infila nella depressione economica, esattamente come è successo in Grecia, per questo si può sostenere che l’Austerity non è l’alternativa al buio, ma il buio.
Con un paragone un pò avventato è possibile mettere in relazione l’89 con quanto successo nel 2012 al capitalismo?
I paragoni hanno sempre un significato, anche se lasciano sempre fuori un pezzo della realtà quindi vanno sempre presi con le molle. Io come paragone preferisco quello tra l’89 e il 2007/2008, il vero punto di rottura credo sia avvenuto lì. In quel momento si è rotto il modello di crescita pagata col debito pubblico e privato che ha funzionato nei decenni prima, poi per salvare il privato si è trasferito un pezzo di debito sul pubblico, e ora questa bolla si cerca di farla scoppiare proprio nel settore pubblico. Questo è ingiusto ed economicamente devastante perchè è evidente che se si fa scoppiare la bolla nel settore pubblico si finisce per restringere al minimo lo Stato. Il paradosso è che nell’89 andò in crisi lo Stato senza mercato, nel 2007 è andata in crisi dell’idea del mercato senza Stato. Per risolvere questa seconda crisi si è scelto di ferire a morte lo Stato, il che significa ancora più deregulation e il Far West economico. C’è però un piccolo particolare: oggi i paesi che vanno meglio economicamente stanno dando un ruolo centrale allo Stato, quindi è evidente che c’è qualcosa che non funziona e che bisognerebbe bilanciare nuovamente le società in senso opposto, tornando quindi a un giusto mix tra servizi pubblici offerti dallo Stato e al funzionamento corretto del mercato. Se per sanare un situazione passiamo da un mercato prevaricante a un mercato onnipotente, allora si va verso la catastrofe.
fonte "articolo tre"
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