La Tobin tax, dal nome del premio Nobel per l'economia James Tobin, che la propose nel 1972, è una tassa che prevede di colpire, in maniera modica, tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli (penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine), e contemporaneamente per procurare entrate da destinare alla comunità internazionale.
L'aliquota proposta sarebbe bassa, tra lo 0,05% e l'1%. I suoi sostenitori affermano che ad un tasso dello 0,1% la tassa Tobin garantirebbe ogni anno all'incirca 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annuale necessaria per sradicare dal mondo la povertà estrema. I suoi detrattori sostengono che la cifra realmente incassata sarebbe molto minore visto che il grosso delle transazioni finanziarie sono fatte per lucrare sulle micro variazioni dei prezzi e sarebbero insostenibili con la tassa. Si cita l'esempio del tentativo svedese effettuato nel 1984 di applicazione di una tassa simile che porto` ad incassi inferiori del 75% di quanto preventivato a causa della diminuzione del numero di transazioni. La Svezia cancello` la tassa nel 1992.
Nel 1972, poco dopo lo scandalo Watergate in cui rimase invischiata l'amministrazione Nixon, e poco dopo che Nixon aveva ritirato gli Stati Uniti dal sistema di Bretton Woods, Tobin suggerì un nuovo sistema per la stabilità valutaria internazionale, e propose che tale sistema includesse una tassa internazionale sulle transazioni in valuta straniera. Tobin ricevette in seguito il Premio Nobel per l'economia nel 1981, e il suo nome rimase legato per sempre a questa proposta, che rimase dormiente per più di 20 anni. Nel 1997 Ignacio Ramonet, redattore di Le Monde diplomatique, rinnovò il dibattito attorno alla Tobin tax con l'editoriale "Disarmare i mercati". Ramonet propose di creare un'associazione per l'introduzione di questa tassa, che venne chiamata ATTAC (Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie per l'Aiuto dei Cittadini).
Tra le principali parti favorevoli all’applicazione della Tobin Tax vi è senza dubbio il presidente francese Nicolas Sarkozy, da tempo impegnato a convincere gli altri partner europei sulla validità dell’iniziativa. L’opera di convincimento sta dando discreti risultati in Germania, con la cancelleria Merkel che lentamente sta convergendo verso le posizioni francesi. Anche l’Italia del nuovo premier Monti, a patto che l’idea venga condivisa nel sistema europeo, e non applicata in maniera individuale, sembra essere convinta della necessarietà dell’applicazione.
Da tempo il Parlamento e la Commissione europea chiedono l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie. La Francia si e' detta pronta ad avviarla anche da sola. Ma a livello europeo contro la Tobin Tax c'e' la feroce opposizione britannica. Londra sostiene che la tassa sulle transazioni finanziarie portera' una riduzione del pil e la distruzione della sua industria finanziaria. Di parere opposto sono Stephany Griffith-Jones (direttore del programma per i mercati finanziari alla Columbia University di New York) e Avinash Pernaud (capo di societa' di investimento britanniche e professore alla London Business School), autori di uno studio che e' stato presentato oggi al Parlamento europeo.
Lo studio corregge alcune delle valutazioni fatte dalla Commissione europea. In particolare, a fronte di una prevista riduzione del Pil europeo di -0,53%, contrappone una previsione di crescita di +0,25% dovuta al ''cruciale impatto positivo per la riduzione del rischio sistemico, all'espansione della domanda al consumo e alla spinta dell'economia reale attraverso il consolidamento del debito pubblico'' frutto dei ricavi generati dalla Tobin.
Inoltre lo studio evidenzia come ad essere colpita dalla tassa sarebbe ''la speculazione a breve termine'' degli high frequency trader mentre sarebbe trascurabile l'impatto sulle transazioni dei fondi pensione che ''in media tengono i titoli in portafoglio per due anni''. In piu' suggerisce che, per evitare l'effetto-dislocamento degli investitori, la Commissione dovrebbe proporre di applicare la tassa non solo sulla base del principio di residenza dell'operatore (residence principle), ma anche su quello di emissione del titolo oggetto della transazione (issuance principle).
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