L’ora “x” è scattata oggi alle 10.30, quando il segretario Matteo Renzi è salito al Colle, per ricevere l’incarico di formare il nuovo governo, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma la strada del quasi capo dell’esecutivo resta tutta in salita. Lo sprint iniziale sembra essersi già esaurito, ora si marcia a tappe forzate nella difficile formazione di una maggioranza abbastanza solida da sostenere l’azzardo renziano. E ogni giorno ha il suo ostacolo, talvolta anche più di uno. Materializzandosi, ieri, nel Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.

«Ci stiamo giocando il futuro dell’Italia, il Paese si sta giocando tutto, noi ci stiamo giocando tutto», ha detto ieri Alfano alla convention degli amministratori locali di Ncd, ricordando alla platea e non soltanto che se si va al voto è sempre per le larghe intese che dovrà passare qualsiasi esecutivo. Meglio dunque, concordare a monte il programma, il suo refrain di questi giorni.

Parole dietro cui si nasconde il timore di rimanere schiacciato tra la doppia maggioranza di Renzi, quella per governare che lo vedrebbe tra i protagonisti, e quella sulle riforme in cui a fare la parte del leone sarebbe Silvio Berlusconi, in asse con Renzi sulla partita. Paura di accordi sottobanco, di voltafaccia dell’ultimo momento, di un ritorno alle urne un attimo dopo l’approvazione dell’Italicum, con o senza riforma del Senato.

Meglio fare alla tedesca, e mettere tutto nero su bianco, dal perimetro della maggioranza ai contenuti del programma. E agli uomini, visto che Alfano insiste per tenersi il vice premierato come il Viminale, oltre a mantenere i dicasteri di Salute e Trasporti nelle mani di Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi, destinando l’uscente Gaetano Quagliariello al partito.

Poi c’è il fuoco amico esploso contro Renzi dall’ex sodale Pippo Civati: «C’è una decina di parlamentari, soprattutto al Senato, che sono in difficoltà. E c’è un articolo della Costituzione che esclude il vincolo di mandato». Ergo: non si vota la fiducia al nuovo esecutivo, ma gli uomini di Renzi non disperano di trovare un accordo.

Infine l’imbarazzante elenco dei «no» incassati finora per la lista dei ministri: niente Alessandro Baricco, niente Andrea Guerra, niente Lucrezia Reichlin né Fabrizio Barca. Finanche Romano Prodi, forse il principale sponsor politico di Renzi, ha detto di non essere interessato all’Economia. Che è la casella principale che tutti declinano.

Così Maria Elena Boschi, in pectore ministro delle Riforme, è stata costretta ad ammettere: «Ci servirà qualche giorno».

Quello che sin da subito è sembrato più un azzardo politico, quasi un capriccio, piuttosto che un avveduto piano di programmazione politica si rivela di ora in ora sempre di più un suicidio politico a tutti gli effetti.
Trovare il bandolo della matassa per il sindaco di Firenze sarà sempre più gravoso, seppur doveroso; ne vale non solo della sua onorabilità ma della sua intera stessa carriera politica. Matteo, stai sereno!