Nel giorno in cui Enrico Letta sale al Colle per rassegnare le dimissioni da premier, il segretario del Pd si prende una pausa dall'arrembaggio a Palazzo Chgi. Lo fa nella sua Firenze, ma con un occhio costante a Roma. Non solo sta cercando di venire a capo con la squadra di governo da sottoporre al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma deve anche sciogliere il nodo delle alleanze per non annegare nel pantano di Palazzo Madama.

Sono 179 i voti su cui Renzi potrebbero contare, almeno sulla carta, al Senato. Il coddizionale è d'obbligo perché nel ramo del parlamento, dove la maggioranza uscita dal voto del 2013 non può contare sull’ampio margine di cui gode invece alla Camera, nulla è scontato. Il segretario piddì dovrà, infatti, trattare con la vecchia maggioranza (senatori a vita compresi) che ha sostenuto, fino a oggi, l’esecutivo Letta. E, quando riceverà da Napolitano l'incarico di formare il nuovo esecutivo, non potrà certo largheggiare con questi numeri, anche se dovrebbero essere ben superiori a quelli della fiducia risicata che, per esempio, ottenne al Senato Romano Prodi il 19 maggio 2006. Solo 165. Quella di Renzi sarà comunque una maggioranza molto lontana da quella che, grazie alle larghe intese, ottenne Mario Monti il 17 novembre 2011. Al Senato si contarono per lui 281 voti favorevoli, 25 contrari e nessun astenuto. Il margine del nuovo governo potrebbe tuttavia allargarsi di un’altra decina di voti, uscendo dalla fascia rossa che ha caratterizzato molti altri esecutivi del recente passato. Voti che il segretario del Pd potrebbe trovare tra qualche dissidente dentro il Movimento 5 Stelle e il Sel di Nichi Vendola. E che potrebbero dargli un sostegno che va da un minimo di sette a un massimo di undici voti facendo così salire il pallottoliere a favore di Renzi di una forbice che andrebbe tra quota 186 e 190.

Si tratta di calcoli puramente teorici. Non è certo un caso se, a pochi minuti dalla sfiducia del Pd al governo Letta, il leader di Ncd Angelino Alfano si sia affrettato a porre paletti ben precisi al progetto renziano, consapevole che il sindaco di Firenze, per andare a Palazzo Chigi, avrà bisogno anche dei voti del Nuovo centrodestra, soprattutto a Palazzo Madama. E, fedele al proprio ruolo di ago della bilancia, Alfano prende tempo e si dice disponibile ad un nuovo esecutivo solo dopo un confronto su programmi e cose da fare. Ad una condizione: che l’esecutivo Renzi non sia un governo politico virato a sinistra. Opzione tutt'altro che peregrini vista la contestuale apertura del sindaco a Vendola. In ogni caso, e prendendo le debite misure, sarebbero altri quindici voti potenzialmente favorevoli al sindaco di Firenze. Restando invece alla base dei partiti che dovrebbero sostenere l’esecutivo, la conta mette insieme 107 senatori del Pd(sarebbero 108 ma Pietro Grasso non vota), 31 delNuovo centrodestra, sette di Scelta civica e dodici popolari. E ancora: dieci senatori delle Autonomie, quattro ex grillini ora passati al Misto (Anitori, Mastrangeli, Gambaro e De Pin), tre senatori di Gal (Scavone, Compagnone e l’ex leghista Davico). In tutto 174 ai quali si dovrebbero aggiungere i cinque senatori a vita: Mario Monti, Renzo Piano, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia e Carlo Azeglio Ciampi. Totale: 179, appunto. Ma sono tutte ipotesi.


Renzi si gioca il "rischiatutto": è vero che andavano per le lunghe approvazione della legge elettorale e riforme costituzionali e temporeggiare ancora sostenendo il governo Letta lo avrebbe alla lunga logorato. 
Ma considerando che va a Palazzo Chigi senza una maggioranza forte e dovendo giocoforza contare sull'appoggio di acerrimi nemici quali "destroidi" e "caimani", la mossa dell' ex Sindaco eufemisticamente parlando sembra poco razionale, un vero harakiri politico.
Sembra improbabile che possa realizzare l'agognata svolta politica, economica  e sociale di cui il Paese necessita, soprattutto alla luce del fatto che plausibilmente quelli che oggi lo sostengono domani saranno suoi nemici in campagna elettorale. Difficile che lo aiutino a realizzare ciò che che in 20 anni i "promotori della rivoluzione liberale" hanno soltanto promesso..."Dobbiamo uscire tutti insieme da questa palude", aveva detto il prossimo Presidente del Consiglio, più verosimile che anche lui sia rimasto impantanato, come il Paese, da 5 anni or sono.  E, attenzione al caimano, quello lo si sa, nella palude.....ci sguazza.