Non anomalia, non episodio, non orrore; ma regola, abitudine, indifferenza. La chiamano ‘cultura dello stupro’, ora, perché quello è: in India, dicono i dati, avviene una violenza sessuale, spesso di gruppo, ogni 20 minuti; una stima di certo inferiore alla realtà, considerando che sono tante le vittime a non denunciare l’abuso.

E’ qui, in un Paese di oltre un miliardo di abitanti, all’avanguardia nella ricerca sul nucleare e nei programmi spaziali, un Paese che ha eletto una donna come primo ministro nel 1966, che due ragazzine sono state – di nuovo, ancora –brutalmente stuprate e poi appese ai rami di un albero e lasciate morire.

Scomparse da casa nella serata di mercoledì, le due dalit, cioè senza casta, di 14 e 15 anni, sono state violentate da una banda di uomini nel villaggio di Katra, nell’Uttar Pradesh, India nord-orientale, per poi essere impiccate ai rami di un mango. Al momento, secondo i media indiani, sarebbero state denunciate 7 persone, tra cui due agenti di polizia, ma soltanto uno di loro è stato arrestato, mentre gli altri sono latitanti.

In un primo momento, non riuscendo a trovare le due adolescenti e vista la reticenza manifestata dalle forze dell’ordine nel registrare la denuncia della scomparsa (il capo della polizia locale è stato poi sospeso dal servizio per non aver agito tempestivamente), gli abitanti del villaggio hanno avviato una ricerca a tappeto nei campi dove le cugine erano andate perché nella loro abitazione non ci sono i servizi igienici.

Qui la scoperta dei cadaveri, a cui è seguita una rapida indagine che ha permesso di ricostruire la storia, confermando il rapimento e lo stupro collettivo. L’ennesimo. Solo lo scorso febbraio un’altra bimba di 9 anni era stata aggredita nel cortile di casa sua, mentre un mese prima una 12enne era stata violentata e bruciata viva; lo scorso anno invece, vittime della brutalità del branco erano state dieci minorenni sordomute e una bambina di 5 anni, stuprata e mutilata da un suo vicino di casa; e così via, fino ad arrivare al dicembre del 2012, quando una studentessa di 23 anni venne abusata da sei uomini mentre tornava a casa su un autobus. Morì 10 giorni dopo per i traumi riportati.

A nulla sembrano dunque valere le leggi più rigide contro lo stupro varate lo scorso anno sull’onda delle proteste che dilagarono in tutta l’India: la violenza contro le donne nel Paese è una questione culturale, che l’atteggiamento passivo delle autorità non contribuisce di certo a ostacolare. Ed è una questione a cui l’occidente sembra guardare con occhio quasi indifferente.

L’India è il ‘Paese in via di sviluppo’, l’economia ‘emergente’, un nuovo interlocutore; l’India è misticismo, santoni, guru, pace dei sensi, turismo. Quello che accade alle sue figlie,massacrate e sepolte da stereotipi e convenzioni, quello invece può essere lasciato lì, a penzolare dai rami di un albero, lontano dagli occhi e dalle voce.

Non posterò le foto della barbarie consumata, della follia voyeristica, dello scempio umano globalizzato, della tolleranza civilizzata. Per  rispetto certo,  ma anche per il dolore e la vergogna che provo in questo momento. Nel cuore una preghiera per queste povere creature ed una domanda: Siamo abbastanza "uomini" per fermare la violenza contro le donne?