E non se ne vuole andare....
ILVA un pasticcio chiamato ITALIA
Era solo questione di tempo. Perché il nuovo terremoto giudiziario che ieri ha colpito l'Ilva e la città di Taranto, era stato ampiamente anticipato dalla magistratura tarantina nello scorso mese di agosto. Con il gruppo Riva che nella tarda serata di ieri ha annunciato la chiusura del sito di Taranto e di tutti gli stabilimenti da esso riforniti: Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. L'azienda ha anche disposto la sospensione di tutte le attività lavorative negli impianti che non sono sottoposti a sequestro giudiziario, a partire dal turno serale di ieri, con i sindacati che invece hanno invitato gli operai a recarsi sul posto di lavoro, anche per quanto concerne il turno di questa mattina.
La decisione colpirebbe oltre 5000 operai, mentre oggi pomeriggio è previsto un nuovo incontro tra direzione e sindacati per fare il punto su una situazione che rischia di precipitare definitivamente da un momento all'altro. La dura presa di posizione dell'azienda è scaturita dopo l'operazione scattata ieri denominata «Envinronment sold out», che ha visto impegnati i militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Taranto che hanno eseguito a Taranto, Milano, Roma, Pisa, Bari e Varese, sette ordinanze di arresto firmate dai gip Vilma Gilli e Patrizia Todisco.
Gli arrestati sono il patron Emilio Riva, agli arresti domiciliari dal 26 luglio scorso. La detenzione in carcere è stata disposta per il vicepresidente di Riva Group Fabio Riva, l'ex direttore dell'Ilva di Taranto Luigi Capogrosso e l'ex dirigente Ilva Girolamo Archinà. Domiciliari per l'ex rettore del Politecnico di Taranto, Lorenzo Liberti.
Per la parte Ilva, respinta la richiesta formulata dalla Procura di ulteriore arresto per l'ex presidente di Ilva Nicola Riva, già ai domiciliari. Mentre al presidente Bruno Ferrante, e al nuovo direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo, è stato notificata una informazione di garanzia. Dal gip Vilma Gilli ai domiciliari è stato posto l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto Michele Conserva, dimessosi circa due mesi fa dall'incarico. Ai domiciliari anche l'ing. Carmelo Delli Santi, rappresentante della Promed Engineering. Conserva e Delli Santi sono entrambi accusati di concussione.
Nei confronti della società è stato eseguito anche il sequestro preventivo dei prodotti finiti e/o semilavorati destinati alla vendita e al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo. La procura ha posto sotto sequestro tutta la produzione degli ultimi quattro mesi, stoccata nell'ex yard Belleli e nei parchi della zona portuale. Migliaia di lastre di acciaio e coils, grossi cilindri di materiale finito pronti per essere spediti alle industrie: la merce sequestrata non potrà però essere commercializzata perché si tratta di prodotti realizzati in violazione della legge.
Secondo la Procura infatti, costituiscono profitto di reati perché realizzati durante i quattro mesi in cui l'area a caldo dello stabilimento era sotto sequestro senza alcuna facoltà d'uso. Il provvedimento firmato dal gip Todisco sulla base del secondo comma della legge 321 (responsabilità amministrativa delle società) collegato al 240 del codice penale, riguardante la confisca di beni, riguarda anche le eventuali produzioni del futuro e pone uno stop definitivo alla produzione che dal 26 luglio è ugualmente andata avanti ignorando l'ordine della magistratura. In una nota l'azienda sottolinea che quest'ultimo provvedimento «si pone in radicale e insanabile contrasto rispetto al provvedimento autorizzativo del ministero dell'Ambiente: lo stabilimento è autorizzato all'esercizio dell'attività produttiva dal decreto del ministero del 26 ottobre 2012 di revisione dell'Aia».
Non è un caso se il ministro Clini ieri ha dichiarato: «Mi auguro che questa iniziativa non sia conflittuale con l'Aia, l'unico strumento per risanare l'attività dello stabilimento. Non sono disponibile a subire una situazione che avrebbe effetti terribili: sono preoccupato dai futuri effetti ambientali gravissimi e sociali devastanti». Il che lascia presagire un possibile futuro intervento del governo.
L'attività di polizia giudiziaria avvenuta ieri, è la conclusione di un'indagine protrattasi dal gennaio del 2010 a oggi, nel corso della quale è stata ipotizzata la costituzione di un'associazione a delinquere finalizzata alla perpetrazione dei reati di disastro ambientale aggravato, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque e sostanze alimentari, concussione e corruzione in atti giudiziari.
Nelle carte spunta anche il nome del governatore Nichi Vendola e delle pressioni per eliminare il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, autore della relazione sulle emissioni inquinanti dello stabilimento. L'accusa parla di «una regia di Vendola» nell'operazione per «frantumare» Assennato, colpevole di diffondere dati negativi sulle emissioni dell'Ilva, oltre che una certa «disponibilità» nei confronti dell'azienda.
Primarie di produttività
EUROPA: cardiogramma piatto
Dell'argomento non si discuterà al Consiglio di dicembre, che sarà dedicato all'Unione bancaria e al futuro dell'Unione economica e monetaria, ma ne verrà probabilmente convocato uno all'inizio dell'anno prossimo. Per deliberare sul pacchetto, che riguarda il periodo 2014/2020, c'è tempo fino a marzo. Già la prossima settimana, comunque, il presidente Van Rompuy ricomincerà a incontrare i diversi leader in una serie di incontri bilaterali.
Poco prima che la riunione fosse conclusa, fonti italiane avevano definito preferibile un rinvio a una rottura con il Regno Unito da una parte e il resto dell'Unione dall'altra. "E' meno drammatico rinviare l'accordo sul bilancio" all'inizio del prossimo anno, è stato detto, che "fare a 26", ovvero senza la Gran Bretagna, che resta la più intransigente sull'ultima proposta di Van Rompuy.
"Andando a 26 - osservano ancora - le conseguenze sarebbero più dannose che un rinvio di poco tempo" per arrivare all'intesa. Secondo fonti diplomatiche, in questa fase l'atteggiamento della Germania è stato un po' meno duro di quello avuto, oltre che da Londra, anche dall'Aja e da Stoccolma, dimostrandosi "costruttiva e disponibile" rispetto alla bozza presentata la notte scorsa.
Ieri sera Mario Monti lasciando il palazzo del Consiglio Ue, aveva ribadito che l'Italia non avrebbe accettato ''soluzioni per noi non accettabili''; ''vogliamo e dobbiamo rimontare posizioni'', quella sul bilancio "è una decisione che va presa all'unanimità e occorre che tutti i paesi siano d'accordo. Se l'Italia si ritenesse significativamente insoddisfatta, non esiterebbe a non votare a favore, quindi a votare contro, così come farebbero altri paesi".
Da parte sua il presidente francese François Hollande ha affermato che nel dossier agricoltura il taglio previsto è per Parigi ''ancora troppo importante'', e ha replicato duramente alla richiesta britannica di mantenere gli sconti attuali: "Non possiamo accettare che alcuni fra i paesi più ricchi dell'Unione chiedano ancora sconti, mentre la Francia non ne chiede". Per il premier britannico David Cameron i tagli sono, invece, ancora insufficienti.
E infatti L’allontanamento della Gran Bretagna dall’Unione europea sembra essere l’unica argomentazione che metta in accordo il premier David Cameron con maggioranza parlamentare, opposizione ed elettorato, a dispetto di una grave crisi politica interna.
In un recente sondaggio condotto da Opinium Reasearch LLP/Observer e pubblicato suThe Observer di domenica scorsa, più della metà dei cittadini britannici si dichiara favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Il grafico parla chiaro: in caso di referendum immediato sull’uscita del regno di Sua maestà nell’Ue, il 56% deibritons voterebbe sì, contro un 30% filo-europeista e un 14% di indecisi. Che gli inglesi non siano mai stati accaniti sostenitori dell’Unione europea non è un segreto, ma ora sembra avere maggiore consistenza la “profonda preoccupazione” sul risultato dell’eventuale referendum espressa dall’ex premier Tony Blair in agosto sul Die Zeit.
In un momento di drammatico inasprimento del sentimento anti-europeista, credi politici opposti scompaio dinanzi al comune nemico europeo. Il ministro Tory Kenneth Clarke e il leader laburista Ed Miliband sono sembrati d’accordo nel mettere in dubbio l’adesione all’Europa, ma soprattutto nel criticare l’approccio poco pratico e aggressivo di Cameron in materia di budget europeo. Al premier si chiede una missione quasi impossibile al consiglio europeo del 22-23 novembre: congelare il piano di spesa 2014-2020 accettando solo aumenti proporzionali al livello d’inflazione, contro la richiesta di aumento del budget del 5% voluto da Bruxelles.
Tempi difficili quindi per il primo ministro, che deve decidere se tentare una mediazione con i paesi membri dell’Ue o sottostare al ricatto di Westminster per continuare a godere della maggioranza parlamentare. Proprio lo scorso 31 ottobre il governo di Cameron ha subìto un ammutinamento: il provvedimento sul budget europeo è stato battuto alla camera bassa per 307 a 294 da una coalizione formata da laburisti e dissidenti conservatori euroscettici. Motivo della disputa il suddetto incremento del 5-6.8% del budget europeo.
In termini economici tale aumento si tradurrebbe in un versamento finanziario nelle casse di Bruxelles di oltre 500 milioni di sterline all’anno tra il 2014 e il 2020. In condizioni economiche normali è una cifra che non costituirebbe un problema. Ma dopo l’attuazione di impopolari politiche di austerità – come il congelamento dei benefits e i tagli al bilancio – le cose cambiano. Ci sarebbero forti difficoltà e un pessimo ritorno d’immagine nel giustificare alla popolazione degli esborsi tanto onerosi verso l’ipercriticata e ‘spendacciona’ Europa. In una dichiarazione ufficiale Cameron ha definito “ridicola” la richiesta della Commissione e ha affermato che l’Unione deve “smetterla di mettere le mani nelle tasche dei propri cittadini attraverso il budget europeo ”, anche perché “ gran parte dei fondi europei non sono ben sfruttati” .
Ulteriore obiettivo del premier, con parziale sostegno del cancelliere tedesco Angela Merkel, sarebbe quello di adottare un doppio piano di spesa per l’Europa, ossia un budget per i paesi più ricchi e un budget differente per quelli più poveri o sull’orlo della bancarotta. Sir Jon Cunliffe, ambasciatore del Regno Unito presso l’Ue, ha poi proposto tagli su stipendi e benefit degli euroburocrati come ulteriore misura di limitazione dei costi dell’Unione. Recentissimi rumors brussellesi dicono che gli alti funzionari europei sarebbero disposti a trattare su questo punto pur di avere l’ok di Londra sul budget pluriennale.
Il bilancio dell’Unione deve essere approvato all’unanimità dai 27 paesi; un accordo preso con un solo voto contrario significherebbe approvare il bilancio solo per un anno piuttosto che sette. Come ha dimostrato l’opposizione britannica al fiscal compact, mantenere rigidità nei confronti di Bruxelles permetterebbe a Cameron di riguadagnare popolarità nell’elettorato e stabilità all’interno del partito conservatore. La sensazione è che però questa volta il premier farà fatica ad ottenere il congelamento del budget (mentre una sua riduzione è del tutto fuori discussione). Il massimo a cui può ambire è non avere qualsiasi aumento ipotizzato e richiesto dall’Europa.
Tanto per avanzare un’ipotesi: se ‘Mr. No’ Cameron mandasse nuovamente all’aria un accordo che richiede l’unanimità, l’Unione europea potrebbe passare al contrattacco. Bruxelles potrebbe adottare misure speciali per far sì che i contributi britannici da versare siano ben più alti del solo tasso di inflazione. I contribuenti di Sua maestà pagherebbero così molto di più per il fallimento del loro primo ministro.
In questi giorni Cameron appare piuttosto debole a livello interno perché soggiogato dal proprio parlamento e preoccupato dalla perdita di consensi elettorali in vista delle elezioni del 2015. Cameron è confuso sul da farsi anche in politica estera. Indeciso se considerarsi o meno parte dell’Ue, alterna nei confronti di quest’ultima toni aspri legati ai costi ad aperture di convenienza legate ai benefici. È un chiaro esempio del secondo caso il riferimento a un accordo economico concluso subito dopo la rielezione di Barack Obama tra l’Unione europea e gli Stati Uniti.
Cameron, con le sue innumerevoli e sgraziate ‘inversioni a U’ si trova in una pericolosissima posizione, lasciato solo anche dal suo governo che non interviene per chiarire quale sia lo scenario più probabile delle future relazioni con Bruxelles.
Il rischio che si corre è che la crisi politica inglese si ripercuota sugli equilibri europei e che David Cameron condanni la propria nazione ad un isolazionismo suicida. Che Cameron consideri che quasi il 50% dell'export inglese è verso Paesi UE e che una eventuale uscita dall'Unione lo costringerebbe alla rinegoziazione di tutti i trattati commerciali in essere.
INequitalia: storie di ordinaria ESTORSIONE
cioè da lavori fatti e non pagati). Ma è necessario anche offrire una reale compagnia umana a tante persone sfiduciate che vivono in solitudine i rovesci finanziari, e forse non solo quelli.
"Sono il titolare dell’unico istituto di ricerca di mercato di Firenze, verosimilmente di tutta la Toscana, Freni Ricerche di Marketing, una microimpresa di un titolare e 2 dipendenti.
Sono stato sottoposto per l’anno 2006 a un accertamento induttivo sulla base dello Studio di settore 2006 (SG41U) – Studi di Mercato e Sondaggi di Opinione. Secondo l’accertamento induttivo in un solo anno avrei nascosto al fisco oltre 130mila euro di fatturato.
Nel giugno 2009 sono stato convocato in contraddittorio a “rappresentare fatti, circostanze, situazioni” atte a giustificare lo scarto tra la mia dichiarazione dei redditi 2006 e l’importo risultante dall’accertamento induttivo.
In quell’occasione ho presentato una memoria difensiva dove spiegavo l’errore dell’accertamento induttivo. Lo studio di settore che mi riguarda è relativo a oltre 1700 contribuenti. In Italia esistono meno di 100 istituti di ricerca di mercato (fonte: Censimento Assirm 2007; Assirm è l’unica associazione di categoria del settore). Non esistono 1700 istituti di ricerca di mercato in tutta l’Europa e nemmeno negli Stati Uniti. Inoltre solo una ventina di istituti di ricerca di mercato fatturano meno di 5 milioni di Euro e possono essere inclusi nello studio di settore. Tutte le altre imprese incluse nel mio studio di settore fanno attività diverse (marketing diretto, affitto salette, catering, call-center, psicologi, intervistatori, etc), anche incompatibili con la ricerca di mercato che, a differenza del marketing diretto, non può operare nella vendita e nella ricerca di clienti. Naturalmente le attività legate alla vendita sono molto più ricercate e retribuite di attività di natura esclusivamente conoscitiva come la ricerca di mercato.
Dopo 15 mesi vengo convocato alla Stanza 314 dell’Agenzia delle Entrate di Firenze in via Panciatichi. La funzionaria debutta leggendo una proposta di “chiusura semplificata della controversia fiscale” per uno “sconto” del 50% circa. L’importo che dovrei versare non viene nominato, mi viene fatto leggere da un foglietto, una specie di “pizzino”.
Ho chiesto di discutere invece della mia memoria difensiva che viene definita dalla funzionaria come “non rilevante”. Le ribadisco la non aderenza dello studio di settore, che non rappresenta assolutamente la mia attività.
In risposta sono stato anche invitato, visto che non ero soddisfatto, a lasciare l’Italia per trasferirmi in un altro paese.
Comunque secondo i funzionari le mie obiezioni allo Studio di settore erano irricevibili perché lo studio sarebbe stato elaborato con la collaborazione dell’associazione di categoria che rappresentava la mia attività la quale l’aveva anche approvato sottoscrivendolo.
Queste affermazioni dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Firenze sono state smentite da Assirm, che dello studio di settore SG41U non solo non era mai neppure stata informata ma successivamente aveva sempre affermato, inviando varie raccomandate al SOSE (la società che definisce gli Studi di Settore) che lo studio era statisticamente sbagliato fin dalle sue fondamenta (me ne ha rilasciato una dichiarazione ufficiale).
Mi sono dichiarato pronto a verificare insieme ai funzionari una a una le ragioni sociali delle aziende inserite nel mio stesso cluster (gruppo omogeneo) per dimostrare che non di istituti di ricerca di mercato si trattava (il settore è piccolo, ci si conosce tutti). I funzionari si sono rifiutati di farmi conoscere le ragioni sociali delle aziende inserite nel mio stesso cluster “per rispetto della privacy”!
Secondo i funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Firenze non aveva rilevanza che ero stato costretto a ridurre il personale da 4 a 2 dipendenti. E nessuna rilevanza hanno accordato al fatto che proprio nel 2006 ero stato costretto al ricovero in Cardiochirurgia per l’applicazione di 2 stent coronarici (ischemia cardiaca successiva a pregresso infarto miocardico).
Invece mi è stato fatto capire con linguaggio allusivo che mi poteva venire concesso un ulteriore sconto fino a circa il 30% dell’importo dell’accertamento induttivo. Quando ho rifiutato il capo-team della Stanza 314 mi ha spiegato che allora l’ufficio si vedeva costretto a contestarmi un ulteriore indizio di evasione, l’antieconomicità della mia impresa. Non aveva rilevanza che solo qualche settimana prima del contraddittorio avevo versato 22mila euro di tasse anticipate!
Il contraddittorio si è chiuso con la mia richiesta di una copia della “transazione” che mi avevano proposta, quella specie di “pizzino”; richiesta naturalmente respinta dai funzionari (“è un documento interno dell’Agenzia”).
Perché ho rifiutato la “transazione”? Perché le tasse io le ho pagate tutte, per il bel motivo che non posso fare altrimenti: nella ricerca di mercato si lavora solo con le aziende e in questa attività non esistono aziende disposte a rinunciare alla fattura o a sottofatturare! Qualche settimana fa ho partecipato ad un convegno di Assirm sugli studi di settore, ho raccontato il mio caso suscitando incredulità. Come ha commentato lo sconcertato rappresentante di uno dei maggiori istituti di ricerca: Ma di che cosa stiamo parlando? Mai sentito in questo settore di un’azienda che accetti di rinunciare alla fattura!
Sono ricorso contro l’avviso di accertamento alla Commissione Tributaria Provinciale la quale ha dato completamente ragione all’Agenzia delle Entrate. Siccome infatti i funzionari della Stanza 314 hanno dichiarato di aver valutato le mie giustificazioni ma di averle giudicate inadeguate, secondo la sentenza si dimostra che non sono stato in grado di spiegare lo scarto tra la mia dichiarazione dei redditi e l’importo presunto dall’accertamento induttivo basato sullo Studio di Settore SG41U. Si presuppone infatti l’imparzialità dei funzionari della Pubblica Amministrazione, che non hanno motivi personali per perseguire un contribuente onesto.
La realtà è completamente diversa: i funzionari dell’Agenzia delle Entrate hanno precisi obiettivi di fatturato da conseguire e sono “incentivati” con un bonus di fine anno! Agiscono da veri e propri avvocati dell’Erario che dichiarano tranquillamente ed impunemente il falso per vincere cause che avrebbero dovuto perdere!
A questo punto mi ritrovo in attesa dell’esito del ricorso in appello con oltre 200mila euro da versare a Equitalia (gli interessi galoppano), un esborso che mi costringerebbe a licenziare i miei ultimi 2 dipendenti e a chiudere l’attività. Scomparirebbe così dopo quasi 30 anni di attività l’unico istituto di ricerca di mercato esistente in Toscana.
Sì, mi sono posto il quesito se non sia questo in realtà il vero obiettivo della persecuzione che sto subendo…
LAVORATORI! TIE' !! No al TAGLIO degli STIPENDI dei parlamentari! La CASTA ci beffa ancora!
Invece l'istanza, portata avanti dalla senatrice Pd Leana Pignedoli, è stata cassata dalla Commissione industria del Senato, che sta vagliando l’ammissibilità o meno dei circa 1.800 emendamenti presentati.
I parlamentari votano no, negando al Paese la possibilità di investire una quota sulla crescita e l'occupazione giovanile. Era quanto deciso dall'emendamento bocciato: "Al fine di reperire, attraverso la riduzione del costo della rappresentanza politica nazionale, maggiori risorse da destinare al sostegno delle politiche per la crescita e l'occupazione giovanile, il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto ai membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non può superare la media ponderata rispetto al Pil degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai membri dei Parlamenti nazionali dei sei principali Stati dell'Area Euro".
Non è la prima volta che il Parlamento riesce a dribblare simili proposte di legge che tentano di mettere mano nelle loro onorevoli tasche: già lo scorso anno, a luglio, quando ancora era in piedi il governo Berlusconi, la Commissione Bilancio del Senato aveva bocciato - durante una votazione notturna e segreta - i provvedimenti da adottare per ridurre i costi della politica, annunciati dall'allora ministro dell'economia Giulio Tremonti. Un notevole dimezzamento dei costi, se mai ci fosse stato: da quasi 12 mila euro a "soli" 6 mila euro, adeguandosi al livello medio degli altri paesi europei. Nulla di fatto.
La situazione non è cambiata sotto Monti: sfumata l'idea della riforma costituzionale per ridurre il numero dei deputati e senatori, così come i numerosi dietrofront del governo sul tema del taglio dei costi della politica, affidando la decisione direttamente all'esecutivo, cioè al Parlamento, cioè ai diretti interessati. Contraddittorio, oltre che beffardo.
Così come il bluff del taglio dello stipendio, annunciato a inizio anno. La decurtazione dell'indennità parlmentare di 1.300 euro lordi al mese - 700 euro netti - di cui si vantarono parlamentari di destra e sinistra era in realtà il taglio di un aumento automatico dovuto al cambio di regime pensionistico. Una rinuncia ad un aumento, in buona sostanza, lasciando la situazione esattamente come prima.
Ed è praticamente passata sottovoce la raccolta firme portata avanti quest'estate dal partito diUnione popolare per chiedere un referendum sul taglio degli stipendi d'oro dei parlamentari. Un milione e trecentomila firme prese per dire no alla legge 261 del 1965, che determina l’indennità parlamentare: 3.500 euro mensili che ogni membro di Camera e Senato riceve per le spese di soggiorno a Roma. Una proposta che ha un iter lungo: a gennaio, infatti, le firme raccolte saranno consegnate in Cassazione che dovrà valutare la leggittimità delle sottoscrizioni. Esito che si saprà soltanto in autunno, dopodichè sarà la volta della Corte Costituzionale che valuterà i quesiti non prima di gennaio 2014. Se tutto va bene, si voterà nella primavera successiva.
Italia verso il DEFAULT, loro giocano alle PRIMARIE
Mentre le ricette dei tecnici, (Sviluppo Italia e Semplifica Italia) sembrano portare il Paese su un binario morto che non porta fuori dal tunnel al contrario di quanto sostenuto da Monti, il Paese assiste attonito alla rappresentazione farsesca delle primarie del centro-sinistra, in attesa che si svolgano quelle altrettanto comiche del Pdl, apprendiamo che nei primi 10 mesi del 2012 il debito pubblico è cresciuto di ben 90 miliardi, portandosi ad un passo dai fatidici 2.000 miliardi, ad un passo dal famigerato default. Ciò segnala che la situazione dei nostri conti pubblici è ben lungi dall'essere sotto controllo, soprattutto se consideriamo che le entrate tributarie sono ulteriormente aumentate,nonostante l'effetto recessivo che le stesse stanno creando. In pratica, anche l'individuo più sprovveduto comprende che il sistema continua a spendere e a tassare oltre ogni limite ragionevole, proseguendo anche sotto l'egida dei professori l'inarrestabile tendenza di sempre a vivere sopra le proprie possibilità. E sebbene all'appello manchi il consistente acconto tributario di novembre, nondimeno la sensazione -suffragata dai continui cedimenti parlamentari del governo Monti sul fronte delle nuove spese- è quella di un Paese lanciato come un treno in corsa verso il baratro del default. Default il quale, euro o non euro, non si potrà evitare se non si blocca la nefasta tendenza della nostra politica a rincorrere ogni bisogno ed ogni richiesta di relativa spesa. Da questo punto di vista la vicenda dei cosiddetti esodati, la cui platea sembra allargarsi ogni giorno che passa, appare emblematica di un sistema orientato ad assecondare le spinte più irresponsabili della società.
E, sotto questo profilo, a ben poco servono le risibili schermaglie dialettiche tra un Renzi ed un Bersani -quest'ultimi sostanzialmente preoccuppati di dimostrare agli elettori che è possibile realizzare, sul piano del bilancio pubblico, l'alchimia di Paracelso, trasformando il piombo in oro-. Chiunque riuscirà ad occupare la stanza dei bottoni dopo l'esperienza tecnica dovrà fare i conti con una tendenza, lungi dall'essere stata bloccata, che solo riducendo il perimetro pubblico e la spesa si riuscirà ad invertire. E ciò, oltre a ridare fiato all'economia abbattendo l'insostenibile pressione fiscale, dovrà servire a modificare l'immagine di uno Stato italiano cattivo pagatore che i mercati internazionali nutrono oramai da tempo nei nostri confronti. Ma considerando la base di consenso che sostiene l'attuale centro-sinistra a trazione vendoliana, quand'anche dovesse prevalere nella premiership il giovane sindaco di Firenze, è assai probabile che pure costui sarebbe costretto ad inchinarsi all'idolo del deficit-spending per raggiungere un potere sempre più di cartapesta. Staremo a vedere.
ATTENTATO A TEL AVIV: STOP THE WAR!
Un'esplosione è avvenuta questa mattina su un autobus nel centro di Tel Aviv, nel frequentatissimo viale Shaul ha-Melech all'incrocio con via Henrietta Szold. 15 persone almeno sarebbero rimaste ferite (altre fonti parlano di 20), di cui tre gravemente. La polizia parla di attentato terroristico e sta conducendo una caccia all'uomo nella zona, ma al momento le cause dello scoppio non sono state ancora ufficialmente accertate. Posti di blocco sono stati istituiti un po' dappertutto in città.
In queste stesse ore in Israele si trova la segretaria di stato americana Hillary Clinton, in cerca di una mediazione per ottenere una tregua a Gaza, dove i bombardamenti israeliani sono giunti all'ottavo giorno consecutivo.
L'attentato al bus di Tel Aviv ci conferma che la guerra è una trappola infernale. Chi la comincia non può sapere quando ne uscirà
Lo shadow banking vale 67 mila miliardi di dollari. Quasi quanto il Pil mondiale
STOP THE WAR
Israele ha continuato nella notte i bombardamenti su Gaza e ormai sono 88 le vittime palestinesi nella Striscia da quando mercoledì è iniziata l'operazione "Pilastro di Difesa". Secondo fonti sanitarie palestinesi, almeno 15 palestinesi sono morti nelle ultime ore; e in un raid compiuto stamane dall'aviazione israeliana, sono rimasti uccisi altre sei persone, tra cui un bimbo di 5 anni.
Intanto al Cairo proseguono i colloqui per arrivare a una tregua, che però ancora non si vede all'orizzonte. La crisi sarà oggi al centro dell'incontro tra i ministri di esteri e difesa dell'Unione europea riuniti a Bruxelles (dove all'ordine del giorno ci sarà anche lo status che l'Ue concederà alla nuova piattaforma dell'opposizione in Siria). Ieri, in un altro raid isrealiano sul distretto di Nasser, a Gaza, erano morti 10 civili, tra cui tre donne e sei bambini.
La speranza di una tregua è affidata al negoziato in corso nella capitale egiziana a cui partecipa un emissario israeliano, il capo dell'ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, e il capo della Jihad islamica, Ramadan Shallah. Per una tregua si stanno adoperando anche il governo tunisino, i cui inviati si trovano oggi a Gaza, e la Lega araba, il cui segretario arriverà domani con una delegazione ufficiale. Al Cairo oggi è arrivato anche il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon per discutere della crisi di Gaza con la leadership egiziana. Ieri Ban ha lanciato un appello a Israele e Hamas "a collaborare con gli sforzi condotti dall'Egitto per raggiungere un immediato cessate il fuoco".
Fonti palestinesi ritengono possibile che venga raggiunto un accordo già "oggi o domani". Ma il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha però avvertito che Israele è pronto ad "allargare significativamente" l'offensiva su Gaza e che "i soldati sono pronti per qualsiasi tipo di attività che si dovesse richiedere", quindi anche un'offensiva terrestre. Il presidente statunitense Obama starebbe a sua volta cercando di evitare il peggio, pur mantenendo comunque il suo appoggio a Israele, con un tentativo di "ottenere la fine dei lanci di razzi palestinesi senza ulteriori violenze" - cioè senza un'invasione dell'esercito israeliano.
Dall'inizio dell'offensiva, lanciata mercoledì, Israele ha dichiarato di aver colpito 1.350 obiettivi sensibili, mentre sono oltre 540 i razzi lanciati da Gaza e caduti in territorio israeliano. Trentacinque di questi sono caduti in zone aperte.
Berlu scarica(barile) Monti
«I dati dopo un anno di governo tecnico sono disastrosi, credo si debba cambiare assolutamente quella politica economica imposta dallaUe e soprattutto dall'egemonia tedesca che non è solidale, non pensa al bene di tutti ma al bene di se stessa. Credo che questo sia assolutamente da invertire». Torna a intervenire nel dibattito politico, Silvio Berlusconi, e da Milanello attacca il governo Monti. Poi rivolge un appello a Casini: «Schierati con noi».
«Sulla fiducia al governo si esprime Alfano». «Diciamo che è il nostro segretario che si esprime al riguardo» ha risposto Berlusconi ai giornalisti che lo interrogavano circa l'ipotesi di togliere la fiducia al governo.
«Monti candidato dei moderati? Deve decidere lui». «È lui che deve decidere cosa fare, bisogna domandarlo a lui. No, non fatemi domande precise di politica, c'è il mio segretario per questo, che è bravissimo» ha detto Berlusconi a chi gli domandava come vedrebbe premier Mario Monti come candidato dei moderati.
Appello a Casini. «Non credo che Casini voglia rappresentarsi come un manca parola assoluto nei confronti degli italiani - ha detto Berlusconi - e perciò credo che questo mio passo indietro possa essere un fatto decisivo perché lui si dichiari e si impegni a far parte del centrodestra. Io ho fatto un passo indietro anche per consentire che il rassemblement dei moderati comprendesse tutti i moderati, per cui anche il partito di Casini, che ha detto in pubblico diverse volte e in sede istituzionale che se non ci fosse stata più la presenza di Silvio Berlusconi sarebbe rimasto nell'ambito del centrodestra».
«Il 70% degli italiani è disgustato da questi partiti». «Le elezioni siciliane hanno confermato quanto dicevano tutti i sondaggi: il 70% degli italiani è disgustato da questa politica, da questi partiti e da questi protagonisti - ha detto l'ex premier - Bisogna avere il coraggio di cambiare, vediamo un po' cosa si potrà fare da qui alle elezioni».
«In Lombardia spero in un candidato unico Pdl-Lega». Infine un riferimento alle elezioni regionali della Lombardia: «Auspico che Pdl e Lega possano riconoscersi in un unico candidato - ha detto Berlusconi - Albertini o Maroni? Vediamo, sono cose da decidere, che non decido io personalmente».
«Mi sento 35 anni e ve lo posso provare». «Stamani ho fatto 72 flessioni, non sono poche per uno che ha la mia età, 56 anni...» ha detto Silvio Berlusconi sorridendo e attribuendosi vent'anni in meno al termine delle interviste con i giornalisti a Milanello. «Però mi sento sento 35 anni - ha aggiunto rivolto a due giornaliste - e sono pure disposto a provarlo».
La domanda che, (Lubrano docet), nasce (sempre) spontanea è: ma dove era Berlusconi prima che il governo tecnico in un batter d'occhio si insediasse per rimediare al disastroso governo precedente?
Fino a prova contraria Berlusconi era Presidente del Consiglio dei Ministri ed i dati disastrosi che oggi imputa a Monti, il professore li ha ereditati da uno dei peggiori (se non il peggiore in assoluto) governo della storia repubblicana. Un postribolo insulso che per 2 anni ha negato l'esistenza stessa di una crisi che chiamò, ricordiamolo, la stessa ricca e potente Germania ad una manovra da 80 mld di euro in 4 anni. L'unica cosa che Berlusconi & co. seppero fare fu deriderli sostenendo, non si sa bene su quale fondamento, "che noi uscivamo dalla crisi meglio degli altri..." . Sappiamo come finì: Berlusconi riconoscendo la propria inettitudine ed incapacità di far fronte ad una crisi che sembrava trascinarci giù nel baratro del fallimento scappò in piena notte lasciando l'Italia e gli italiani soli di fronte a responsabilità e problematiche quasi impossibili da risolvere.
Certo l'esecutivo di Mario Monti non è scevro di responsabilità: una patrimoniale su redditi e patrimoni dei più abbienti, uno tassazione esemplare sui fondi indebitamente trasferiti all'estero o la eliminazione di inutili spese militari e grandi opere sarebbero stati una panacea. Purtroppo noi del "popolino" non conosciamo dinamiche politiche ed economiche: non ci è dato sapere il perché sia meglio "affamare e spremere" un popolo intero oberandolo sotto il peso di una pressione fiscale insostenibile piuttosto che chiamare chi ha "denari e possibilità" ad assumersi le proprie responsabilità per il bene del Paese.
Ci si chiede anche con quale maggioranza (se non quella del PDL con beneplacito del Presidente, appunto) i provvedimenti del governo tecnico, oggi così aspramente criticato, siano stati approvati. Sarebbe più onesto da parte di Berlusconi ricordare agli italiani che il governo Monti è sostenuto dal centro destra (che detiene la maggioranza assoluta in Parlamento) e che senza l'appoggio del PDL il governo tecnico semplicemente non sarebbe mai esistito e non avrebbe mai legiferato. Il deus ex machina rimane Berlusconi, il quale esercita il proprio diritto di veto su ogni singolo provvedimento: l'esempio lampante viene dal vertice notturno tenutosi al Quirinale tra Napolitano, Fini e Schifani durante il quale si è decisa la data per le prossime elezioni. Il 10 marzo che potrebbe essere election day racchiudendo in una sola tornata elettorale regionali e politiche: guarda caso come voleva Berlusconi ed il PDL che minacciava la caduta del governo se si fosse deciso diversamente...
Sarebbe più onesto da parte di Berlusconi e della classe dirigente e politica da lui scelta riconoscere la propria incapacità di leadership, il fallimento di quello che a parole sarebbe stata una rivoluzione liberale, ma che nei fatti ci condanna ad un futuro senza speranza. Sarebbe giusto. Sarebbe una onesta ammissione di colpa. Ma sappiamo bene che trovare un politico onesto (anche solo intellettualmente) è come trovare une meretrice illibata.
I "Tecnici" del manganello
Se nelle piazze italiane di 87 città, da Milano a Torino, da Roma a Napoli, da Padova a Brescia e a Pisa abbiamo visto in azione ieri i «professionisti della violenza», questi indossavano immancabilmente caschi blu, anfibi e pantaloni con la riga rossa.
I tecnici del manganello hanno dato prova di una tecnica assai primitiva: menar botte da orbi su chi capitava a tiro e incutere il massimo di terrore a una massa imponente di giovani e giovanissimi, in gran parte alla loro prima esperienza di piazza. Mai visti prima, ignoti perlopiù alle stesse realtà consolidate di movimento. Poca organizzazione, nessun disegno preordinato, molta rabbia e molto coraggio nell'affrontare tutti insieme una violenza spropositata, improvvisa e incomprensibile. Solo la consueta faziosità dei media, smentita da numerose immagini e testimonianze, ripropone il trito dualismo tra tanti giovani di buona volontà e frange organizzate di militanti pronti allo scontro e inclini al saccheggio.
A Roma, con una scelta ai limiti della follia, la polizia blocca il corteo in un punto del lungotevere assolutamente privo di vie di fuga. Non si vuole disperdere, si vuole picchiare. Il panico avrebbe potuto provocare un vero disastro. Perché solo in Italia a un corteo è interdetto, a colpi di lacrimogeni e di manganello, di portare la propria voce sotto le finestre della cittadella del potere? Un corteo che non aveva nulla di minaccioso se non la sua sacrosanta distanza dalle rappresentanze politiche.
E il suo rifiuto delle logiche indiscusse e indiscutibili che governano la gestione della crisi, fuori da ogni dimensione democratica. Nella capitale d'Italia esiste, come a Pechino, la città proibita e la sua inviolabilità non riguarda in alcun modo una questione di ordine pubblico, o una minaccia reale per i suoi disprezzati abitanti, ma un fatto simbolico, un gesto di arroganza che segna il confine netto tra governanti e governati. Confine che nel tempo del governo tecnico e postdemocratico, conviene sottolineare ulteriormente e senza equivoci. A Roma come ad Atene o a Madrid, dove pur governa una destra politica screditata e ormai invisa ai più e dove una marea montante di indignati e di incazzati invade la città. C'è un principio decisivo e mai enunciato nella dottrina della «spending review»: i bastoni costano meno delle carote. E, soprattutto, non alimentano illusioni. È possibile non far tornare più questo conto? Finora neppure i greci ridotti allo stremo e impegnati in una estenuante guerra di piazza ci sono riusciti.
Ma con ogni evidenza, soprattutto tra le giovani generazioni, colpite fino all'inverosimile dalle politiche di austerità, dileggiate dalla stupidità e dall'improntitudine dei governanti, bastonate a ogni tentativo di insorgenza, sta crescendo un temibile fronte del rifiuto dal quale l'Europa distoglie lo sguardo, contando sulla frammentazione dei dominati nei diversi paesi del continente e sulla solida unità delle sue oligarchie. È un movimento in larga parte spontaneo, sospinto dall'esperienza individuale e collettiva e dalle nuove forme politiche che questa va assumendo più che dall'ideologia. Su questa prospettiva si abbattono i manganelli.
CAMBIARE: SI PUO'!!
A fronte di ciò non è più possibile stare a guardare o limitarsi alla critica.
L’attuale pensiero unico e il conseguente orizzonte politico sono modificabili. Esiste un'alternativa forte, sobria e convincente alla politica liberista che, in tutta Europa, sta distruggendo il tessuto sociale senza dare soluzione a una crisi che non accenna a diminuire nonostante le rassicurazioni di facciata.
È un’alternativa che si fonda sulle promesse di civiltà contenute nella nostra Carta fondamentale: la Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto al lavoro e, in quanto lavoratori, a una retribuzione sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa: noi vogliamo che questi principi siano attuati e posti a base delle politiche economiche e sociali. È un’alternativa che esprime una cultura politica nuova, che si prende cura degli altri e rifiuta il leaderismo, che parla il linguaggio della vita della persone e non quello degli apparati, che include nelle discussioni e decisioni pubbliche la cittadinanza attiva.
Un’alternativa capace di fare emergere, con l’impegno collettivo, una nuova rappresentanza politica preparata, capace, disinteressata al tornaconto personale e realmente al servizio della comunità. Un’alternativa in grado di produrre antidoti a quel sistema clientelare che ha generato corruzione e inquinamento mafioso e di trasformare lo stato rendendolo trasparente, de-centralizzato ed efficiente. Un’alternativa, quindi, che guarda a un mondo diverso, in cui si rispetti l’ambiente, siano valorizzati i beni comuni, si pratichi l’accoglienza, si assicuri a tutte e tutti la possibilità di una vita degna di essere vissuta anche se si è vecchi, malati o senza lavoro o se si è arrivati nel nostro paese per viverci e lavorare. Non è un’illusione, ma il compito di una politica lungimirante: il welfare, lungi dall’essere un lusso dei periodi di prosperità, è la strada che ha portato alla soluzione delle grandi crisi economiche del secolo scorso. E non c’è solo una prospettiva di tempi lunghi. Ci sono azioni positive da realizzare e scelte sbagliate da contrastare. Subito.
L’elenco è semplice e riguarda sia gli interventi indispensabili che le modalità per recuperare le risorse necessarie. Da un lato, la rinegoziazione delle normative europee che impongono politiche economiche recessive; un progetto di riconversione di ampi settori dell’economia in grado di rilanciare rapidamente l’occupazione con migliaia di piccole opere di evidente e immediata utilità collettiva; un piano di riassetto del territorio nazionale e dei suoi usi mirante a garantire la sicurezza dei cittadini e la riduzione del consumo di suoli agricoli; un’imposizione fiscale equa ed efficace (estesa ai patrimoni e alle rendite finanziarie nonché alle proprietà ecclesiastiche); il potenziamento degli interventi a sostegno delle fasce più deboli e dei presidi dello stato sociale; il ripristino delle tutele fondamentali del lavoro e dei lavoratori; la sperimentazione di modalità di creazione diretta di occupazione, anche in ambito locale, affiancata dall’introduzione di un reddito di cittadinanza; l’attuazione di forme di sostegno e promozione delle esperienze di economie di cooperazione e solidarietà; l'investimento a favore della scuola e dell'università pubblica, a sostegno della formazione, della cultura, della ricerca e dell’innovazione; il rispetto pieno e immediato dei referendum 2011 sui beni comuni e contro la vendita ai privati dei servizi pubblici locali; un’effettiva riforma del sistema dell’informazione e del conflitto di interessi; il pieno riconoscimento dei diritti civili degli individui e delle coppie a prescindere dal genere e l’accesso alla cittadinanza per tutti i nati in Italia.
Dall’altro: una reale azione di contrasto dell’evasione fiscale e della corruzione; il ritiro da tutte le operazioni di guerra e l’abbattimento delle spese militari; la definitiva rinuncia alle grandi opere (a cominciare dalla linea Tav Torino-Lione e dal ponte sullo Stretto); l’abrogazione delle leggi ad personam (che sanciscono la disuguaglianza anche formale tra i cittadini); la previsione di un tetto massimo per i compensi pubblici e privati e l’azzeramento delle indennità aggiuntive della retribuzione per ogni titolare di funzioni pubbliche.
I fatti richiedono un’iniziativa politica nuova e intransigente, per non restare muti di fronte a opzioni che non ci corrispondono.
Un’iniziativa politica nuova e non la raccolta dei cocci di esperienze fallite, dei vecchi ceti politici, delle sigle di partito, della protesta populista. Un’iniziativa che porti alla costituzione di un polo alternativo agli attuali schieramenti, con uno sbocco immediato anche a livello elettorale. Un’iniziativa che parta dalle centinaia di migliaia di persone che nell’ultimo decennio si sono mobilitate in mille occasioni, dalla pace ai referendum, e che aggreghi movimenti, associazioni, singoli, amministratori di piccole e grandi città, lavoratrici e lavoratori, precari, disoccupati, studenti, insegnanti, intellettuali, pensionati, migranti in un progetto di rinnovamento delle modalità della rappresentanza che veda, tra l’altro, una effettiva parità dei sessi.
È un’operazione complicata ma necessaria, che deve essere messa in campo subito. Negli ultimi giorni si sono susseguiti numerosi appelli in questo senso. È tempo di unire passione, intelligenze, capacità ed entusiasmo per costruire una proposta elettorale coerente con questa prospettiva, in cui non ci siano ospiti e ospitanti, leader e gregari ma un popolo interessato a praticare e promuovere un cambiamento mai come oggi necessario ed urgente.
Ministri in fuga....da una crisi infinita
Sardegna: i ministri di Monti assediati da operai e minatori. Ore di cariche e duri scontri, finché Passera e Barca non sono costretti a lasciare Carbonia in elicottero. La giornata era iniziata con un nutrito presidio di operai, studenti, agricoltori e commercianti sul piazzale della grande miniera di Serbariu a Carbonia dove erano previsti gli incontri dei ministri Passera e Barca e del sottosegretario De Vincenti con le istituzioni locali.
I rappresentanti del governo Monti sono arrivati nel Sulcis per affrontare lo spinoso nodo di una grave situazione di crisi economica determinata dallo smantellamento industriale, dalla delocalizzazione e dal taglieggiamento di Equitalia nei confronti di famiglie e imprese.
Nel piazzale davanti al luogo scelto per gli incontri però le autorità hanno trovato i lavoratori delle varie aziende del Sulcis Iglesiente e del polo industriale di Portovesme. Un minatore della Carbosulcis e rappresentante di Sinistra Critica Sarda, Antonello Tiddia, questa mattina presto si era anche incatenato ad una transenna per manifestare il suo dissenso nei confronti delle politiche del governo Monti.
Nella galleria mineraria Villamarina di Monteponi invece, occupata ieri sera, hanno trascorso la prima notte i lavoratori ex Rockwool in mobilità che chiedono garanzie per il loro futuro. Davanti all'ingresso c'é il presidio formato dagli altri operai per dare manforte ai colleghi rinchiusi in galleria. ''La situazione e' preoccupante - ha spiegato Gianni Medda, uno degli ex lavoratori dell'azienda - il presidio prosegue a oltranza. Noi chiediamo solo una cosa, che venga rispettato l'accordo firmato lo scorso dicembre che prevedeva il reinserimento delle maestranze della ex fabbrica all'interno delle aziende partecipate dalla Regione''. Nelle parole degli operai c'è determinazione e la volontà di andare avanti. 'Vorremmo risposte concrete, atti - hanno urlato - da gennaio la mobilità con cui le nostre famiglie campano sarà ulteriormente ridotta e non sappiamo come fare ad andare avanti''. I lavoratori sollecitano la ripresa immediata del confronto: ''Tutte le parti politiche e le istituzioni devono attivarsi per trovare una soluzione per il nostro futuro''.
Poco prima dell'arrivo dei ministri Passera e Barca e del sottosegretario De Vincenti, un gruppo di operai dell'Alcoa e altri manifestanti hanno sfondato una prima fila di recinzioni per cercare di avvicinarsi al luogo dove avrebbero dovuti svolgersi le riunioni con i sindaci, e immediatamente contro di loro sono partite le cariche di Polizia e Carabinieri in assetto antisommossa. Contro i celerini i lavoratori hanno lanciato oggetti vari e petardi, urlando al contempo slogan contro l'Alcoa, la multinazionale Usa che ha chiuso la fabbrica di Portovesme. Alcuni poliziotti sono stati colpiti da palloncini colorati che hanno imbrattato di vernice rossa le loro tute e gli scudi.
Dopo gli scontri i ministri hanno deciso di posticipare il loro arrivo a Carbonia "fino a quando la situazione non tornerà alla normalità". Sul posto sono stati fatti affluire altri uomini delle forze dell'ordine e varie camionette sono state parcheggiate di traverso per impedire un ulteriore blitz degli operai.
Poco prima delle cariche e degli scontri Antonello Tiddia aveva deciso di interrompere la protesta intrapresa questa mattina presto, quando si era incatenato proprio alle transenne.
Nel pomeriggio la tensione è rimasta molto alta, man mano che diventava ancora più evidente che dall'incontro tra ministri e autorità locali non sarebbero venute risposte concrete alle richieste dei lavoratori e delle comunità locali, ma solo tentativo di placare gli animi con promesse vaghe e generiche puntualmente da non rispettare.
Poi la tensione è di nuovo sfociata in cariche e scontri, più volte.
Secondo i cronisti presenti i manifestanti prima hanno iniziato un fitto lancio di sassi contro i celerini che hanno risposto col lancio di lacrimogeni e dure cariche nel tentativo di disperderli. E poi i blindati di Polizia e Carabinieri hanno inseguito operai e minatori alcuni agenti cercavano di rimuovere dalla strada una Fiat Panda data alle fiamme, pneumatici, scaldabagni e letti.
Secondo un bilancio ufficiale alcuni poliziotti sarebbero rimasti contusi e due manifestanti sarebbero stati denunciati. Dopo l'ultima carica, intorno alle 18, degli agenti del Reparto Mobile della Polizia e dei Carabinieri in tenuta antisommossa, forze dell'ordine e operai sono rimasti a fronteggiarsi per circa mezz'ora. Finchè alcuni dirigenti di Cgil, Cisl e Uil non hanno convinto i lavoratori a cessare l'assedio. Così un lancio dell'agenzia Ansa descriveva la scena: "La situazione all'esterno dell'area della miniera ricorda la guerriglia urbana: sull'asfalto sassi e pietre di ogni dimensione, resti di petardi e fumogeni, mentre la strada di accesso e' bloccata da una montagna di materiali: un divano, una porta, ruote di camion e auto, uno scaldabagno e persino una vettura incendiata. E ancora: transenne divelte e pezzi di mobilio".
Poco dopo i ministri Passera e Barca sono stati scortati dai militari allo scalo di Elmas, nella zona presidiata dall'Aeronautica militare. A causa delle barricate incendiate piazzate dai minatori agli ingressi della miniera di Serbariu e lungo varie strade intorno a Carbonia i rappresentanti del governo hanno dovuto raggiungere lo scalo aereo in elicottero.
Quasi contemporaneamente alla fuga ministeriale dall'isola sarda arrivano novità per la legge di stabilità:
Non cala l'Irpef sui due primi scaglioni di reddito ma arriva uno sconto di 180 euro a figlio sotto forma di detrazioni e il calo della parte dell'Irap che pesa sul costo del lavoro a partire dal 2014. Salta poi la stretta sulle detrazioni e l'aumento dell'Iva dal 10 all'11%.
IRPEF, SI TORNA ALLE ALIQUOTE ATTUALI - Si ritorna alle attuali aliquote Irpef. La cancellazione dello sconto di un punto sui primi due scaglioni frutta un ‘’tesoretto’’ di 4.271 milioni nel 2013, 6.628 milioni nel 2014 e 5.973 milioni nel 2015. Sono queste le risorse utilizzate per riequilibrare la manovra.
CALA FONDO AFFITTI: Il taglio e’ di 250 milioni nel 2013, di 50 nel 2014 e di 300 nel 2015. Contribuisce con l’irpef a finanziare le altre misure.
+180 EURO SU DETRAZIONI FIGLI - Aumentano gia’ dal 2013 le detrazioni per i figli. Passano da 800 a 980 euro per i figli con piu’ di 3 anni, da 900 a 1080 euro per quelli piu’ piccoli. Lo sconto vale 941 milioni nel 2013, 1.405 milioni nel 2014, 1.265 nel 2015.
DETRAZIONI, VIA TETTO E FRANCHIGIA - l’emendamento migliora gli ‘’sconti fiscali’’ rispetto a quelli attuali, ma la manovra risolve anche altri tre nodi che riguardano deduzioni e detrazioni. Scompare il ‘taglio’’ retroattivo previsto dalla prima stesura della legge di stabilita’ e saltano completamente sia il tetto di 3.000 euro sia la francighia di 250 euro previste in precedenza su detrazioni e deduzioni.
IVA - Viene congelata al 10% l’aliquota Iva che da luglio doveva passare all’11%. Rimane invece l’aggravio per l’aliquota del 21% che passa al 22%. Rimane quindi la stretta sull'aliquota più applicata e più diffusa che determinerà per certo un ulteriore calo dei consumi con danni e ripercussioni subito tangibili sugli indicatori macro e micro economici.
IRAP, CALA DAL 2014 SUL LAVORO - Il taglio vale complessivamentre 1,2 miliardi. L'emendamento prevede l'incremento delle deduzioni forfetarie per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, da 4.600 euro a 7.500 euro, che per le assunzioni nelle regioni del Sud passeranno da 9.200 euro 15.000 euro. Inoltre saliranno anche le deduzioni forfettarie, per ogni giovane sotto i 35 anni assunto a tempo indeterminato: esse passano dagli attuali 10.600 euro (15.200 euro al Sud) a 13.500 euro (21.000 euro nel Sud). Inoltre, l'emendamento incrementa le deduzioni per i soggetti con valore della produzione fino a 181.046,31 euro (di minore dimensione)
FONDO PRODUTTIVITA': Arrivano 600 milioni nel 2014 e 200 nel 2015 per rimpinguare le risorse finalizzate a finanziare interventi per la produttività
TFR - Viene rifinanziata con 170 milioni la ‘clausola di salvaguardia’ prima prevista per le indennita’ di fine rapporto. E’ una norma che evita il rischio, o la quasi certezza, di aggravio sul Tfr previsto da una delle manovre Tremonti dell’estate 2011.
IVA COOPERATIVE SOCIALI - Slitta di un anno, al primo gennaio 2014, la norma che prevede un aggravio dal 4 al 10% dell’Iva sulle prestazioni delle cooperative sociali
PENSIONI DI GUERRA SENZA IRPEF - Viene ripristinata l’esenzione Irpef delle pensioni di guerra di reddito superiore ai 15.000 euro che la versione della Legge di Stabilita’ scritta dal Governo
AGRICOLTURA: Slitta di un anno, rispetto alla versione originale della Legge di Stabilita’, la stretta decisa sul settore agricolo. In p articolare viene differita al 2013, con effetti concreti sulla dichiarazione del 2014, la rivoluzione dei redditi domenicali ed agrari. Anche per la ‘’stretta’’ sulle società agricole si va avanti di un anno, al 2013. Cambia il meccanismo di riduzione del contingente del gasolio agricolo con un risparmio di 54 milioni.
Una cosa è certa: l'esacerbazione per una crisi senza fine e soluzioni del Palazzo che non sembrano portare risultati tangibili per lavoratori e famiglie acuiscono situazioni di tensione sociale sempre più esasperate. Si teme il vuoto fra una miriade di micro-crisi che promettono di avvitarsi verso forme di contestazione violenta; e l'assenza di organizzazioni e istituzioni in grado di governarle. Al ministero dello Sviluppo economico esistono oltre centocinquanta dossier che riguardano altrettante situazioni difficili, e non solo a livello industriale. La preoccupazione palpabile è che nell'incapacità o nell'impossibilità delle forze sindacali e dell'esecutivo di risolverle, possano degenerare fino a diventare un problema di ordine pubblico. Abbiamo una classe dirigente e politica che di fronte a problematiche e contingenze economiche di così grande impatto non sanno far altro che fuggire verso il Palazzo: è ora che la politica in modo serio si preoccupi di darci un futuro, senza se e senza ma....
Regione Lazio, arrestato l’ex capogruppo Idv Maruccio. L’accusa è di peculato
Vincenzo Maruccio, ex capogruppo dell’Italia dei valori in regione Lazio, è stato arrestato dal nucleo nucleo di polizia Valutaria della Guardia di Finanza. L’accusa è di peculato per essersi appropriato di circa 700mila euro di fondi destinati al partito. L’ordine di custodia richeista dal procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi e dal sosttuto Stefano Pesci,à stato emesso dal gip Flavia Costantini.
Maruccio è il secondo capogruppo del Consiglio regionale del Lazio a finire in carcere, dopo quello del Pdl Franco Fiorito, anche lui accusato di uso privato dei fondi di partito. Uno scandalo che ha determinato la caduta della giunta Polverini e il ritorno alle urne, in data ancora da stabilire.
Salvatore Vincenzo Maruccio avrebbe sottratto i 700mila euro dai fondi pubblici messi a disposizione del gruppo consiliare Idv tra l’aprile del 2011 e il giugno del 2012. Il denaro sarebbe stato prelevato da due conti correnti aperti dall’Idv sulle banche Cariparma e Credito Artigiano e poi trasferito, secondo l’accusa, dallo stesso Maruccio su dieci conti correnti di cui risulta titolare presso alcune banche. Sette di questi conti sono personali mentre altri tre in codelega.
Obama, "il Presidente" ed il futuro del mondo
Quello che del Tea Party è stato forse poco percepito in Europa è che si è trattato di una reazione alla crollo economico del 2008. È vero che i suoi motivi ideologici sono profondamente radicati nella storia americana. Ma non si deve considerare il suo esordio nella primavera del 2009 come casuale. La conferenza stampa del Presidente Bush nel settembre 2008, subito dopo il fallimento Lehman Brothers, insieme al Presidente della Federal Reserve Bernanke e al Ministro del Tesoro Paulson, è stato un evento di cui non si ricordano precedenti. Difficile sottovalutare la drammaticità del messaggio: la catastrofe economica incombe. A confermarlo c'era la processione degli occupati nella finanza con i loro scatoloni, la cui vita finiva in un attimo col licenziamento.
Ma ancora più cruciale fu il crollo dei valori di Borsa, caduti dall'aprile 2008 al febbraio 2009 di più del cinquanta per cento, contro solo circa il dieci per cento dopo dieci mesi dall'ottobre del 1929; uno shock concentrato. Europei ed economisti pensano solo al 2009 come l'anno della recessione. Ma è tra la prima metà del 2008 e l'inizio del 2009 che si infrange il sogno del grande arricchimento continuo promesso dalla svolta antistatalista attuata nel nome di Reagan. La cui filosofia elementare era: lasciateci fare, meno lo Stato si impiccia, tutto andrà per il meglio. Svolta che l'amministrazione Clinton non aveva intaccato, ma di cui aveva anzi confermato la validità con l'azzeramento del deficit del bilancio dello Stato.
Pensiamo ora a quell'America profonda che, nel pieno della caduta dei valori mobiliari, e quindi dei Valori Americani, oltre all'indigeribilità del primo presidente nero, vede che la risposta federale alla crisi è l'aumento della spesa, del deficit e del debito pubblici. Tutto ciò che la Nuova Religione reaganiana aveva additato come il male assoluto. Cosa poteva pensare quell'America profonda? Che quelle misure erano un palliativo che non poteva che aggravare la crisi e allontanare la ripresa del sogno. Che quella sopravvivenza di Stato che era stata tollerata fin dai tempi di Reagan aveva portato a un frutto avvelenato: la crisi del 2008; e che il solo rimedio sarebbe stato la sua estirpazione.
Nel 1929 i nuovi ricchi americani erano più innocenti e si buttavano dai grattacieli, come racconta la retorica della Grande Depressione. Adesso sono incarogniti e vogliono la vendetta contro chi pensano gli abbia tolto il sogno, e i soldi: lo Stato. Questo, più che la lunga storia di quei valori americani profondi, spiega la virulenza del movimento. Che ha molto in comune con il maccartismo dei primi Cinquanta. Come allora, una folla di politicanti si è associata, a caccia di voti, aumentando il momento politico del movimento. La sua crescita impetuosa non poteva non suggerire il bersaglio grosso: la Presidenza. I movimenti, negli Usa, catturano il momento ideologico e emozionale emergente molto più rapidamente dei partiti europei, più strutturati. Ma, al tempo stesso, mancano della forza conservativa che quei partiti hanno, purtroppo, anche di fronte a dure smentite politiche. Una cosa pare emergere dalla sconfitta di Romney: che il Tea Party, potente aggregatore di consensi, è diventato anche un potente repulsore. La scommessa di capitalizzare sul Tea Party, senza perdere verso altri settori, è stata perdente nonostante le condizioni paressero ottimali. L'uscita dalla crisi era stata debole. La politica di Obama era stata frenata da tabù, come l'avversione a deficit e debito pubblici, condivisi anche nel suo entourage. Lui stesso pareva aver perso il tocco magico del discorso mobilitante.
Una disgregazione dello schieramento che ha fallito l'attacco finale è molto probabile, data anche la debole strutturazione dei partiti americani. Qui si apre un'opportunità di ridurre la presa ideologica del liberismo anarcoide estremo impersonato dal Tea Party. Negli stati industriali del Nord Mid-West è successo per esperienza diretta. Il difficile è farlo capire a settori più ampi. Solo la prova provata del consolidamento della ripresa può indebolirne la presa su elettori meno ideologizzati. Il presidente Obama deve assolutamente evitare il 'precipizio fiscale', cioè quella massa di tagli già contrattati con i repubblicani che taglierebbero inevitabilmente le gambe a una ripresa ancora debole. Se vuole farsi ricordare per aver portato gli Usa fuori dalla crisi è necessario che il presidente smetta di ascoltare le colombe clintoniane. Questa è l'ultima trappola repubblicana.
E se Obama davvero vorrà essere ricordato come "il Presidente" dovrà cercare di scardinare quella ideologia ottusa e repulsiva delle economie di mercato reiette a qualsivoglia possibilità di controllo ed indirizzamento delle scelte economiche e sociali da parte dello Stato per poi trovarsi sbranati dallo squalo speculatore pronto a divorare per le univoche logiche di profittabilità diritti acquisiti ed intere porzioni di quella economia reale che è il vero ed unico fondamento del benessere diffuso promesso come una lusinga da stolti economisti e da un liberismo licenzioso ed anacronistico. Non capire i difetti strutturali, le lacune evidenti, la disparità nella distribuzione della ricchezza prodotta da questo sistema economico fallimentare e globale è un errore che né Obama né l'umanità possono più permettersi.
Di Pietro non è un santo ma REPORT ha preso un granchio...
Il programma di Gabanelli diffonde notizie inesatte sull’ex pm di Mani Pulite. Forse una ‘disattenzione’, ma è strano ‘l’errore’ quando si colpisce l’avversario parlamentare più duro nei confronti del governo Monti.
Report, che tanto piace alla sinistra italiana, in realtà è stato sempre un programma altalenante. A seconda dell’argomento ‘azzeccava’ la puntata oppure diventava uno strano miscuglio di indizi che alla fine non portavano ad una verità accertata, ma solo a supposizioni.
La ‘scuola’ del giornalismo televisivo della gauche italiota non ha mai brillato, tanto che da almeno trent’anni, sebbene di materia per indagare ce ne fosse a tonnellate, non si è mai riusciti a stanare neppure un ladro di polli. Sono lontani i tempi dell’Espresso degli anni ’60, dell’Ora di Palermo, delMondo di Pannunzio, del Panorama di Sechi.
La ‘denuncia totale’ alla Santoro, i verbali taglia incolla di Travaglio, i cartelli soporiferi di Floris o le altre trasmissioni televisive sono più uno strumento di training autogeno per i cittadini ‘indignati’ che una spietata macchina investigativa, come per esempio fu il Washington Post di Woodward e Bernstein durante il Watergate.
Ed infatti Nixon dovette tornarsene a casa dopo l’inchiesta dei due Premio Pulitzer, mentre al momento non sembra che nessun politico di rilievo sia stato costretto alle dimissioni da una investigazione giornalistica condotta dai pupilli del popolo di sinistra.
Fino a ieri, perchè adesso un ‘colpito ed affondato’ adesso potrebbe esserci: Tonino Di Pietro.
Il leader dell’ormai agonizzante Idv ha scritto cercando di difendersi da quelle che ha definito “alcune delle molte ‘perle’ di disinformazione diffuse in questi giorni in merito ad un mio presunto e inesistente ‘ingente patrimonio immobiliare’”.
Secondo Di Pietro “sui giornali e nelle televisioni sono stati attribuiti ad Anna ben otto immobili e a Toto sette. Vale a dire “15 case”, almeno così è stato fatto credere sia in diverse trasmissioni radiotelevisive che da molti giornali. Immobili che, con artifizi linguistici e raggiri comunicativi, io avrei acquistato per loro con i soldi dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito IdV”.
Dopo aver annunciato querele (che alla luce dei fatti rimpingueranno ulteriormente il portafoglio dell’ex magistrato) Di Pietro ha continuato: “La verità è ben diversa, come da estratto catastale che, qui di seguito, allego e che deve essere letto per intero senza fermarsi alla prima pagina, come fraudolentemente è stato fatto”.
Ed è a questo punto che le ‘investigazioni giornalistiche’ che avrebbero dovuto scoperchiare l’abisso diventano una testimonianza di surrealtà.
Infatti Di Pietro spiega: “Certo, nella prima pagina della visura catastale, si legge che Anna è titolare di 7 fabbricati a Milano e Toto di altri 6. Risulta, inoltre, che entrambi siano intestatari di un ulteriore “fabbricato” a Bergamo (cfr. prima pagina della visura per Anna e della visura per Antonio Giuseppe). Ma se si ha l’accortezza di “girare” le pagine successive delle singole visure catastali, ci si può facilmente rendere conto che, in realtà, i miei figli non sono affatto proprietari di “15 case” ma solo di due appartamentini, con annesso unico garage, entrambi siti al quarto piano di un condominio popolare di recente costruzione in zona Bovisa a Milano. Tutte le altre particelle immobiliari, indicate nell’estratto catastale, invece, altro non sono che “aree urbane” dell’intero condominio cedute al Comune di Milano per “servizi pubblici” (marciapiedi, parcheggi pubblici, svincoli e strade di accesso, giardinetti pubblici al servizio di tutta la collettività locale, etc.)”.
Insomma, se fosse dimostrato, come oggettivamente i documenti attesterebbero, ci sarà da chiedersi come mai Report abbia preso un granchio di questa portata. E, soprattutto, ci sarebbe da domandarsi come mai nessuno abbia ritenuto di far ricorso ad una regola fissa per qualsiasi giornalista investigativo al mondo: “Sottoporre i risultati dell’inchiesta all’accusato e chiedere il suo parere e le sue controrepliche”.
C’è da pensare che alla lunga se ne vedranno delle belle, perchè l’ex pm in tribunale è stato sempre un mastino.
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