Se nelle piazze italiane di 87 città, da Milano a Torino, da Roma a Napoli, da Padova a Brescia e a Pisa abbiamo visto in azione ieri i «professionisti della violenza», questi indossavano immancabilmente caschi blu, anfibi e pantaloni con la riga rossa.
I tecnici del manganello hanno dato prova di una tecnica assai primitiva: menar botte da orbi su chi capitava a tiro e incutere il massimo di terrore a una massa imponente di giovani e giovanissimi, in gran parte alla loro prima esperienza di piazza. Mai visti prima, ignoti perlopiù alle stesse realtà consolidate di movimento. Poca organizzazione, nessun disegno preordinato, molta rabbia e molto coraggio nell'affrontare tutti insieme una violenza spropositata, improvvisa e incomprensibile. Solo la consueta faziosità dei media, smentita da numerose immagini e testimonianze, ripropone il trito dualismo tra tanti giovani di buona volontà e frange organizzate di militanti pronti allo scontro e inclini al saccheggio.
A Roma, con una scelta ai limiti della follia, la polizia blocca il corteo in un punto del lungotevere assolutamente privo di vie di fuga. Non si vuole disperdere, si vuole picchiare. Il panico avrebbe potuto provocare un vero disastro. Perché solo in Italia a un corteo è interdetto, a colpi di lacrimogeni e di manganello, di portare la propria voce sotto le finestre della cittadella del potere? Un corteo che non aveva nulla di minaccioso se non la sua sacrosanta distanza dalle rappresentanze politiche.
E il suo rifiuto delle logiche indiscusse e indiscutibili che governano la gestione della crisi, fuori da ogni dimensione democratica. Nella capitale d'Italia esiste, come a Pechino, la città proibita e la sua inviolabilità non riguarda in alcun modo una questione di ordine pubblico, o una minaccia reale per i suoi disprezzati abitanti, ma un fatto simbolico, un gesto di arroganza che segna il confine netto tra governanti e governati. Confine che nel tempo del governo tecnico e postdemocratico, conviene sottolineare ulteriormente e senza equivoci. A Roma come ad Atene o a Madrid, dove pur governa una destra politica screditata e ormai invisa ai più e dove una marea montante di indignati e di incazzati invade la città. C'è un principio decisivo e mai enunciato nella dottrina della «spending review»: i bastoni costano meno delle carote. E, soprattutto, non alimentano illusioni. È possibile non far tornare più questo conto? Finora neppure i greci ridotti allo stremo e impegnati in una estenuante guerra di piazza ci sono riusciti.
Ma con ogni evidenza, soprattutto tra le giovani generazioni, colpite fino all'inverosimile dalle politiche di austerità, dileggiate dalla stupidità e dall'improntitudine dei governanti, bastonate a ogni tentativo di insorgenza, sta crescendo un temibile fronte del rifiuto dal quale l'Europa distoglie lo sguardo, contando sulla frammentazione dei dominati nei diversi paesi del continente e sulla solida unità delle sue oligarchie. È un movimento in larga parte spontaneo, sospinto dall'esperienza individuale e collettiva e dalle nuove forme politiche che questa va assumendo più che dall'ideologia. Su questa prospettiva si abbattono i manganelli.
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