Era solo questione di tempo. Perché il nuovo terremoto giudiziario che ieri ha colpito l'Ilva e la città di Taranto, era stato ampiamente anticipato dalla magistratura tarantina nello scorso mese di agosto. Con il gruppo Riva che nella tarda serata di ieri ha annunciato la chiusura del sito di Taranto e di tutti gli stabilimenti da esso riforniti: Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. L'azienda ha anche disposto la sospensione di tutte le attività lavorative negli impianti che non sono sottoposti a sequestro giudiziario, a partire dal turno serale di ieri, con i sindacati che invece hanno invitato gli operai a recarsi sul posto di lavoro, anche per quanto concerne il turno di questa mattina.
La decisione colpirebbe oltre 5000 operai, mentre oggi pomeriggio è previsto un nuovo incontro tra direzione e sindacati per fare il punto su una situazione che rischia di precipitare definitivamente da un momento all'altro. La dura presa di posizione dell'azienda è scaturita dopo l'operazione scattata ieri denominata «Envinronment sold out», che ha visto impegnati i militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Taranto che hanno eseguito a Taranto, Milano, Roma, Pisa, Bari e Varese, sette ordinanze di arresto firmate dai gip Vilma Gilli e Patrizia Todisco.
Gli arrestati sono il patron Emilio Riva, agli arresti domiciliari dal 26 luglio scorso. La detenzione in carcere è stata disposta per il vicepresidente di Riva Group Fabio Riva, l'ex direttore dell'Ilva di Taranto Luigi Capogrosso e l'ex dirigente Ilva Girolamo Archinà. Domiciliari per l'ex rettore del Politecnico di Taranto, Lorenzo Liberti.
Per la parte Ilva, respinta la richiesta formulata dalla Procura di ulteriore arresto per l'ex presidente di Ilva Nicola Riva, già ai domiciliari. Mentre al presidente Bruno Ferrante, e al nuovo direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo, è stato notificata una informazione di garanzia. Dal gip Vilma Gilli ai domiciliari è stato posto l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto Michele Conserva, dimessosi circa due mesi fa dall'incarico. Ai domiciliari anche l'ing. Carmelo Delli Santi, rappresentante della Promed Engineering. Conserva e Delli Santi sono entrambi accusati di concussione.
Nei confronti della società è stato eseguito anche il sequestro preventivo dei prodotti finiti e/o semilavorati destinati alla vendita e al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo. La procura ha posto sotto sequestro tutta la produzione degli ultimi quattro mesi, stoccata nell'ex yard Belleli e nei parchi della zona portuale. Migliaia di lastre di acciaio e coils, grossi cilindri di materiale finito pronti per essere spediti alle industrie: la merce sequestrata non potrà però essere commercializzata perché si tratta di prodotti realizzati in violazione della legge.
Secondo la Procura infatti, costituiscono profitto di reati perché realizzati durante i quattro mesi in cui l'area a caldo dello stabilimento era sotto sequestro senza alcuna facoltà d'uso. Il provvedimento firmato dal gip Todisco sulla base del secondo comma della legge 321 (responsabilità amministrativa delle società) collegato al 240 del codice penale, riguardante la confisca di beni, riguarda anche le eventuali produzioni del futuro e pone uno stop definitivo alla produzione che dal 26 luglio è ugualmente andata avanti ignorando l'ordine della magistratura. In una nota l'azienda sottolinea che quest'ultimo provvedimento «si pone in radicale e insanabile contrasto rispetto al provvedimento autorizzativo del ministero dell'Ambiente: lo stabilimento è autorizzato all'esercizio dell'attività produttiva dal decreto del ministero del 26 ottobre 2012 di revisione dell'Aia».
Non è un caso se il ministro Clini ieri ha dichiarato: «Mi auguro che questa iniziativa non sia conflittuale con l'Aia, l'unico strumento per risanare l'attività dello stabilimento. Non sono disponibile a subire una situazione che avrebbe effetti terribili: sono preoccupato dai futuri effetti ambientali gravissimi e sociali devastanti». Il che lascia presagire un possibile futuro intervento del governo.
L'attività di polizia giudiziaria avvenuta ieri, è la conclusione di un'indagine protrattasi dal gennaio del 2010 a oggi, nel corso della quale è stata ipotizzata la costituzione di un'associazione a delinquere finalizzata alla perpetrazione dei reati di disastro ambientale aggravato, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque e sostanze alimentari, concussione e corruzione in atti giudiziari.
Nelle carte spunta anche il nome del governatore Nichi Vendola e delle pressioni per eliminare il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, autore della relazione sulle emissioni inquinanti dello stabilimento. L'accusa parla di «una regia di Vendola» nell'operazione per «frantumare» Assennato, colpevole di diffondere dati negativi sulle emissioni dell'Ilva, oltre che una certa «disponibilità» nei confronti dell'azienda.
Per 30 anni quando ILVA era ITALSIDER nessuno si è degnato di considerare una priorità la salute degli abitanti di Taranto e zone limitrofe. Oggi non si riesce a trovare un giusto compromesso fra tutela della salute pubblica e garanzia di un posto di lavoro che per molte famiglie significa reddito, quindi pane quotidiano. E adesso che anche l'indotto risentirà della chiusura della più grande Acciaieria d'Europa a rimetterci saranno come sempre le classi meno abbienti, gli operai. E come al solito, in maniera "pilatesca", la politica non fornisce risposte tanto meno soluzioni. Un pasticcio chiamato Italia.
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