Semplificazione del processo civile, per arrivare in un anno al giudizio di primo grado e al dimezzamento dell’arretrato, riforma del Csm, responsabilità civile dei magistrati «modello europeo» e una normativa del falso in bilancio «degna di questo nome»: «per due mesi vogliamo discutere della giustizia in modo non ideologico, sarà una discussione la più filosofica, concettuale e astratta prima di approvare la riforma per coinvolgere l’Italia su questo tema». È una riforma in dodici punti, quella che dovrà vedere la luce a settembre, secondo il timing fissato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Al termine del Cdm, durato circa un’ora e mezza e preceduto in mattinata da un incontro tra il premier e il ministro Andrea Orlando, è Renzi ad illustrare i punti fermi della «rivoluzione» e a chiarire che il governo vuole inaugurare una fase nuova anche nel metodo: i testi sono pronti ma aperti alla discussione. Una novità per un tema tanto conteso come la giustizia, tanto che il premier esordisce con una sottolineatura: «Sono 20 anni che sulla giustizia si litiga senza discutere. Noi vogliamo cambiare metodo e discutere nel merito e possibilmente senza litigare».

Il focus è innanzitutto sul processo civile, «al termine dei mille giorni delle riforme noi puntiamo al processo civile in un anno per il primo grado», ha subito detto Renzi, che punta al dimezzamento dell’arretrato, arrivato a 5,2 milioni di processi pendenti. Attraverso la semplificazione e la «degiurisdizionalizzazione», parola che significa che le controversie si possono risolvere anche non davanti al giudice, ma attraverso la negoziazione assistita e il ricorso a camere arbitrali. La strada maestra, per il ministro Orlando è l’informatizzazione, unita a «due canali prioritari per famiglie e imprese». A questo proposito Orlando ha anche annunciato che «per separazioni e divorzi, se consensuali, non servirà più andare davanti al giudice».

Il governo riformerà anche il Csm, ovviamente dopo le imminenti elezioni che porteranno al rinnovo delle cariche. «Chi giudica non nomina, chi nomina non giudica», è la formula scelta dal premier per spiegare lo sdoppiamento delle funzioni dell’organo di autogoverno della magistratura, e il principio su cui ci si baserà «è quello che si fa carriera per merito e non per appartenenza di corrente». Sul tema caldo della responsabilità dei magistrati, il governo punta ad un «modello europeo»: quello attuale, ha osservato Orlando, «non ha funzionato, dobbiamo togliere quei tappi che hanno portato a questo». Il ministro ha poi ribadito di essere contrario alla responsabilità diretta dell’emendamento Pini - quello sulla responsabilità diretta dei magistrati, che «spinge al conformismo».

Sul fronte penale il governo metterà mano anche alla prescrizione e a reati economici, falso in bilancio e autoriciclaggio. Mentre «le intercettazioni sono l’unico argomento su cui non abbiamo pronta la norma», ha detto Renzi, smentendo i testi circolati: «Nessuno vuole bloccare le intercettazioni dei magistrati» ma valutare anche «con i direttori dei quotidiani» l’utilizzo.

I 12 PUNTI

Ecco in sintesi i 12 punti, alcuni sintetizzati per temi, della riforma che ora sarà aperta alla discussione per 2 mesi tra addetti ai lavori e cittadini.

- GIUSTIZIA CIVILE: la riduzione dei tempi punta a portare ad un anno il primo grado del procedimento civile. La riforma vuole poi portare a dimezzare l’arretrato con una corsia preferenziale per imprese e famiglia

- CSM: «chi giudica non nomina, chi nomina non giudica» ha detto Renzi spiegando che la carriera sarà legata al merito

- RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI sul modello europeo.

- RIFORMA DEL DISCIPLINARE DELLE MAGISTRATURE SPECIALI

- NORME CONTRO LA CRIMINALITÀ ECONOMICA (falso bilancio, autoriciclaggio)

- ACCELERAZIONE DEL PROCESSO PENALE E RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE.

- INTERCETTAZIONI (diritto all’informazione e tutela privacy)

- INFORMATIZZAZIONE integrale del sistema giudiziario

- RIQUALIFICAZIONE del personale amministrativo.


Il vicedirettore del quotidiano “La Repubblica”, Massimo Giannini, ha rimarcato in un editoriale sul quotidiano di lunedì 1 luglio l’ennesimo ritardo della riforma della giustizia nel cronoprogramma fissato da Matteo Renzi all’inizio del suo mandato a Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio aveva indicato queste scadenze appena aveva ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo: legge elettorale e riforma del Senato entro la fine di febbraio, mercato del lavoro a marzo, fisco a maggio, Welfare e giustizia a giugno. 

Un cronoprogramma da una riforma al mese che non è stato rispettato dal presidente del Consiglio, se non in parte. Una valutazione confermata dall’annuncio della riforma della giustizia presentata ieri da Matteo Renzi insieme al ministro competente, Andrea Orlando. Giannini ne sottolinea le linee guida condivisibili, ma al contempo rimarca come la riforma organica non sia ancora presente. ” Il fatidico 30 è arrivato. Com’era prevedibile, la riforma non c’è. Ci sono, appunto, le “linee guida”. Le “dodici palle” buttate in campo dal ministro Orlando, come le ha definite lo stesso Renzi per dare più credibilità al progetto. Dove rotoleranno queste “palle” in questi due mesi di “discussione” nessuno lo può sapere. Ma questo, più che un grande esercizio di “democrazia partecipata”, ha l’aria di essere un astuto escamotage per comprare tempo e per vendere una merce che non si possiede”. Il ritardo sulla riforma della giustizia non è l’unico ambito dove il governo non sta rispettando il “cronoprogramma”, che è stato oltremodo ambizioso.

La legge elettorale è stata approvata solo alla Camera dei Deputati, e verrà modificata in modo piuttosto rilevante, mentre sulle riforme costituzionali l’intesa è sempre traballante, tanto da essere sottoposta a ritardi continui. Su “La Repubblica” di oggi un articolo firmato da Francesco Bei indica come l’approvazione dell’Italicum potrebbe slittare in autunno, visto il pesante ritardo accumulato nell’esame della riforma del Senato. La discussione sul nuovo sistema elettorale è entrata anche nel dibattito relativo alle modifiche costituzionali. Diversi senatori, anche del Partito Democratico e non ostili alla riforma come i firmatari del Ddl Chiti, hanno indicato il problema della platea elettiva del presidente della Repubblica, troppo sbilanciata a favore del partito o coalizione che vincerebbe il premio di maggioranza alla Camera dei Deputati.