Da quanto si apprende dalla cronache politice, l’accordo tra Renzi e Mer­kel a Bru­xel­les, parla di più flessibilità nel rigore. In realtà riguarda i soli cofi­naziamenti nazio­nali ai fondi Ue esclusi dal con­teg­gio del defi­cit e poco altro. Nulla del fiscal com­pact, né dell’austerità, sem­bra essere stato toc­cato. L'obiettivo di Renzi nell'incontro con la Merkerl sarebbe dovuto essere quello di riuscire a tra­sfor­mare il bastone del rigore nella carota dell’austerità fles­si­bile.

Ma, in realtà, Renzi sta solo cer­cando di rin­viare le sca­denze e non si azzarda a toc­care le regole. Durante la cam­pa­gna delle pri­ma­rie aveva più volte evo­cato la pos­si­bi­lità di cam­biare i trat­tati. Ora si limita a chie­dere un’austerità un po’ più “fles­si­bile”. In sostanza, la trat­ta­tiva si concentra su un rin­vio di un anno o due degli obiet­tivi di pareg­gio del bilan­cio. Che la richie­sta venga accolta è da veri­fi­care, visto che Com­mis­sione Ue ed Eco­fin risul­tano tuttora ostili. Ma anche ammesso che Renzi rie­sca a spun­tarla, otter­rebbe solo un mar­gine in più per il defi­cit di 0,2 punti per­cen­tuali. Una con­qui­sta risi­bile rispetto alla gra­vità della situazione.

Da questo punto di visto il premier torna dal vertice con una illusione piuttosto che una speranza cosa comune negli ultimi anni della difficile situazione politica italiana.

Nel corso di que­sti anni abbiamo regi­strato una pro­gres­siva diva­ri­ca­zione tra le nar­ra­zioni poli­ti­che e la realtà dei fatti. Lo dimo­strano gli errori siste­ma­tici com­messi dalla stessa Com­mis­sione Ue sulle pre­vi­sioni dell’andamento del Pil nell’Eurozona: nel caso dell’Italia sono stati anche supe­riori ai tre punti per­cen­tuali. La mia sen­sa­zione è che Renzi stia addi­rit­tura accen­tuando que­sto iato, anzi­ché dare un con­tri­buto per ren­dere le parole della poli­tica un po’ piu in linea con i processi reali.

Alla luce di quanto detto la cre­scita è una spe­ranza davvero infon­data per il 2014.

Per dare un’idea di quanto sia impro­ba­bile, basta notare che gli obiet­tivi di bilan­cio dell’esecutivo sono stati fis­sati sulla base di una già modesta cre­scita dello 0,8% nel 2014. Ebbene, que­sta pre­vi­sione è già stata smen­tita dagli ultimi dati. Nel momento in cui ci ren­de­remo conto che l’andamento effet­tivo del Pil è peg­giore del pre­vi­sto, anche quel po’ di mar­gine sul defi­cit chie­sto da Renzi verrà bruciato.

A Bru­xel­les sem­bra essere pas­sata l’idea che l’ammorbidimento del rigore fiscale avverrà man mano che la Com­mis­sione Ue riscon­trerà il grado di avan­za­mento delle «riforme».

Ma in realtà non è nem­meno detto che que­sta idea sia pas­sata. Al momento c’è solo una gene­rica dichia­ra­zione di aper­tura da parte della Mer­kel. Ma nero su bianco abbiamo due docu­menti della Com­mis­sione Ue e dell’Ecofin che si muo­vono in dire­zione oppo­sta rispetto a quanto auspi­cato da Renzi. Per quanto il pre­mier chieda bri­ciole, la trat­ta­tiva per otte­nerle si annuncia comun­que dif­fi­cile. In cam­bio, oltre­tutto, il governo farà riforme che rispon­dono a due tipo­lo­gie. La prima è rela­tiva all’assetto isti­tu­zio­nale: accre­sci­mento ulte­riore del potere dell’esecutivo in nome della decan­tata gover­na­bi­lità. È un pro­cesso che implica un’erosione ulte­riore dei mar­gini di eser­ci­zio della democrazia.

La seconda invece è una vec­chia cono­scenza: fles­si­bi­lità del mer­cato del lavoro. Dopo il fal­li­mento della dot­trina della “auste­rità espan­siva”, cioè della idea per cui l’austerità avrebbe garan­tito la ripresa eco­no­mica, ora si punta su altre dosi di pre­ca­riz­za­zione dei con­tratti di lavoro.

Nel “monito degli economisti” pub­bli­cato sul Finan­cial Times nel 2013, pro­mosso con Ric­cardo Real­fonzo e sottoscritto da Rodrik, Galbraith, Gallegati ed altri, i maggiori esponenti dell'economia mondiale annun­cia­vano che l’Europa sarebbe pas­sata dall’austerità espan­siva alla pre­ca­rietà espan­siva.

Ed in eggetti la pre­vi­sione è stata con­fer­mata. Ci dicono che la nuova onda di pre­ca­riz­za­zione del lavoro por­terà cre­scita dell’occupazione. Ma per capire dav­vero dove por­terà la riforma Poletti basta guar­dare i dati dell’Ocse e dell’Fmi: non vi è nes­suna con­ferma della tesi per cui più pre­ca­rietà deter­mina più occu­pa­zione. Se è vero che i con­tratti fles­si­bili indu­cono le imprese ad assu­mere un po’ di più nelle fasi di espan­sione eco­no­mica, è altret­tanto vero che que­sti con­tratti per­met­tono alle imprese di distrug­gere que­gli stessi posti di lavoro nella reces­sione. L’effetto netto di que­ste poli­ti­che è zero. Eppure il mini­stro Padoan, che viene dall’Ocse e cono­sce que­sti risul­tati, insi­ste con la fan­ta­sia secondo cui la pre­ca­riz­za­zione accre­sce l’occupazione. Siamo di nuovo in pre­senza di uno scarto tra nar­ra­zione e realtà.

Con la cre­scita a zero è facile prevedere che cosa acca­drà nei pros­simi mille giorni del governo. Ossia quello che si è già veri­fi­cato negli ultimi anni. Ancora una volta, rile­ve­remo una distanza tra obiet­tivi e risul­tati, sia dal punto di vista del defi­cit pub­blico che da quello della cre­scita eco­no­mica e dell’occupazione. L’auspicio di Renzi, secondo il quale si può agire nell’attuale qua­dro isti­tu­zio­nale euro­peo per uscire dalla crisi, andrà a sbat­tere con­tro il muro dei fatti.

Sem­bra ormai escluso un pro­cesso di riscrit­tura dei trat­tati euro­pei, come anche una revi­sione del ruolo della Bce. E' facile prevedere anche quale sarà il futuro eco­no­mico e sociale dell’Europa meri­dio­nale nei pros­simi cin­que anni.

Infatti dall’inizio della crisi i paesi del Sud Europa hanno perso oltre 6 milioni di posti di lavoro. In Ger­ma­nia c’è stato invece un aumento di 1,5 milioni di unità. Que­ste diva­ri­ca­zioni deli­neano un pro­cesso di «mez­zo­gior­ni­fi­ca­zione» euro­pea, che ripro­duce su scala con­ti­nen­tale il tre­mendo dua­li­smo eco­no­mico che ha con­di­zio­nato i rap­porti tra Nord e Sud Ita­lia.

In que­sto sce­na­rio pre­vedo nuovi suc­cessi per i movi­menti rea­zio­nari e xeno­fobi. Temo che i risul­tati delle ele­zioni euro­pee siano solo l’inizio di un lungo ciclo poli­tico, in cui ci tro­ve­remo nella tena­glia di due tipo­lo­gie di destre: una euro­pei­sta e tec­no­cra­tica nella quale si inse­ri­sce anche l’attuale com­pa­gine che sostiene il governo ita­liano; l’altra ultra­na­zio­na­li­sta e poten­zial­mente neo-fascista, come il Fronte nazio­nale in Fran­cia. Mentre il lavoro e le sue resi­due rap­pre­sen­tanze sem­brano para­liz­zate e silenti, in modo ana­logo a quanto già acca­duto nei momenti più cupi della sto­ria europea.

Eppure ci sono ancora movimenti, associazioni e soggetti politici che cercano di modificare radicalmente la struttura regolamentare della UE ed il suo negativo impatto sociale, politico ed economico registrato da molti anni a questa parte. 

Focalizzandosi sulla austerity in questi anni la politica economica europea,  ha portato ed inevitabilmente continuerà a portare un impoverimento generalizzato e diffuso con perdita di potere di acquisto e conseguenti rinunce di larghe fasce della popolazione ad importanti diritti lavorativi acquisiti e riduzione del benessere diffuso.

Così Il 3 luglio è partita la rac­colta firme sul refe­ren­dum con­tro il Fiscal Com­pact che sembra essere il primo tassello da scradinare per creare una europa unita che abbia uguali prospettive di crescita per tutti gli stati membri.

Ma c'è da dire subito che sul piano tecnico-giuridico l’iniziativa si muove lungo un sen­tiero imper­vio. Sul piano poli­tico, se passa, potrebbe aiu­tare ad acce­le­rare le con­trad­di­zioni di un qua­dro euro­peo che in pro­spet­tiva resta insostenibile. Le contraddizioni, tuttavia, potranno risultare feconde solo se le singole iniziative di mobilitazione saranno inserite in progetti politici più generali. Personalmente credo che i tempi siano maturi per avviare una critica di quello che talvolta ho definito “liberoscambismo di sinistra” e per promuovere un rilancio, in chiave moderna, del tema del piano.