Sull'onda degli ultimi scandali, si torna a parlare di riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Tutte le proposte finora presentate in Parlamento cercano di ridurre i flussi di finanziamento e di commisurarli a quello che realmente si è speso. Ma forse sarebbe meglio recidere il legame tra partito e finanza, affidando a un soggetto terzo la gestione dei fondi. Comporterebbe una riduzione dell'autonomia dei partiti, ma renderebbe più indipendente e oggettiva la funzione di gestione finanziaria, introducendo un filtro più chiaro con la funzione di indirizzo politico.
La sensazione è quella classica di arrivare quando i buoi sono già scappati dalla stalla. In questo caso i buoi sono i tanti rivoli privati intrapresi dai soldi destinati alla Margherita e alla Lega Nord. Se però, ville in campagna, lussuosi ristoranti, macchine per i figli, mutui per ristrutturarsi la casa stanno risvegliando la coscienza collettiva per affrontare finalmente l’annoso e colpevolmente trascurato problema del finanziamento pubblico dei partiti, ben vengano interventi rapidi ed efficaci, anche perché danno la sicurezza che quei (sempre meno) buoi ancora nella stalla ci rimangano.
Devono essere, però, interventi in grado di prendere realmente il toro per le corna, evitando sia i pannicelli caldi conditi con un po’ di inutile retorica, sia draconiane misure che finiscono per uccidere il toro, e cioè i partiti che, ci piaccia o non ci piaccia, rappresentano comunque un veicolo fondamentale di rappresentanza nella nostra democrazia.
Ed è inevitabile che quando i giornali sono pieni delle cronache delle varie malefatte e si parla di fare con urgenza un decreto legge, l’imperante populismo di italica tradizione corre il pericolo del buco nell’acqua, pur di placare le folle inferocite.
TANTE IDEE
Bisogna innanzitutto dare atto ai nostri politici che le idee non mancano. Suggerisco una rapida occhiata a un dossier predisposto dalla Camera nel maggio 2011 dove si tenta di dare una quadro completo ed esaustivo delle tante proposte di legge presentate in Parlamento. (1)
In poche parole, si cerca di mettere ordine nei flussi di finanziamento, riducendoli (anche se va dato atto che negli ultimi anni una parziale riduzione si è già realizzata) e commisurando maggiormente il rimborso pubblico a quello che realmente si è speso. Si cerca anche di disciplinare i finanziamenti privati, attraverso una maggiore trasparenza, ma è questa una componente di gran lunga inferiore a quella pubblica e che, viste le conseguenze delle ultime vicende sul gradimento riscosso dai partiti, non è certo destinata a crescere. (2)
È interessante notare che molte proposte legano la riforma del finanziamento alla introduzione di standard di democraticità della vita interna delle organizzazioni politiche, in un tentativo di applicare l’articolo 49 della Costituzione rimasto finora lettera morta. (3)
La consapevolezza è quella che comunque il finanziamento pubblico è necessario per garantire a tutti la cittadinanza politica, conclusione condivisibile e coerente con le scelte che secondo diverse modalità fanno gli altri paesi europei (e infatti alcune proposte si ispirano proprio a queste scelte).
Ma se “a monte” c’è una innegabile esigenza di riordino e di sobrietà, il vero nodo da scogliere è “a valle”, e cioè come le risorse vengono gestite. I fatti di questi giorni testimoniano che è nelle opache (per usare un eufemismo) modalità di governo dei fondi che si annidano i veri virus della patologia.
Anche qui le proposte di riforma abbondano e vanno tutte nella direzione di sottoporre le finanze dei partiti a sistemi di rendicontazione ispirati alle migliori best practice di governance, ad esempio sottoponendo i bilanci a revisione contabile, e istituendo strutture di controllo interno analoghe a quelle societarie. Alcuni partiti (il Pd) stanno già sperimentando questi strumenti, che però non sono ritenuti sufficienti se non coniugati con efficacicontrolli esterni. E qui si invoca la creazione di una nuova Authority oppure l’ampliamento dei poteri della Corte dei conti che già adesso controlla i consuntivi delle spese elettorali.
Nessun dubbio che un buon sistema di controlli interni può contribuire quantomeno a prevenire le più sfacciate irregolarità, ma, e proprio l’esperienza societaria lo dimostra, non possiamo aspettarci miracoli. Così come, visti i criteri spesso utilizzati nel passato, sarebbe ipocrita nascondersi il pericolo della composizione con “il bilancino” della nuova Authority e di una sua debole autonomia e reale efficacia. Un pericolo opposto per il ruolo della Corte dei conti, che in astratto, ma è sempre meglio pensarci per tempo prima che la frittata sia fatta, potrebbe comportare una eccessiva invadenza della magistratura contabile sulla pubblica amministrazione, nei confronti della vita di associazioni private e della loro capacità di espressione politica.
LA FINANZA SEPARATA DALLA POLITICA
Un strada potrebbe essere quella di recidere il legame tra partito e finanza esternalizzando la gestione dei fondi. Un meccanismo simile a quello previsto per i fondi di investimento con un soggetto terzo (un intermediario specializzato) che assume la veste di depositario delle risorse e che ne garantisce un governo in grado di tracciarne i flussi. È evidente che questo comporta una riduzione dell’autonomia dei partiti, ma il vantaggio sarebbe una maggior garanzia preventiva con il rendere più indipendente e oggettiva la funzione di gestione finanziaria (ci si è mai chiesti perché quando viene nominato un nuovo segretario di partito, questo quasi sempre cambia subito il tesoriere?) e introducendo un filtro più chiaro e più solido con la funzione di indirizzo politico.
Un altro filtro potrebbe essere rappresentato da un rafforzamento, insieme a una più organica regolamentazione, del finanziamento indiretto e cioè di tutto l’insieme dei servizi ai quali far accedere i partiti per agevolare la loro attività. (4).
Si tratta sicuramente di sperimentare strade innovative che non rappresentano certo la panacea contro tutti i mali, ma offrono un segnale forte. Secondo il vecchio detto, è difficile guadagnare la fiducia ma diventa quasi impossibile recuperare quella persa e oggi i partiti hanno bisogno, per il bene della nostra democrazia, di segnali forti e di strade innovative.
Devono essere, però, interventi in grado di prendere realmente il toro per le corna, evitando sia i pannicelli caldi conditi con un po’ di inutile retorica, sia draconiane misure che finiscono per uccidere il toro, e cioè i partiti che, ci piaccia o non ci piaccia, rappresentano comunque un veicolo fondamentale di rappresentanza nella nostra democrazia.
Ed è inevitabile che quando i giornali sono pieni delle cronache delle varie malefatte e si parla di fare con urgenza un decreto legge, l’imperante populismo di italica tradizione corre il pericolo del buco nell’acqua, pur di placare le folle inferocite.
TANTE IDEE
Bisogna innanzitutto dare atto ai nostri politici che le idee non mancano. Suggerisco una rapida occhiata a un dossier predisposto dalla Camera nel maggio 2011 dove si tenta di dare una quadro completo ed esaustivo delle tante proposte di legge presentate in Parlamento. (1)
In poche parole, si cerca di mettere ordine nei flussi di finanziamento, riducendoli (anche se va dato atto che negli ultimi anni una parziale riduzione si è già realizzata) e commisurando maggiormente il rimborso pubblico a quello che realmente si è speso. Si cerca anche di disciplinare i finanziamenti privati, attraverso una maggiore trasparenza, ma è questa una componente di gran lunga inferiore a quella pubblica e che, viste le conseguenze delle ultime vicende sul gradimento riscosso dai partiti, non è certo destinata a crescere. (2)
È interessante notare che molte proposte legano la riforma del finanziamento alla introduzione di standard di democraticità della vita interna delle organizzazioni politiche, in un tentativo di applicare l’articolo 49 della Costituzione rimasto finora lettera morta. (3)
La consapevolezza è quella che comunque il finanziamento pubblico è necessario per garantire a tutti la cittadinanza politica, conclusione condivisibile e coerente con le scelte che secondo diverse modalità fanno gli altri paesi europei (e infatti alcune proposte si ispirano proprio a queste scelte).
Ma se “a monte” c’è una innegabile esigenza di riordino e di sobrietà, il vero nodo da scogliere è “a valle”, e cioè come le risorse vengono gestite. I fatti di questi giorni testimoniano che è nelle opache (per usare un eufemismo) modalità di governo dei fondi che si annidano i veri virus della patologia.
Anche qui le proposte di riforma abbondano e vanno tutte nella direzione di sottoporre le finanze dei partiti a sistemi di rendicontazione ispirati alle migliori best practice di governance, ad esempio sottoponendo i bilanci a revisione contabile, e istituendo strutture di controllo interno analoghe a quelle societarie. Alcuni partiti (il Pd) stanno già sperimentando questi strumenti, che però non sono ritenuti sufficienti se non coniugati con efficacicontrolli esterni. E qui si invoca la creazione di una nuova Authority oppure l’ampliamento dei poteri della Corte dei conti che già adesso controlla i consuntivi delle spese elettorali.
Nessun dubbio che un buon sistema di controlli interni può contribuire quantomeno a prevenire le più sfacciate irregolarità, ma, e proprio l’esperienza societaria lo dimostra, non possiamo aspettarci miracoli. Così come, visti i criteri spesso utilizzati nel passato, sarebbe ipocrita nascondersi il pericolo della composizione con “il bilancino” della nuova Authority e di una sua debole autonomia e reale efficacia. Un pericolo opposto per il ruolo della Corte dei conti, che in astratto, ma è sempre meglio pensarci per tempo prima che la frittata sia fatta, potrebbe comportare una eccessiva invadenza della magistratura contabile sulla pubblica amministrazione, nei confronti della vita di associazioni private e della loro capacità di espressione politica.
LA FINANZA SEPARATA DALLA POLITICA
Un strada potrebbe essere quella di recidere il legame tra partito e finanza esternalizzando la gestione dei fondi. Un meccanismo simile a quello previsto per i fondi di investimento con un soggetto terzo (un intermediario specializzato) che assume la veste di depositario delle risorse e che ne garantisce un governo in grado di tracciarne i flussi. È evidente che questo comporta una riduzione dell’autonomia dei partiti, ma il vantaggio sarebbe una maggior garanzia preventiva con il rendere più indipendente e oggettiva la funzione di gestione finanziaria (ci si è mai chiesti perché quando viene nominato un nuovo segretario di partito, questo quasi sempre cambia subito il tesoriere?) e introducendo un filtro più chiaro e più solido con la funzione di indirizzo politico.
Un altro filtro potrebbe essere rappresentato da un rafforzamento, insieme a una più organica regolamentazione, del finanziamento indiretto e cioè di tutto l’insieme dei servizi ai quali far accedere i partiti per agevolare la loro attività. (4).
Si tratta sicuramente di sperimentare strade innovative che non rappresentano certo la panacea contro tutti i mali, ma offrono un segnale forte. Secondo il vecchio detto, è difficile guadagnare la fiducia ma diventa quasi impossibile recuperare quella persa e oggi i partiti hanno bisogno, per il bene della nostra democrazia, di segnali forti e di strade innovative.
(1) Camera dei Deputati, Attuazione dell’art. 49 Cost. in materia di partiti politici. Scheda di lettura e lavori dell’Assemblea Costituente, n. 469, 24 maggio 2011.
(2) Il che non toglie che comunque una organica regolamentazione in materia non sia necessaria, ma forse più sul versante di come gli interessi privati condizionano l’attività politica attraverso le lobby. F. Vella, Capitalismo e Finanza, Il Mulino, 2011, p. 65 ss.
(3) E. Cheli, “Una legge quadro per i partiti”, in Il Mulino, 2011, p. 932 ss.
(4) R. Borrello, La disciplina del finanziamento della vita politica in Italia, in Giornale di diritto amministrativo, n. 12 , 2008, p. 1287
(2) Il che non toglie che comunque una organica regolamentazione in materia non sia necessaria, ma forse più sul versante di come gli interessi privati condizionano l’attività politica attraverso le lobby. F. Vella, Capitalismo e Finanza, Il Mulino, 2011, p. 65 ss.
(3) E. Cheli, “Una legge quadro per i partiti”, in Il Mulino, 2011, p. 932 ss.
(4) R. Borrello, La disciplina del finanziamento della vita politica in Italia, in Giornale di diritto amministrativo, n. 12 , 2008, p. 1287
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