La Grecia è ormai avviata verso nuove elezioni destinate ad essere una sorta di referendum sulla sua permanenza di Atene nell'area euro. I mercati, spaventati da uno scenario con troppe incognite, vanno a picco minacciando di vanificare gli sforzi di chi, come l'Italia e la Spagna, stanno stringendo la cinghia per risanare i conti. E i leader europei, con il premier mario Monti in prima linea, incalzati da una recessione evitata per ora solo di stretta misura da Eurolandia grazie alla locomotiva tedesca, cercano di trovare una ricetta per rilanciare l'economia e arrestare l'emorragia di posti di lavoro.
Niente governo. «Arroganza» e «intransigenza»: questi i due ingredienti principali alla base dell'atteso fallimento della classe politica greca che neanche davanti alla prospettiva della catastrofe finanziaria del Paese è riuscita a mettere da parte i propri interessi e a concordare la formazione di un governo tecnico di transizione. Fallimento che porta diritti alla convocazione di nuove elezioni tra il 10 e il 17 giugno. E che oggi ha causato subito il crollo della Borsa di Atene, precipitata a un -4% dopo l'annuncio della fallita riunione, e perdite secche di oltre l'8% per le banche.
Mentre il direttore generale del Fmi Christine Lagarde ha detto ad alta voce quello che tutti ormai pensano: un'uscita, sebbene «ordinata», della Grecia dall'euro «fa parte delle opzioni che siamo obbligati a considerare tecnicamente». Comunque, secondo osservatori locali, anche le prossime consultazioni produrranno una frammentazione parlamentare analoga a quella registratasi dopo la chiusura dei seggi lo scorso 6 maggio. E quindi, inevitabilmente, si creerà di nuovo una situazione di caos e ingovernabilità.
A nulla è servita oggi la convocazione in extremis, da parte del capo dello Stato, Karolos Papoulias, di una riunione con i leader dei partiti tesa a raggiungere un accordo su un esecutivo composto da «personalità non politiche». Dopo quasi un'ora e mezzo, Fotis Kouvelis, il leader di Sinistra Democratica che è stato il primo ad uscire, ha detto ai giornalisti in attesa che «alcuni partiti hanno voluto che la Grecia tornasse a votare» ed ha ricordato che la sua proposta di un governo a larga maggioranza non è stata accettata. «Purtroppo - ha detto da parte sua il leader socialista Evangelos Venizelos - la Grecia sta andando verso nuove elezioni
in circostanze estremamente sfavorevoli perché alcuni capi di partito hanno messo a sangue freddo i propri temporanei interessi politici e quelli dei loro schieramenti al di sopra degli interessi della nazione».
In particolare Venizelos ha addebitato ad Alexis Tsipras,leader della Coalizione delle Sinistre (Syriza, radicale), e a Kouvelis il mancato accordo per la formazione del governo. Dal canto suo, Antonis Samaras, leader di Nea Democratia (centro-destra), ha puntato il dito contro «individui che forniscono argomenti ai nemici della Grecia per parlare contro il nostro Paese». Le sue parole erano chiaramente rivolte sia a Tsipras sia al leader dei Greci Indipendenti, Panos Kammenos, che - secondo Samaras - avrebbero fatto fallire l'ultimo tentativo di dare al Paese un governo tecnico ed evitare un nuovo ricorso alle urne che rischia di portare la Grecia fuori dall'euro.
«Nuove elezioni sono adesso inevitabili. Ci siamo scontrati con un muro di arroganza ed intransigenza», si è lamentato Samaras, il quale ha rivolto un appello a tutti i greci dicendo «ho ricevuto il vostro messaggio. Venite con noi e restiamo uniti per formare insieme un fronte comune di reazione» di centro destra. Osservatori politici hanno notato che Samaras, nel suo discorso, ha pronunciato per ben tre volte la parola «uniti». Dal canto suo, Kammenos ha addossato la responsabilità del fallimento dei colloqui a Nea Dimocratia e al Pasok (entrambi
a favore di un governo di austerità filoeuropeo e pro-Memorandum) affermando che «altri partiti hanno scelto i nostri creditori piuttosto che una soluzione per il bene del Paese».
Sulla stessa linea Tsipras, il quale ha affermato che Nea Dimocratia e Pasok avevano chiesto l'appoggio del suo partito «lasciando così il Paese senza speranze», ma che ora è arrivato il momento «di fare un passo decisivo per formare un governo di sinistra che avrà il potere affidatogli dal popolo per consegnare i partiti del passato all'armadio della Storia». Per domani alle 13, intanto, è stata fissata una riunione al palazzo presidenziale, che sarà presieduta dal capo dello Stato, per decidere la formazione di un governo ad interim che porti la Grecia alle prossime drammatiche elezioni.
Il default della Grecia e la sua uscita dall’euro, quindi, è oggi un’eventualità concreta, se non addirittura un esito quasi certo. I mercati e la politica europea, dopo essersi rifiutati a lungo di voler prendere in considerazione questa ipotesi, improvvisamente danno sfogo più o meno irrazionalmente a paure a lungo sopite. Eppure stiamo sempre girando intorno al medesimo problema: la scommessa della speculazione internazionale sulla tenuta della moneta unica europea.
Come ho scritto più volte, il problema dell’euro è duplice: da una parte è la moneta comune di un mercato disomogeneo, scisso tra il nord e il sud dell’Europa; dall’altra parte è una valuta priva della regolazione di una banca centrale sovrana che possa permettersi di attuare politiche inflazionistiche o deflazionistiche. Il combinato di questi due fattori e della crisi internazionale ha spinto grossi attori finanziari e speculatori a scommettere sulla dissoluzione della moneta unica, mettendo sotto attacco le economie della zona euro con i bilanci meno stabili. E si tratta di operazioni certo discutibili sul piano morale, i cui effetti negativi vengono scontati sulla pelle delle persone. Ma nella logica del capitalismo dei giochi di borsa, c’è davvero poco da stupirsi. Guadagnare denaro con operazioni sempre più spregiudicate è il lavoro che garantisce a queste persone redditi a molti zeri.
Per questo mi è venuto istintivamente da sorridere quando ieri sera, a Otto e Mezzo, un ambasciatore ospite della Gruber ha concluso che i finanzieri non pensano all’integrazione europea ma al guadagno personale: è ovvio che, se si facessero di questi problemi, sarebbero già stati rimossi da tempo!
Si può e si deve riformare i mercati finanziari: l’ha detto l’altro giorno anche Vegas, il presidente della Consob, e l’ha detto pure Obama. Ma siccome l’operazione è difficile e richiede coordinamento globale, nel frattempo occorre affrontare la situazione guardando in faccia la realtà. Nella congiuntura politica attuale chi comprerebbe titoli di Stato greci o italiani ai bassi interessi di quelli tedeschi? Nessuno rischierebbe così i propri soldi: il gioco non varrebbe la candela. Dobbiamo domandarci piuttosto come mai l’Europa si stia sfaldando, facendo vincere la scommessa agli speculatori che hanno puntato su questa carta e hanno lavorato per concretizzare questa eventualità.
La teoria del complotto regge fino ad un certo punto, perché, se l’Europa sapesse reagire compatta, nessun soggetto o gruppo di soggetti sarebbe tanto forte da poter scommettere contro di essa. Posta in questo modo, la questione contiene già la risposta: e la risposta è che la governance europea ha fallito. Se la Grecia esce dall’euro e la speculazione trarrà nuova linfa per attaccare anche Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, non si potrà che concludere che la ricetta europea basata sul contenimento dei debiti sovrani ha fatto fiasco.
Di questo dovrebbe prendere atto in primis la Germania della Merkel, che è stata il principale sponsor di questa politica fallimentare. Con la vittoria di Hollande in Francia, il fronte critico anti-rigore in Europa si è ampliato: anche Monti è stato piuttosto duro nelle sue ultime dichiarazioni a questo riguardo. Eppure, nonostante la recentissima sconfitta elettorale del partito della cancelliera nel Nord Reno Vestfalia, l’opinione pubblica tedesca continua a sostenere la linea della Merkel in Europa.
Der Spiegel sta pubblicando un’inchiesta in cui si mettono in risalto i trucchi contabili di Prodi e Ciampi, con l’avvallo dell’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl, che permisero all’Italia di rientrare all’ultimo momento utile nei rigidi parametri di Maastricht e quindi nell’Unione Europea: e questo è considerato un errore politico, un precedente alla base dei molti problemi attuali. Questo dimostra che l’opinione pubblica tedesca continua a far finta di non capire che l’Europa unita non è stata costruita su un’ideale contabile, ma su un’ideale di pace e prosperità dopo le divisioni che avevano causato gli orrori delle due guerre mondiali. E’ inevitabile che in Europa ci siano i difetti dei paesi europei: gli Italiani che cercano scorciatoie, i Greci che truccano i bilanci pubblici e i Tedeschi che si irrigidiscono nelle loro posizioni. Ma integrarsi vuol dire fare degli sforzi. Il contribuente tedesco forse pensa che i paesi del sud Europa, quando parlano di “sforzi”, cerchino solo di ottenere soldi e di non fare sacrifici.
Eppure un’analisi disincantata della realtà dovrebbe dimostrare che la ricetta tedesca per far fronte alla crisi finora ha fatto guadagnare solo il ricco nord Europa. I tassi alti pagati da Grecia e Italia rendono all’opposto particolarmente conveniente per la Germania ristrutturare il debito, perché gli investitori vendono bot italiani per comprare bund tedeschi; i salari tedeschi sono doppi rispetto all’Italia; in Germania la disoccupazione è a livelli accettabili, mentre da noi è a livelli record; le esportazioni tedesche sono cresciute avvantaggiandosi di un euro certo più debole di quello che sarebbe il marco; da quest’anno, poi, andremo anche in pensione prima dei tedeschi. Aggiungiamo infine che l’orgoglio nazionale teutonico non è mai stato ferito: nel 2003 l’Ecofin concesse alla Germania, che aveva sforato il deficit di bilancio, un anno di proroga proprio per risparmiare ai tedeschi l’umiliazione di una multa. Una delicatezza che questi non mostrano di avere.
Se Hollande ha vinto rinfacciando a Sarkozy di essere il “cagnolino della Merkel”, se Monti si è spinto fino a dichiarare che ci sono molti modi di colonizzare gli altri stati, se i Greci bruciavano in piazza le bandiere tedesche e oggi scelgono le incertezze e la povertà di un probabile default pur di recuperare autonomia e liberarsi dalla guida tedesca, non bisognerà concludere che la politica tedesca sta solo creando risentimenti? Allora bisogna scegliere: o si accetta di fare inflazione con Eurobond o altro, e si salva l’Europa, oppure ognuno per la sua strada. E non è assolutamente detto che in questa seconda ipotesi la Germania non ci andrà a rimettere. Allo stato attuale le cose non possono funzionare, perché, come ha detto giustamente un analista, la Germania in Europa è come il Real Madrid in serie B.
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