Questa cifra basterà ad evitare il fallimento di Atene?
Dopo il voto di domenica scorsa nel quale c'è stato il crollo dei partiti tradizionali, è cominciato il carosello delle consultazioni. Come abbiamo detto già l'altro giorno, il presidente della Repubblica affida l'incarico di formare il governo al partito arrivato primo, quando questi rinuncia chiama il partito arrivato secondo, poi il terzo e così via. Ognuno ha tre giorni di tempo per arrivare a bersaglio, dopo di che deve passare la mano. Antonis Samaras, vincitore delle elezioni e capo della Nea Demokratia (i conservatori), ha abbandonato il tentativo dopo un solo pomeriggio. Ieri sera ha mollato anche Alexis Tsipras, capo della sinistra radicale (Syryza): un bell'uomo, molto televisivo, che s'era preso tutti e tre i giorni soprattutto per farsi propaganda in tv. Poi, però, ha dovuto ammettere di non essere riuscito a trovare una maggioranza per un governo di sinistra capace di fronteggiare la crisi e oggi rimetterà il mandato al presidente Karolos Papoulias. «Abbiamo visto che la nostra proposta ha raccolto il sostegno sociale, ma un debole supporto parlamentare — ha detto —. Non possiamo far diventare vero il nostro sogno e formare un governo di sinistra». A questo punto, per evitare che si torni a votare il 17 giugno, Atene ripone le speranze nei socialisti, arrivati terzi al voto di domenica. L'incarico dovrebbe quindi passare a Evangelos Venizelos, ex ministro delle Finanze e leader del partito Pasok: anche lui avrà a disposizione tre giorni.
Com'è la situazione finanziaria?
La Grecia deve ricevere altri 30 miliardi entro la fine di giugno. Con questi soldi si pagano le pensioni e gli stipendi degli statali. Nello stesso tempo il Paese è impegnato a restituire entro fine mese 450 milioni e deve tagliare il bilancio di altri undici miliardi e mezzo.
Che succede se alla fine va su un governo che ci comunica, semplicemente, di non avere nessuna intenzione di pagare?
Ieri ci sono state parecchie dichiarazioni. Samaras, il capo dei conservatori, ha detto: «Condannare l'accordo di salvataggio, come è stato proposto da Tsipras, porterà a un immediato crollo interno e a una bancarotta internazionale, con un'inevitabile uscita dall'Europa. Modificare l'accordo di salvataggio è una cosa, ma è una cosa completamente diversa denunciarlo unilateralmente». Ancora più importante il messaggio partito dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble: «Se la Grecia decide di uscire dall'euro, non possiamo costringerla a restare. Saranno loro a decidere se restare o no. Quello che è certo è che la Grecia deve rispettare gli impegni presi con i creditori e realizzare le riforme promesse se intende rimanere nell'Eurozona». Il ministro degli Esteri tedesco, il liberale Guido Westerwelle, si esprime in modo simile: «La situazione è molto preoccupante. E comunque è la Grecia che deve decidere».
Se la Grecia non paga, noi quanto ci rimettiamo?
Una trentina di miliardi, se limitiamo il conto ai soldi prestati. C'è però il rischio delle reazioni a catena e dell'eventualità, concreta, che il default incendi il sistema bancario, a partire dalle scassate banche locali tedesche. Roubini, molto stimato perché ha previsto la crisi in cui ci troviamo, ha detto alla Cnbc che la Grecia potrebbe uscire dall'area euro nel 2013. Seguirebbe subito la Spagna. Il problema, come lei sa, è che gli accordi relativi alla moneta unica non prevedono la possibilità di uscire. Non c'è quindi un metodo. Che succederà ai depositi in euro delle banche greche? Alcuni sostengono che si trasformerebbero in depositi in dracme e se questa fosse la procedura i cittadini d'Europa correrebbero a ritirare i loro depositi in Spagna o in Italia per trasferirli in Paesi sicuri, la Germania o la Finlandia. In Grecia sta accadendo: davanti alle banche ci sono le file di risparmiatori che vogliono ritirare i loro euro e metterli al sicuro. Negli ultimi due anni i depositi nei conti correnti sono calati da 240 a 165 miliardi. Oltre tutto c'è uno della sinistra radicale, Dimitris Stratoulis, che ha proposto di pigliare questi soldi e finanziare la crescita. Una mossa rispetto alla quale il blitz sui nostri conti correnti che fece Amato vent'anni fa diventa uno scherzetto di carnevale.
Accadrà?
Certo la Germania penerebbe assai se l'euro sparisse. Intanto, finito il mercato unico, tutte le economie concorrenti si metterebbero a svalutare le vecchie valute ripristinate per far concorrenza alle esportazioni tedesche, mai così floride come da quando c'è la moneta unica. Alla fine, all'ultimo secondo, la Germania si rassegnerà a un po' di inflazione.
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