Le pressioni di Confindustria da una parte e dell'Udc dall'altra hanno colto nel segno. La loro richiesta di «commissariare la regione Sicilia a rischio crac» ha trovato le orecchie di Mario Monti non solo pronte all'ascolto ma a passare direttamente ai fatti. «Facendosi interprete delle gravi preoccupazioni riguardo alla possibilità che la Sicilia possa andare in default», il presidente del consiglio ha infatti preso carta e penna e ha scritto una lettera al governatore Raffaele Lombardo «per avere conferma dell'intenzione, dichiarata pubblicamente, di dimettersi il 31 luglio» per decidere di conseguenza. «Infatti - continua la missiva del premier - le soluzioni che potrebbero essere prospettate per un'azione dell'esecutivo non possono non tener conto della situazione di governo a livello regionale ma anzi devono essere commisurate ad essa, in modo da poter utilizzare gli strumenti più efficaci e adeguati".
Tradotto, il governo tecnico di Roma prende davvero in considerazione la richiesta di rinviare le elezioni regionali anticipate d'autunno (nel caso in cui Lombardo rassegnasse le dimissioni) per inviare in Sicilia dei commissari. E' un'ipotesi possibile ma non di facile attuazione. Le intenzioni minacciose di Palazzo Chigi - accolte al volo da un Pdl in disfacimento che tutto vorrebbe in questo momento tranne andare alle elezioni, ha scatenato infatti le barricate del partito di Lombardo e degli alleati di Fli. Silenzio invece da parte del Pd, con un piede dentro e uno fuori dal governo.
«La lettera del presidente del consiglio al presidente della Regione siciliana è irrituale e viola le regole fondamentali dell'autonomia regionale e della democrazia politica», attacca Carmelo Briguglio, vice presidente dei deputati e coordinatore siciliano di Fli: «Francamente - aggiunge - viene percepita come una inelegante quanto palese imbeccata di lobby politiche e industriali che vogliono condizionare il quadro politico in Sicilia e impedire che gli elettori di una grande regione del Paese, le cui condizioni finanziarie sono non dissimili da altre, possano tornare all'esercizio del diritto fondamentale che è quello del voto per rinnovare democraticamente le proprie istituzioni rappresentative». Briguglio ma anche il numero due di Fli, Italo Boccino, definiscono l'uscita di Monti «una gaffe istituzionale di particolare gravità alla quale il presidente farà bene a porre rimedio».
A sollecitare l'azzeramento del governo siciliano era stato l'altro ieri l'ex presidente di Confindustria Ivan Lo Bello, attualmente numero due degli industriali dell'isola, che in un'intervista al Corriere della Sera aveva chiesto a Monti «di mettere mano ai conti della Regione superando l'autonomia». Secondo Lo Bello il bilancio regionale sarebbe appunto «vicino alla bancarotta - con 5 miliardi di buco - determinata da anni di gestione dissennata e clientelare». Una situazione che metterebbe presto a rischio il pagamento degli stipendi dei 20 mila dipendenti.
«In Sicilia non c'è alcun rischio default» assicura l'assessore all'economia Gaetano Armao: «Il bilancio della Regione è stato parificato dalla Corte dei Conti e questa è la risposta migliore». Ma a dare man forte alla fotografia di Lo Bello, sul fronte politico è sopratutto il capogruppo Udc al senato, Giampiero D'Alia, segretario regionale del partito di Casini, secondo cui «l'indebitamento della Sicilia sarebbe addirittura superiore ai «21 miliardi». Controreplica l'assessore alla sanità, Massimo Russo: «Il nostro bilancio è in perfetto equilibrio. C'è in atto una strumentalizzazione politica da parte di chi non vuole le elezioni».
Raffaele Lombardo intanto non conferma né smentisce le dimissioni a fine mese, ma ha chiesto e ottenuto un incontro con Monti per il 24 luglio.
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