Pier Luigi Bersani ha vinto nettamente, con un ampio vantaggio rispetto allo sfidante Renzi. La sua leadership è oramai sorretta da una forte legittimazione popolare. La sua scelta di affrontare il rischio delle primarie, anche piegando le resistenze conservatrici dell’establishment del partito, lo ha reso, confortato adesso anche da numeri robusti e inequivocabili, un candidato premier indipendente e autorevole. Renzi ha preso al ballottaggio meno voti di quanto sperasse. Ma è stato coraggioso, con la sua sfida ha contribuito in modo determinante a ridare smalto al Pd, ha reso visibile una corrente di emozioni, di idee e di opinioni che nell’apparato del partito era frustrata e silente. Ma esisteva.
Ora però Bersani deve dimostrare di saper fare da solo. Ha stravinto il secondo turno. Non può e non deve sperare che Renzi gli dia una mano per riconquistare quel 40 per cento di elettorato di centrosinistra. Ha fatto il pieno dei voti di Vendola, e il rischio è che debba essergli troppo grato, spostando l’asse della coalizione eccessivamente a sinistra. Con ogni probabilità, vista la condizione disastrosa del centrodestra, Bersani potrà puntare agevolmente a Palazzo Chigi. Ma per durare e avere credibilità in Italia e nel mondo non potrà cedere a chi considera l’esperienza del governo Monti, lealmente sostenuto da oltre un anno anche dal Pd, come un cedimento al «liberismo», come ossessivamente viene ripetuto anche all’interno del Pd dalle sue componenti più diffidenti verso le politiche di un riformismo moderno.
Ora a Bersani, vinta con ampio margine la battagliadelle primarie, spetta il governo del Paese, se i numeri reali confermeranno ciò che i sondaggi dicono senza possibilità di equivoco. Non può illudersi che i voti che gli sono stati dati e quelli di Renzi siano facilmente sommabili. Renzi ha portato, come dice, un’idea «alternativa» di centrosinistra. E la sua forza era e resta la capacità di parlare con una fetta dell’elettorato italiano che sta fuori dai recinti tradizionali di quello schieramento. Bersani, per ragioni culturali e biografiche molto complesse, ne è meno capace e per questo, per parlare al mondo dei moderati, sarà costretto a rivolgersi ai «centristi» presidiando il territorio della sinistra.
Mentre si sa cosa sarà del 60 per cento che ha votato Bersani, il futuro dovrà dirci cosa ne sarà del 40 per cento che ha invece scelto Renzi come messaggero di una rottura radicale con la cultura e la tradizione maggioritaria della sinistra. Lo sconfitto dice che non utilizzerà quei voti per farsi una «correntina ». Sarà compito di Bersani tentare di convincerli prima di tutto dando seguito a quelle promesse di rinnovamento espresse in campagna elettorale contro l’avversario «rottamatore». La vittoria di ieri è una tappa. Il traguardo finale è ancora lontano, ma con un Pd decisamente più forte di quanto non fosse tre mesi fa. Anche per merito dello sconfitto Renzi.
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