Letta, la fiducia che non c'è (più)
Se la vittima diventa carnefice
«E adesso uccidetemi!». Giacca e cravatta, camicia bianca e un filo di barba, Luigi Preiti è sbucato davanti a Palazzo Chigi all’improvviso dopo una notte passata a ripetersi che bisognava fare assolutamente «qualcosa di grosso». Erano, minuto più minuto meno, le undici e trentacinque di ieri mattina, cielo senza nuvole, temperatura ventitrè gradi, giornata di primavera apparentemente perfetta. I ministri del nuovo Governo erano in arrivo dal Quirinale e piazza Colonna stava per essere chiusa con le transenne. Resosi conto di non aver più tempo e temendo di non poter bersagliare i politici, Preiti ha tirato fuori la pistola urlando - «Adesso ammazzatemi!» - e si è messo a sparare contro due dei tanti carabinieri di guardia nella zona. Sei proiettili calibro 7,65 contro l’unico simbolo del potere che in quel momento gli è sembrato raggiungibile.
L’ex muratore ora disoccupato, poche ore dopo, confessando, ha detto di aver «pianificato tutto una ventina di giorni fa per colpire quelli dei governo». Il dramma si è consumato in una manciata di secondi. Il brigadiere Giuseppe Giangrande, il più grave dei feriti (la pallottola al collo gli ha leso le vertebre, si teme la paralisi), è crollato a terra. La gente, intanto, fuggiva dalla piazza. Gli uomini dell’Arma e gli agenti di polizia in servizio a Palazzo Chigi si sono guardati attorno e hanno subito individuato l’attentatore. Preiti, 46 anni, disoccupato, originario della Calabria, stava cercando di allontanarsi a piedi verso Montecitorio. Alcuni carabinieri lo hanno bloccato, saltandogli letteralmente addosso e senza rispondere al fuoco, all’angolo del palazzo sede del quotidiano «Il Tempo».«Abbiamo solo cercato di fare il nostro dovere - racconta il carabiniere che lo ha immobilizzato - La piazza era piena di gente. Non appena sono partiti gli spari, ci siamo gettati in più d’uno sull’aggressore». L’uomo è stato ammanettato e tenuto a faccia in giù sul selciato. Poco dopo - il viso sporco di sangue per alcune escoriazioni alla fronte - è stato portato via. Prima all’ospedale «San Giovanni» per una medicazione, poi negli uffici del Nucleo Investigativo dei carabinieri vicino a via Cavour.
Alcuni operatori tv che erano nella sala stampa di Palazzo Chigi in attesa della prima seduta del Governo sono usciti fuori e hanno iniziato a filmare la scena. Si vedono i soccorritori che si affannano con i telefonini attorno carabinieri raggiunti dalle pallottole («Correte! Un’ambulanza: ci sono colleghi feriti!») e nella faccia di Preiti si disegna una smorfia che sembra un ghigno. L’uomo, mentre è faccia in giù, dice ai carabinieri: «Per favore: allentatemi le manette. Non sento più il braccio».
Preiti, secondo la ricostruzione degli investigatori, era arrivato a Roma con un treno dalla Calabria nel pomeriggio di sabato. Camera alla pensione «Concorde», in via Amendola, vicino alla Stazione Termini, uno dei tanti alberghetti della zona. La stanza, la 522, al quinto piano, è stata perquisita ieri pomeriggio dai carabinieri. Non è stato trovato «nulla di significativo». L’edificio dell’hotel, durante i controlli, è stato praticamente circondato.
Le telecamere tra la Camera e la sede del Governo hanno ripreso l’aggressione. I carabinieri hanno a disposizione tre filmati. Il disoccupato calabrese, da ieri sera in carcere a Rebibbia, si aggirava nella zona di Montecitorio fin dalle dieci e un quarto del mattino, un’ora e venti minuti prima dell’azione. Per due volte lo si vede nitidamente che percorre le vie d’accesso a piazza Colonna e torna indietro dopo aver dato uno sguardo: ultimi preparativi prima del «gesto eclatante». Ma le immagini mostrano, con altrettanta chiarezza, che nessuno lo controlla, nessuno lo nota, nessuno lo intercetta. Il neoministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha parlato di «gesto isolato» e ha confermato che il disoccupato «voleva farsi uccidere, ma aveva finito i proiettili». Un’intento che sembra confermato dalle urla dell’ex muratore durante la sparatoria. Ma Preiti, sopra ogni altra cosa, voleva uccidere e trascinare qualche membro dell’Esecutivo nel gorgo della
Il primo pensiero va ai due carabinieri. Fedeli nei secoli, stanno in prima fila a difendere la nostra sicurezza e le istituzioni. Pagano, per questo impegno, troppo e troppo spesso. Ieri non si è fatto a tempo a piangere il carabiniere ucciso a Maddaloni durante una sparatoria nel corso di una rapina, che è arrivata la terribile notizia dei due militi feriti davanti a Palazzo Chigi. Sono servitori dello Stato che non mettono in relazione i rischi con i modesti stipendi che ricevono. Non lo si ricorda mai abbastanza. Poi c'è l'uomo che simbolicamente, nel momento in cui al Quirinale i membri del nuovo governo stavano giurando, voleva colpire i politici e ha sparato contro gli ostacoli che si è trovato di fronte, appunto i carabinieri. Si stanno sprecando gli approfondimenti sulla sua vita, su possibili disturbi mentali e quanto altro si possa sapere. Certamente il suo è un gesto folle, lucidamente folle. Ma sarebbe in fondo comodo cavarsela accertando che non era sano di mente.
Al contrario chi lo conosceva bene, in primo luogo i parenti, descrivono una persona normale che non trovava lavoro, con due unioni familiari fallite e con la passione per le slot machine. Nulla faceva presagire quanto stava covando di fare da settimane. Le parole più sagge le ha dette il presidente della Camera, Laura Boldrini, quando ha ricordato che il disagio sociale trasforma una vittima in carnefice.
L'Italia è una pentola in ebollizione. Quando Grillo ha sostenuto che senza il suo movimento ci sarebbe stata la violenza, subito tutti gli hanno dato addosso. In realtà lui aveva constatato una verità che è sotto gli occhi di tutti. Il fatto che la protesta sociale e politica si sia incanalata così clamorosamente sul Movimento Cinque Stelle, dopo aver tentato senza successo la strada dell'astensionismo, non ha cancellato le cause del disagio, che dilaga nel Paese, ma quanto meno è stata una risposta condita di un barlume di speranza. Come sia stata poi utilizzata questa immensa fiducia è un'altra questione. Ma nessuno può negare che se non ci fosse stata quella possibilità, probabilmente la crisi sociale avrebbe preso pieghe imprevedibili e sicuramente drammatiche. In Italia si è formata una miscela esplosiva. Da un lato i privilegi della Casta, dall'altro il disastro sociale con le imprese che falliscono e gli italiani che perdono il lavoro, con gli ammortizzatori sociali inadeguati e a rischio e le nuove generazioni senza speranza di futuro. Se ci fossero stati soltanto i privilegi, forse in molti, per lunga consuetudine con questi comportamenti, se ne sarebbero fatti una ragione. Ma detti privilegi, ostentati e scandalosi, sono diventati insopportabili per una popolazione costretta a sacrifici crescenti e, spesso, in uno stato di indigenza. In questo contesto si inseriscono prima i lavoratori sui tetti o sulle gru, poi i suicidi degli imprenditori e ancora quelli di persone che hanno perso il lavoro o che non reggono ad un'altra perdita ancora più umiliante, quella della dignità. E in esso va iscritto anche quello che è accaduto ieri. Un gesto folle, lucidamente folle, ma tragicamente simbolico. Troppo facile e strumentale scaricare la colpa sulle spalle di chi è stato, politicamente, più duro verso la Casta. Ora si mette sotto accusa Grillo, ci manca poco che sul banco degli imputati non si facciano sedere anche i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che hanno scritto libri di fuoco su questa materia. Pur senza avere alcuna simpatia per Grillo, crediamo che lui non sia la malattia ma la dimostrazione che la malattia esiste, e che è pure molto grave. Altra faccenda è l'uso che lui abbia fatto dell'immensa fiducia che gli italiani gli hanno consegnato, come ricordavamo proprio ieri in un altro articolo nel quale invitavamo i senatori, i deputati e i simpatizzanti di M5S ad una riflessione ponderata sulle scelte fatte e su quelle che sono da adottare. Piuttosto, la preoccupazione è un'altra. In questi giorni finalmente si è formato un Governo. Presenta qualche novità, ma contiene anche elementi connotativi non sottovalutabili.
Un esperto di queste cose, il dc Paolo Cirino Pomicino, in un twitter ha scritto, compiacendosene, che erano anni che non si vedevano tanti democristiani in un governo. Comunque sia, speriamo che questo Governo faccia le cose fondamentali che servono al Paese in questo momento. Su quello si giudicherà. Ma vedete che cosa accade? Che il partito del pensiero unico è ritornato immediatamente in funzione, inossidabile e invincibile, grazie ad un sistema dell'informazione che spesso ci fa vergognare di appartenerci. Sembra di essere ritornati ai primi mesi del governo Monti. Nessuno poteva parlare, tutto era bello, magnifico, meraviglioso. Ogni riforma era la migliore del mondo, ogni annuncio era calato direttamente dall'Olimpo, ogni sacrificio era dolce e soave. Poi si è vista come è finita. Siamo ridotti con le pezze al sedere, a momenti peggio di come Berlusconi aveva lasciato l'Italia al professore della Bocconi. Ora, questo governo Letta non ha ancora giurato e già si sentono lodi a destra e sperticati complimenti a sinistra. Non hanno ancora fatto nulla e sono già i salvatori della patria. Ovviamente, ce lo auguriamo, ma lasciamo che lo dimostrino e poi giudichiamo. Per chiudere su Grillo. Non ci piace la rete, pensiamo che la politica abbia bisogno di altro, e non crediamo che qualche migliaio di persone che votano le Quirinarie contino più di sessanta milioni di italiani, ma su una cosa è difficile dargli torto: quando parla della disinformazione dilagante. I partiti del pensiero unico, di qualunque colore e connotazione, procurano danni devstanti al Paese. Sarebbe opportuno fidarsi poco di loro.
Governo, Letta ha sciolto la riserva. 21 ministri: Alfano all'Interno e vicepremier. Saccomanni all'economia, Cancellieri giustizia Bonino agli Esteri, Mauro alla Difesa
E' nato alle cinque della sera il governo di Enrico Letta, quando il segretario generale del Quirinale - Donato Marra - ha annunciato: "Il presidente incaricato ha sciolto la riserva". Qualche istante dopo, nella sala stampa del Colle, è arrivato il neopremier. Nessun segno particolare di emozione nella voce, Enrico Letta ha presentato la sua futura squadra. Al ministero dell'Interno Angelino Alfano, che sarà anche vicepremier. All'economia Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia. Agli Esteri Emma Bonino, fino a qualche giorno fa candidata anche alla presidenza della Repubblica. Alla Difesa andrà Mario Mauro, di Scelta civica. Alla Giustizia - casella delicatissima - Annamaria Cancellieri. Agli affari europei, riconfermato, Enzo Moavero. Agli Affari regionali Graziano Delrio (Pd), attuale presidente dell'Anci. Maurizio Lupi - Pdl, area Comunione e Liberazione - alle Infrastrutture. Enrico Giovannini - presidente dell'Istat - al Lavoro. Alla Coesione territoriale Carlo Trigilia, sociologo e professore a Firenze. Ai Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. Alle Pari opportunità Iosefa Idem, pluricampionessa olimpica nella canoa, eletta nel Partito democratico. Alla Semplificazione va Giampiero D'Alia, segretario regionale dell'Udc in Sicilia e vicecapogruppo di Scelta civica alla Camera. Allo Sviluppo economico Flavio Zanonato (Pd), sindaco di Padova. Alle Politiche agricole Nunzia De Girolamo, deputato Pdl, avvocato, 38 anni, il cui matrimonio con il Pd Francesco Boccia è stato uno dei fatti politico-sentimentali della scorsa legislatura. All'Università e ricerca Mariachiara Carrozza, professoressa alla Scuola superiore Sant'anna di Pisa. Alla Salute Beatrice Lorenzin, Pdl, in politica fin dagli esordi di Forza Italia, con il movimento giovanile del partito. E poi Gaetano Quagliariello - uno dei saggi scelti da Napolitano - andrà agli Affari costituzionali. Andrea Orlando, giovane turco del Pd, sarà ministro dell'ambiente. Cecile Kyenge (Pd) - di origine congolese - è il nuovo ministro dell'Integrazione Ai Beni culturali Massimo Bray, direttore editoriale Treccani e deputato Pd. Infine Filippo Patroni Griffi, ministro
uscente della Pubblica amministrazione, è il nuovo sottosegretario alla presidenza del consiglio.
"Sono soddisfatto per la squadra che siamo riusciti a comporre - ha detto Enrico Letta - per il record della presenza femminile e per il ringiovanimento della compagine". Le donne in effetti sono sette. Tra i 21 ministri, nove vanno al Pd, 5 al Pdl, 3 a Scelta civica. Ma soprattutto - e questo sembra essere il vero tratto distintivo dell'esecutivo - non ci sono esponenti divisivi, cioè difficilmente accettabili dagli altri partner della strana coalizione.
Subito dopo Letta, ha parlato Giorgio Napolitano, minimizzando il ruolo svolto dal Quirinale: "Il presidente incaricato Enrico Letta - ha detto - è stato l'artefice della nascita di questo governo, io solo ho assecondato il suo sforzo. Da questo esecutivo arrivano novità, freschezza e competenza. Ora auspico la massima coesione". E poi: "Non c'è bisogno di alcuna formula speciale per definire questo governo: è un governo politico, formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra Costituzione e della nostra cultura parlamentare". Il via libera al governo, in realtà, è avvenuto dopo oltre un'ora di colloquio proprio tra Napolitano e Letta, al Quirinale. Un faccia a faccia decisivo per sciogliere gli ultimi nodi.
La mattinata di incontri. La giornata di Enrico Letta era cominciata presto, con l'obiettivo appunto di chiudere la partita in giornata. Il primo appuntamento è stato con Pier Luigi Bersani, per cercare una soluzione in grado di tenere compatto il Pd. E dal segretario uscente è arrivato un avvertimento per il Pdl: "Il governo non si fa a tutti i costi''. Insomma, il partito di Berlusconi non deve provare ad alzare troppo la posta. Subito dopo il premier incaricato ha visto Silvio Berlusconi, accompagnato da Angelino Alfano e Gianni Letta. E proprio il segretario del Pdl ha chiarito: "Dai giornali le solite mistificazioni. Dal Popolo della Libertà nessun veto a Massimo D'Alema perché non è nostra abitudine ingerire in casa altrui. Non si utilizzi il Pdl come pretesto''. Un'apertura a D'Alema, con un doppio significato: far saltare i possibili no nei confronti dei big di via dell'Umiltà e attribuire al campo democratico le possibili obiezioni a un incarico per l'ex premier, in corsa per la Farnesina. Al termine dell'incontro, Berlusconi appare il più fiducioso: "Credo che Letta giurerà già stasera. Io non sarò ministro". Nella squadra di Letta alla fine non ci saranno né lui, né D'Alema, né Monti. Nel nome del rinnovamento generazionale, certo. Ma anche per rendere meno turbolento il futuro già precario del nuovo esecutivo.
Sviluppo Subito? Ecco cosa fare
Sette anni sembrano passati invano: la situazione è oggi molto più grave di allora. Che fare? Nel dibattito degli ultimi giorni, sembra prevalere la linea più seria e meditata: studiamo la realizzazione di nuovi intermediari che provvedano a tutto ciò, facendo incontrare imprese, banche, fondi, intermediari pubblici e privati, magari con qualche incentivo pubblico, sempre che Bruxelles consenta. Parliamo di drammatica emergenza e poi ci dimentichiamo che forse qualcosa potrebbe essere fatto domani? Non solo per futura memoria, ma anche per provare a sbloccare l’ennesima paralisi, merita ricordare tre cose.
Belsito, ex tesoriere della Lega arrestato per truffa aggravata
Francesco Belsito, l'ex tesoriere della Lega Nord e componente del cda di Fincantieri, è stato arrestato a Genova dalla Guardia di Finanza di Milano. Gli sono contestate l'associazione per delinquere e la truffa aggravata nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Milano - diretta dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai sostituti Paolo Filippini e Roberto Pellicano - sull'utilizzo dei fondi nazionali della Lega Nord. L'ex tesoriere della Lega Nord è stato arrestato nella sua casa genovese alle 6 di mercoledì mattina ed è stato immediatamente trasferito nel carcere di San Vittore. L'abitazione è stata perquisita dai militari. «Da quanto si può sapere al momento, l'arresto non è relativo alla questione delle spese del partito, ma riguarda società e movimentazioni di denaro». Così il legale di Francesco Belsito, avvocato Alessandro Vaccaro. «Siamo meravigliati, comunque, che l'arresto arrivi ora, ad un anno dall'interrogatorio» ha concluso il legale.
Grazie Napolitano, l'inciucio è servito
Solo dalla direzione del Pd di oggi pomeriggio si capirà quale composizione e durata potrà avere il possibile esecutivo di larghe intese che ieri Giorgio Napolitano ha dato per inevitabile vista anche, e soprattutto, la matematica. I tempi sono strettissimi e nelle parole di ieri del Capo dello Stato si scorge l’intenzione di chiudere tutto in settimana dando l’incarico domani, con il doppio voto di fiducia entro sabato. D’altra parte occorre battere il ferro fin che è caldo senza lasciare tempo ai partiti di costruire nuove opzioni più o meno paralizzanti.
Mentre Berlusconi punta deciso ad interpretare alla lettera l’invito del Capo dello Stato ed è pronto a mettere in piedi un governo politico e di legislatura, a sinistra le contorsioni non sono ancora cessate e ieri sera a Palazzo Grazioli si guardava con una certa apprensione al numero di coloro che nel Pd diranno «no» o subordineranno la nascita dell’esecutivo ad un orizzonte temporale. Nel destino a breve del Pd e del Pdl sembra esserci solo la nascita di un esecutivo di larghe intese, con il Quirinale nel ruolo propulsore di una legislatura che di fatto non è ancora cominciata. Ai blocchi di partenza è schierato già il possibile presidente del Consiglio: Giuliano Amato. Il dottor Sottile è infatti tra coloro che lo stesso Napolitano ha più volte consultato nel corso di un settennato difficile ed è in pole position nella corsa a palazzo Chigi. A meno che i due principali partiti non arrivino ad un’intesa su altro nome. Eventualità che il Quirinale non esclude, ma che sembra impossibile viste le tensioni esistenti a sinistra e i mugugni che serpeggiano anche nel centrodestra con la Lega pronta a chiamarsi fuori riequilibrando di fatto il ”no” a sinistra pronunciato già da Sel. Se il Pd oggi pomeriggio conterrà i dissensi che potrebbero prodursi in aula in un ”no” alla fiducia, la strada del governo Amato potrebbe spianarsi mentre verrebbe archiviata l’ipotesi di un incarico a Enrico Letta che potrebbe comunque avere nel nuovo esecutivo un ruolo di rilievo come vicepremier insieme ad Angelino Alfano.
Sulla carta un governo Pd-Pdl-Scelta Civica può contare su 455 voti a Montecitorio e 240 al Senato. Una maggioranza bulgara che potrebbe rafforzarsi mettendo ministri politici nell’esecutivo come pretende il Pdl e come, raccontano, lo stesso Alfano ieri abbia ribadito di nuovo al Capo dello Stato. Oltre al segretario del Pdl, Berlusconi potrebbe dare il via libera al saggio Gaetano Quagliariello, candidato alle Riforme, ad una donna come l’ex ministro Gelmini o alla parlamentare Bernini. In odore di poltrona ministeriale anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani. All’Economia sembra difficile la riconferma di Grilli ed è probabile che si decida di pescare in Bankitalia con il direttore generale Saccomanni o il ”saggio” Salvatore Rossi che, in alternativa, potrebbe comunque finire alle Funzione Pubblica. Tra i dieci saggi a suo tempo nominati da Napolitano si pescheranno le figure più tecniche che serviranno a completare la rosa dei ministri qualora i partiti fatichino a dare indicazioni. L’ex presidente della Basilicata Bubbico potrebbe essere una delle indicazioni provenienti dal Quirinale, mentre il suo compagno di partito, Francesco Boccia, viene candidato per dicasteri difficili come il Lavoro o lo Sviluppo Economico. Dopo anni di ostracismo, ieri erano i giornali di destra a evocare Luciano Violante alla Giustizia. Agli Esteri, anche in chiave di contenimento della liquefazione della sinistra, potrebbe finire un escluso di lusso come Massimo D’Alema.
L'inciucio è servito, il Caimano è salvo, la partitocrazia si è asserragliata dentro il suo fortino, separata ormai del tutto dal Paese e proprio per questo in grado di infliggergli altri drammi, se non il colpo alla nuca. Ci sono più probabilità che Napolitano arrivi alla fine del suo secondo settennato, che non l'unità del Paese, anche se la gravità della situazione non viene ancora ben percepita: le formalità democratiche sono state rispettate, i riti turibolari sono stati eseguiti, ma siamo di fatto dentro una dittatura della partitocrazia, dentro quella oligarchia che diviene conclamata con grande gioia dei media che mangiano in quel piatto.
Che sia così lo dimostra l'assenza di una opposizione lucida e determinata che sappia andare oltre lo schiamazzo o la narrazione. Un'opposizione che non potrebbe essere se non di sinistra visto che il marchingegno messo a punto per cancellare la voglia di rinnovamento risponde a tutti i desiderata del sado liberismo, ma anche alle esigenze autoritarie che ne sono il necessario risvolto. Dunque all'essenza della destra. C'è un problema però: che la sinistra non esiste più o almeno non c'è una sinistra che sappia liberarsi dai fantasmi del passato e insieme elaborare nuove strategie, prassi e prospettive. Coinvolgere insomma.
Questa è la realtà: il nuovo di Barca, redatto appena pochi giorni fa, è una riflessione sulla forma partito, un contorto passaggio alla sinistra "palestra", anche interessante da un punto di vista sociologico, ma senza uno straccio di contenuti e di idee concrete, senza nemmeno la volatile ombra di un ideale: una pura esercitazione accademica sul corpo marcito del Pd, dove l'area socialdemocratica è ormai residuale, coperta dalle mucillaggini di apparato. Purtroppo la forma non ha un senso se priva dei contenuti e anzi lascia l'impressione che l'unico contenuto sia la forma stessa come in effetti suggerisce l'espressione clou "buon governo" che in termini di sostanza è il nulla. Insomma un altro personaggio della stessa pasta degli altri, un opportunista che ha atteso la fine della sesta chiama per dichiararsi a favore di Rodotà così da non pagare dazio e farsi la sua campagna da segretario dei resti piddini. Tuttavia, resistendo all'effetto emetico, non si può non notare la straordinaria affinità con Vendola che dopo aver inghiottito tutto o quasi del montismo, ora lancia un nuovo cantiere: «Sel è impegnata a ricostruire dalle fondamenta una nuova sinistra di governo».
Che vuol dire «di governo»? Ma quello che si intende ormai da quarant'anni: la Sinistra di governo è quella che governa come la destra e dunque non può esprimere posizioni alternative, ma solo palliative. Mentre se elabori contenuti non dico antagonisti, ma diversi, sei una sinistra di testimonianza che non potrà mai arrivare nelle stanze dei bottoni. E' caduta l'Unione sovietica, si è sbriciolato il muro di Berlino, è finito il mondo bipolare, la Cina formalmente comunista è diventa la prima potenza industriale del mondo, i Brics si apprestano a fare da contraltare alla finanza occidentale, ma noi ragioniamo ancora nei termini del fattore K, l'esclusione del Pci dal governo, imposta dalle logiche del mondo bipolare e garantita con tutti i mezzi, stragi comprese. Sorprendentemente proprio questo è diventato uno dei capisaldi della cultura di sinistra, almeno di quella che ha ancora voce.
Dunque non so cosa potranno elaborare di originale ed efficace i nuovi cantieri, anche ammesso che non siano la solita orgia di interventi, scontri e bizze dei soliti noti, se nascono dentro queste sconfitte preventive. E che si traducono poi in narrazioni sconfessate dalle azioni o dall'emergere di personaggi di ambito bancario e finanziario come il bocconiano Barca che di sinistra effettiva ha solo il padre. Dunque rimarremo senza opposizione che non sia quella ondivaga, pervicace, ma informe del M5S i cui esiti paiono sconosciuti agli stessi fondatori e che tuttavia esprime anche contenuti come il salario di cittadinanza, che la Sinistra «di governo» non osa, nonostante tutti i Paesi europei lo abbiano. Ecco, magari nei cantieri bisognerebbe osare un po': perché al governo vero ci si arriva solo se si ha anche il coraggio di testimoniare una speranza.
Napolitano bis, Funeral Party
di Marco Travaglio
Bersani, una sconfitta "TAFAZZIANA"
Naturalmente Bersani non risponderà alle nostre domande, ma dovrebbe almeno ascoltare quelle che gli rivolgono gli elettori, e un gran numero degli stessi dirigenti del suo partito, spaesati e anche molto arrabbiati, soprattutto dopo aver assistito allo spettacolo delle votazioni di ieri a Montecitorio. Una clamorosa, "tafazziana" disfatta.
Eppure il segretario del Pd, dopo la botta del voto di febbraio, aveva mandato segnali interessanti. Con la scelta dei due presidenti di Camera e Senato, con la pervicace insistenza sul governo di cambiamento, con l'intelligente pedinamento dei grillini, mettendo da parte l'orgoglio, facendo emergere la cantilena dei «no» degli esponenti a 5stelle, che per questo loro comportamento calavano già nei sondaggi. Poi l'inversione, brusca e masochista, di imbarcarsi in un tandem quirinalizio con il capo del centrodestra. Che, inutile negarlo, prefigura un'altra strana maggioranza di governo, un'altra forma di "montismo" fino alle prossime elezioni.
Un cambio di rotta, proprio quando, proseguendo sulla strada intrapresa, Bersani, e una vasta area del centrosinistra, avrebbero potuto sposare la candidatura di Rodotà. Anche perché non stiamo parlando di un signore che appartiene ad un partito, ma di una figura capace di rivolgersi a un campo largo, di almeno 27 milioni di voti, quelli ricevuti dai referendum del 27 giugno del 2011 di cui Rodotà è stato tra i tenaci promotori.
Fu una splendida primavera della politica, la rivelazione di un giacimento di mobilitazione e conoscenza che usciva dal populismo e diventava democrazia deliberativa. Quel paese esiste, non averlo ascoltato, continuare a ignorarlo non solo ha fatto perdere al Pd più di tre milioni di voti, ma ne ha fiaccato l'identità e annebbiato la visione.
Per Bersani suona la campana della sconfitta, la sua leadership è finita, i cocci che ha provocato (con l'aiuto di tutto il gruppo dirigente) non li incolla più nessuno.
A Montecitorio si vota ma in piazza c'è il caos
"Dalle ore 15 tutti a piazza Montecitorio per dire NO PRODI al Quirinale. Vi aspetto!" scrive su Twitter il capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni.
Al termine della riunione dei gruppi congiunti del Pdl si è appena conclusa e come annunciato tutti i parlamentari sono in piazza davanti Montecitorio per protestare alla scelta del Pd di candidare Romani Prodi al
Un drappello di militanti di Casa Pound arriva davanti a Montecitorio e dai manifestanti 'pro-Rodota'' parte "Bella ciaò. E' accaduto anche questo davanti alla Camera dei deputati dove il caos è adesso completo. Sin da ieri un gruppetto di cittadini grillini e del popolo viola scandiscono slogan a favore di Stefano Rodotà; a questi si sono uniti nel pomeriggio manifestanti del Pdl chiamati a protestare contro l'ipotesi che Romano Prodi possa salire al Quirinale. Quindi, a sorpresa, sono rumorosamente comparsi una trentina di militanti di Casa Pound, anche loro schierati contro Prodi. Nessun problema di ordine pubblico. La polizia schierata osserva tranquilla mentre i cameraman e fotografi riprendono la scena.
Intanto si fa notare, Alessandra Mussolini, nei corridoi di Montecitorio. La senatrice del Pdl veste infatti una t-shirt bianca con scritte a caratteri cubitali in nero, per esorcizzare l'elezione dell'ex premier ulivista al Colle: "No questo no. Il diavolo veste Prodi". Davanti, solo le parole: "No questo no". Dietro la schiena, la spiegazione di un no tanto accorato: "Il diavolo veste Prodi".
Alessandra Mussolini ha fatto anche il suo ingresso nell'Aula di Montecitorio con tanto di passerella fino allo scranno della presidenza. Fischi dal Pd, che chiede che la Mussolini venga fatta uscire dall'emiciclo.
Oltre a Alessandra Mussolini a indossare la maglietta bianca anti Prodi anche la senatrice del Pdl Simona Vicari. Le due parlamentari dopo aver causato le vivaci proteste da parte del centrosinistra ed essere state richiamate dalla presidenza della Camera sono state fatte allontanare.
Rodotà, M5s ed il suicidio di Bersani
In precedenza, dal suo blog, Grillo si era scagliato contro il Pd e il Pdl. E in particolare contro Pier Luigi Bersani: «Gargamella ha già deciso. Ha fatto le Berlusconarie. I votanti erano due: lui e lo psiconano durante un colloquio intimo. È il suicidio della Repubblica». Riguardo alle passate consultazioni, Grillo ha sottolineato che il segretario dei Pd «ci ha chiesto solo il voto per un governo Bersani per farsi i c...i suoi» e che è colpevole d'aver «ignorato i nomi proposti dal MoVimento 5 Stelle».
La tesi di Grillo è semplice: da Bersani e Berlusconi «sono stati scelti in particolare due nomi: D'Alema e Amato. Due personaggi di garanzia giudiziaria al posto di una figura di garanzia istituzionale. Il presidente della Repubblica è il capo del Consiglio Superiore della Magistratura, la influenza, può indirizzarne il comportamento. Berlusconi vuole un garante per i suoi processi. D'Alema, il principe dell'inciucio, e Amato, l'ex tesoriere di Craxi sono candidati ideali». Secondo il leader dell'M5S «un loro settennato consegnerà l'Italia alla dissoluzione non solo economica, ma anche come Stato unitario». Grillo, invece, aveva mandato un messaggio a Bersani, invitando il Pd a votare per Gabanelli, Strada, o Stefano Rodotà.
L'occupazione del Quirinale da parte del leader del Pdl, per Grillo, «è un legittimo obiettivo», ma «per Bersani è il suicidio della Repubblica di cui lui e solo lui sarà il responsabile». Le accuse proseguono ricordando la mancata risposta del Pd alla richiesta di «rinunciare ai 46 milioni di euro di finanziamento elettorale», mentre «il M5S ha rinunciato a 42 milioni di euro», di non aver «fatto una piega su una proposta congiunta di incandidabilità di Berlusconi, né per la legge sul conflitto di interessi», insomma, di aver voluto «tutto in cambio di nulla per sopravvivere a sé stesso». Tutte parole che però il Pd rispedisce al mittente con Stefano Di Traglia portavoce di Bersani che su Twitter scrive «Mi pare evidente che Beppe Grillo sia in piena confusione. E le quirinarie sono state solo un'illusione per i militanti del Mov5Stelle».
Mercoledì pomeriggio, in una lettera al Corriere , Gabanelli aveva spiegato di voler continuare a fare la giornalista. Il secondo classificato alle Quirinarie, Strada, aveva preso tempo. E, commentando la situazione politica attuale, il fondatore di Emergency aveva aggiunto «Che ci sia una protesta che cresce solo un cieco non può non vederlo: se poi la politica fa finta di niente ne pagherà le conseguenze». Il chirurgo ha anche espresso preoccupazioni per il Paese: «Non credo che riesca a reggere sei mesi se non vengono fatte delle cose urgentissime per lavoro, casa, sanità e istruzione, oltre alle legge elettorale e al conflitto di interessi»
Rodotà, dunque. E il deputato del M5S Roberto Fico su Facebook aveva lanciato un appello valido per tutti e tre i candidati saliti sul podio delle "Quirinarie" : «Il Pd ha un'occasione vera, l'occasione di seguire per una volta i cittadini senza compromessi, senza inciuci, senza vecchi politici impolverati e corrotti in se stessi dal sistema. Milena Gabanelli se accetterà sarà candidata al Quirinale e così Gino Strada e così Rodotà. È il momento di fare un atto di forza, di contrastare una dirigenza vecchia e senza visione del futuro, il momento di combattere e di lottare per ciò in cui si crede giusto. Chiedo a molti deputati del Pd di non permetterlo e di lottare ora. Ora o mai più».
Attentato Boston, identificate le tre giovani vittime. Si indaga sulla pista interna
Identificate le tre giovani vittime dell’attentato alla maratona di Boston. L’ultima ad essere riconosciuta è una ragazza di origini cinesi che si stava specializzando alla Boston University, il cui nome non è stato ancora diffuso in attesa dell’autorizzazione della famiglia. La giovane si trovava insieme ad alcuni colleghi lungo le transenne del traguardo della gara, quando lunedì scorso sono esplosi gli ordigni. Giovanissime anche le altre due vittime: un bambino di otto anni, Martin Richard, e una ragazza di 29, Krystle Campbell. “Non posso credere che stia accadendo questo, non ha alcun senso”, ha dichiarato la mamma di Krystle, profondamente scossa, parlando con i media davanti alla sua abitazione.
Intanto proseguono le indagini delle autorità per trovare i colpevoli dell’attentato. Janet Napolitano, segretario alla Sicurezza interna, ha spiegato alla Cnn che al momento non c’è alcun indizio di “un collegamento straniero o di una reazione di al Qaeda“. L’ipotesi più probabile è per ora un attentato a sfondo politico, anche se non si escludono altre piste. Sembrerebbe infatti, secondo il Boston Globe, che una bomba sia stata posta proprio dove era seduto il governatore del Massachusetts poco prima dello scoppio. Il governatore, Deval Laurdine Patrick, classe 1956, è un democratico progressista, attivista dei diritti civili ed è afroamericano. Per accelerare le indagini i sindacati delle forze di sicurezza cittadine hanno annunciato una ricompensa di 50mila dollari a chi offrirà informazioni utili all’arresto dei colpevoli. Richard Paris, presidente del “Local 718″, ha perfino annunciato una raccolta fondi da parte dei soccorritori, il cui ricavato sarà destinato interamente alle famiglie delle vittime.
E, mentre prosegue la caccia agli autori della strage, vengono svelati nuovi dettagli sugli ordigni. Le bombe erano costituite da pentole a pressione piene di schegge metalliche, chiodi e cuscinetti a sfera, collegate a detonatori. Le pentole erano in buste di nylon nera o zaini e sono state trovate anche tracce di circuiti elettronici che farebbero pensare all’uso di timer. Gli ingredienti del ‘cocktail’ esplosivo erano così comuni che per l’inchiesta il compito di ricostruirne la matrice e risalire al colpevole è tutta in salita, scrive il Washington Post.
L’allarme resta quindi alto negli Stati Uniti, dove sono state innalzate le misure di sicurezza nelle principali città. E i timori sono sicuramente aumentati dopo che è stata intercettata una lettera contenente ricina, una sostanza naturale altamente tossica e letale per l’uomo, indirizzata al senatore repubblicano Roger Wicker, 61 anni. Torna quindi a Washington l’incubo delle lettere contenenti sostanze velenose, come dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quando missive all’antrace furono recapitate a parlamentari, giornalisti e altre persone, provocando 5 morti e 17 feriti. La missiva è stata fermata grazie ai controlli della Us Postal Service sulla corrispondenza di senatori e deputati, controlli rafforzati proprio dopo l’emergenza post 11 settembre e che costano circa 100 milioni di dollari l’anno.
La notizia della lettera è arrivata a Capitol Hill proprio mentre era in corso un briefing sui fatti di Boston del segretario alla Sicurezza interna, Janet Napolitano, e del numero uno dell’Fbi, Robert Mueller, con un gruppo di senatori. Per il momento si tende a escludere ogni collegamento con le esplosioni nella città del Massachusetts. Anche se i precedenti del 2001 e 2002 – quando l’ondata di lettere all’antrace seguì gli attentati dell’11 settembre – è nella mente di tutti.
Boston, una corsa tra bombe e follia
Due esplosioni, alle 14,50 locali (le 20,50 in Italia) e a distanza di venti secondi l'una dall'altra, al traguardo della maratona di Boston. Almeno tre i morti accertati, tra i quali un bambino di otto anni. Oltre 130 i feriti, alcuni in modo grave. Molte persone sono state trasferite negli ospedali, fonti ospedaliere parlano di numerose amputazioni. Moltissimi dei feriti sono arrivati in ospedale con ancora la pettorina della gara indosso. Secondo fonti della polizia riportate dai media Usa si è trattatato di due bombe, e altri due ordigni sono stati trovati in città e disinnescati. Lo spazio aereo su Boston è stato chiuso dalle autorità. "Apparentemente c'è stato un attentato", ha detto il vicepresidente Usa Joe Biden.
Anche a New York e a Washington è scattata la massima allerta. Rafforzamento delle misure di sicurezza, col dispiegamento di pattuglia anti terrorismo nei luoghi simbolo di Manhattan e davanti ai principali alberghi. Cordonata l'area della Casa Bianca. Barack Obama ha parlato alla nazione quando ancora non si conoscono i dettagli: "Non sappiamo ancora molto ma sappiamo che chiunque sia stato pagherà".
Il presidente non ha parlato di "terrorismo" ma di individui o gruppi responsabili che saranno perseguiti. Non ha poi escluso la possibilità di "salvaguardare" l'intero territorio degli Stati Uniti se si rendesse necessario. Il presidente rimane in contatto con le autorità locali per seguire l'evolversi della situazione e fornire tutta l'assistenza di cui la città di Boston avrà bisogno, sia per le indagini che per gli aiuti.
A Boston, Liz Norden, una madre di cinque figli, ha visto due dei suoi ragazzi coinvolti nell'attentato alla maratona. I due fratelli erano andati a vedere la corsa di un amico: sono stati investiti dall'esplosione ed entrambi, portati in due diversi
ospedali della città, hanno subito l'amputazione di una gamba, dal ginocchio in giù.
Purtroppo ci sono molti bambini tra i feriti dell'attentato alla maratona di Boston, dove è morta una ragazzina di 8 anni: l'ospedale pediatrico della
città, il Children's Hospital, ha accolto un'ondata di piccoli pazienti.
Uno è un bambino di 2 anni con una ferita alla testa, ricoverato in terapia intensiva. Un'altra una ragazza di 9 anni che ha subito un trauma alla gamba cosi' pesante da
trascorrere ore in camera operatoria. In tutto 9 i bambini ricoverati: tra gli altri un adolescente di 14 anni; una ragazzina di 10, un'altra con un femore rotto, un bimbo di 7 anni con una ferita alla gamba. Tutti gli ospedali di Boston sono in allerta e hanno richiamato in servizio decine di medici di pronto soccorso.
Negli Stati Uniti è massima allerta dopo l'attentato alla maratona di Boston. "Americani siate vigili", è stato l'appello lanciato nella notte dal ministro della Sicurezza Interna, Janet Napolitano, mentre sono state rafforzate le misure di
sicurezza anche a New York, Washington, San Francisco, Los Angeles, Denver e Seattle. Pattuglie antiterrorismo sono state dispiegate nei luoghi simbolo di Manhattan e davanti ai principali alberghi della Grande Mela mentre è stata cordonata l'area intorno alla Casa Bianca. Boston oggi resterà presidiata dalla polizia, ha annunciato il governatore del Massachussetts, Deval Patrick, mentre proseguono indagini e i controlli a tappeto per trovare i responsabili.Nessun ferito tra i circa 60 maratoneti partiti dalla Toscana per la Maratona di Boston col gruppo organizzato dal fiorentino training Consultant Fulvio Massini. Ma alcuni di loro erano vicino al luogo dell’esplosione che ha provocato alcuni morti (il bilancio provvisorio era di 3, a tarda notte) e una ventina di feriti. Uno di loro, Paolo Rossi, di Pescia, ha visto e sentito l’esplosione, non l’ha fortunatamente colpito. «Ero sul traguardo, quando è scoppiato il primo ordigno — racconta — Era una festa bellissima, a cento metri dal traguardo. Mia figlia era in tribuna: ha saltato la transenna per fare gli ultimi 200 metri con me, eravamo abbracciati». Un momento bellissimo, poi la tragedia: «A cento metri, dal traguardo, questa esplosione. C’era gente per terra ferita, ci siamo voltati, è arrivata la seconda esplosione. C’è stato il panico, un macello».
Via, lontano dall’esplosione: «Avevo anche mia moglie in tribuna — continua a raccontare Rossi — quando l’abbiamo trovata, ci siamo allontanati per strade laterali, per uscire dalla zona della Final Line (il traguardo ndr). Siamo tornati verso l’albergo, ci hanno fermato due o tre volte, poi ci hanno deviato in strade secondarie. C’era gente ferita, tantissimi poliziotti, pompieri: un caos totale. Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia. Sono passato dalla felicità totale al terrore in cinque secondi». «Tutti stanno bene» spiega Roberta, una dello organizzatrici. Perlomeno, quelli del gruppo toscano; da Firenze sono partiti anche alcuni della Canottieri di Ponte Vecchio. Sono le prime informazioni che arrivano dagli Usa: ma dopo alcune conversazioni telefoniche, diventa quasi impossibile parlare con loro, mentre arriva la notizia della terza esplosione, alla biblioteca Jfk, ad un’ora dalle precedenti. Roberta e Paolo Rossi sono in albergo. Massini ha invece passato tutto il tempo in strada.
«È successo un attentato. No, nessun corridore è morto. Sì, ci sono feriti, non italiani. Andate in albergo, con calma» è il refrain che si sente dall’altro capo del telefono. Perché lui aveva già finito la Maratona, quando ha scoperto dell’attentato dalla tv. «Ero già arrivato in albergo quando c’è stata l’esplosione» spiega. Ha capito subito che c’era bisogno di lui: ha rimesso le scarpette ed è ripiombato in strada. Per accertarsi che non ci fossero feriti, tra le persone che viaggiavano (e correvano) con il suo gruppo. Ma anche per «recuperare» i tanti che si sono trovati in una situazione di follia. «La gara è stata interrotta ad un miglio dall’arrivo, dopo le bombe, per cui tutti si sono sparpagliati lungo le strade limitrofe» spiega Massini mentre continua a interrompere la conversazione per dare spiegazioni, confortare. Si sentono le conversazioni con altri italiani, ma soprattutto si percepisce il tono della paura con cui le persone gli si rivolgono: «Fulvio, ma che è successo?» dice una donna con la voce tremante. «Vai in albergo, è stato un attentato. Non ci sono morti tra i corridori» li rassicura Fulvio. È una rassicurazione per non aumentare l’ansia, perché è una verità parziale: di morti ce ne sono stati, pare, almeno 3 (così battevano la agenzie da Boston ieri sera), ma tra la folla. Tra i corridori ci sono feriti: ieri sera non risultavano italiani.
C'erano anche un versiliese e due garfagnini fra gli atleti che hanno preso parte alla maratona di Boston. Il versiliese Paolo Moriconi, 47 anni, abitante a Camaiore, pettorina di gara numero 26398 e tesserato per la società degli Atleti Amatori Rione Marignana. Secondo le notizie trapelate, Moriconi sta comunque bene, anche se comprensibilmente sotto shock per quanto accaduto, e si è già messo in contatto con i propri familiari per rassicurarli sulle proprie condizioni fisiche. Oltre a lui, avevano preso parte alla gara anche una coppia, marito e moglie, del Gruppo sportivo Orecchiella: l'imprenditore garfagnino di Pieve Fosciana Guido Fornari e la consorte Gabriella Bechelli: anche loro, sia pure spaventati, stanno bene. I toscani iscritti alla maratona erano in tutto una ventina.
La paura, riflesso incondizionato dell’America dall’11 settembre 2001, scatta subito. Prende la forma delle squadre antiterrorismo mobilitate a New York per presidiare i potenziali obiettivi terroristici.
La Casa Bianca in stato di allerta, le forze di sicurezza schierate lungo Pennsylvania Avenue. La gente evita i trasporti pubblici, chiama gli amici, cerca di capire se l’incubo si sta ripetendo.
La risposta è abbastanza rapida. Il primo che parla di bomba è il vice presidente Biden: dice di non sapere chi sia responsabile, ma non lascia dubbi sul fatto che l’America è ancora sotto attacco. Al Qaeda, il terrorismo islamico, sono i primi pensieri che vengono in mente. Ma qualcuno ricorda anche l’esplosione alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, e peggio ancora quella di Oklahoma City l’anno prima, quando la follia cresciuta in casa fece strage.
Nel momento in cui le tv annunciano la «breaking news», la speranza è che sia stato un incidente: un problema elettrico, un tubo del gas, una bombola. Ma il panico si diffonde in fretta a Boston, intorno alla scena delle esplosioni: i testimoni, le persone che hanno visto da vicino gli scoppi, non hanno dubbi. Due botti, a poca distanza uno dall’altro. Chi non è stato ferito scappa, temendo che stia arrivando altro. Su scala diversa, ma come l’11 settembre del 2001, quando l’America capì in fretta di essere sotto attacco e non sapeva dove potesse arrivare il prossimo colpo.
La prima a reagire è New York, che dall’epoca degli assalti suicidi di al Qaeda opera al livello di allarme «arancio»: alto rischio di attacchi terroristici. Il sindaco Bloomberg e il capo della polizia Kelly mobilitano subito mille poliziotti antiterrorismo: li schierano negli alberghi, davanti ai monumenti, negli snodi del traffico. Il governatore Andrew Cuomo mobilita la Guardia nazionale. New York è abituata a vivere così da oltre dieci anni. «If you see something, say something», dicono ancora i manifesti nella metropolitana: se vedi qualcosa, dì qualcosa, dai l’allarme. Anche Wall Street reagisce, amplificando le perdite della giornata.
Washington segue a ruota. La Casa Bianca torna ad essere un bunker, per fronteggiare l’emergenza. La polizia sgombera le strade davanti alla residenza del presidente Obama e ferma il traffico su Pennsylavania Avenue. La Federal Aviation Authority ordina il blocco dei voli verso Boston, la memoria torna in fretta alla paralisi degli aeroporti dopo l’11 settembre.
La paura rischia di trasformarsi in panico, quando la polizia di Boston parla ai giornalisti: «Oltre alle due bombe alla maratona, una terza è scoppiata alla Library del presidente Kennedy. State a casa, se siete in albergo non uscite. L’attacco è ancora in corso». Le bombe sono piccole: segno che non è al Qaeda? Fronte interno? Qualunque sia la matrice, l’incubo è tornato.
E se Renzi fosse come Berlusconi?
Aprendo la settimana dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, il sindaco di Firenze Matteo Renzi cerca di dare il suo passo al dibattito politico e boccia due candidati del Pd al Colle: Franco Marini e Anna Finocchiaro.
In una lettera a Repubblica, Renzi argomenta contro la scelta di Marini, ex presidente del Senato, proveniente dalla costola del Pd che ha radici nella Democrazia cristiana, dicendo che "è gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione".
Renzi ripropone uno degli argomenti che più gli hanno dato popolarità negli ultimi mesi, la "rottamazione" dei vecchi parlamentari del centrosinistra assimilati alla "casta", dopo avere polemizzato duramente nel fine settimana con il segretario del suo partito Pier Luigi Bersani per la sua stategia che non avrebbe consentito di dare all'Italia un governo ad oltre 50 giorni dalle elezioni politiche.
"Due mesi fa Marini si è candidato al Senato dopo avere chiesto (e ahime ottenuto) l'ennesima deroga allo statuto del Pd. Ma clamorosamente non è stato eletto. Difficile a mio avviso, giustificare un ripescaggio di lusso, chiamando a garante dell'unità nazionale un signore appena bocciato dai cittadini d'Abruzzo".
Non più tardi di ieri sera Renzi aveva attaccato anche Anna Finocchiaro, ricordando le foto della sua spesa all'Ikea con la scorta e per questo poco adatta a far passare un messaggio anti casta, dopo il successo dei grillini alle politiche.
I nomi finora più accreditati dagli analisti politici come successore di Giorgio Napolitano sono ora quelli di Giuliano Amato e Romano Prodi. L'elezione del primo, ritenuto accettabile dal centrodestra, sarebbe funzionale ad un'intesa tra Pd e Silvio Berlusconi su un futuro governo.
Ma l'accordo deve ancora essere siglato e la condizione posta da Berlusconi di riservare alcuni ministeri ad esponenti di spicco del suo partito in un governo di larghe intese non è stata finora accettata da Bersani.
L'elezione di Prodi - inviso al centrodestra - con i voti del centrosinistra e possibilmente di una parte del M5s, renderebbe, secondo questa analisi, più probabile il ritorno alle urne entro l'estate.
Ma l'elezione del presidente della Repubblica si svolge a scrutinio segreto e tradizionalmente in questo voto si scaricano le tensioni presenti non solo tra i diversi blocchi, ma anche quelle interne ai partiti, il che rende difficile qualsiasi previsione sul suo esito.
Se Matteo Renzi prova a proporre una soluzione per far uscire l'Italia dal pantano diventa come Silvio Berlusconi. Anzi, coincide con il Cavaliere. Sono la stessa cosa. Stessa faccia, stessa (brutta) razza. Questo, in sintesi, il pensiero di molte anime del Partito Democratico. Il sindaco di Firenze ha ripetuto il suo appello: "Basta perdere tempo. Basta con le manfrine. O si fa un accordo con Silvio Berlusconi o si torna al voto". Di fatto con questa frase Renzi ha ufficializzato la sua "opa" sul Partito Democratico. Il segretario Pier Luigi Bersani è all'angolo. I fedelissimi dell'uomo che viene da Bettola si ribellano, lo difendono. Emblematico il cinguettio su Twitter diChiara Geloni, direttore della web-tv Youdem. "Serenamente e pacatamente - scrive -: non si può negare che al momento la proposta politica di Renzi coincida perfettamente con quella di Berlusconi". Cambiano le parole, ma non la sostanza nell'intervento di Stefano Di Traglia, responsabile della comunicazione dei democrat: "Renzi semplicemente propone la stessa ricetta di Berlusconi: un governissimo o elezioni". Per chiudere la rapida rassegna degli integralismi, d'obbligo la citazione di Roberto Seghetti: "Si può fare governo che cambi davvero - verga su Twitter omettendo gli articoli-. Renzi pensa di perdere sua occasione e vuole matrimonio con Cav? Si accomodi".
Le "colpe" di Matteo - Chi cerca di trovare una soluzione per dare un governo a questo Paese, chi lo fa dialogando con il leader della seconda coalizione in Parlamento (dietro per un pugno di voti), per il Partito democratico è un irresponsabile. Anzi, dal loro punto di vista è pure peggio: è come Berlusconi. Il ritornello, chi il rottamatore non lo può soffrire, lo ripete da anni. Il "pedigree" di Renzi è indelebilmente macchiato da quell'incontro con l'ex premier ad Arcore. Troppo, per i duri e puri di via del Nazareno. Troppo per chi è pronto a far naufragare il Paese pur di non parlare con gli azzurri. Troppo per chi si prodiga nel folle inseguimento ai "vaffanculo" di Beppe Grillo. Ma tant'è. La rivolta contro Renzi - la cui "colpa" è quella di attrarre gli "impresentabili" elettori del centrodestra - è iniziata. Il partito si spacca. Tra i critici, ovvio, anche Stefano Fassina, il responsabile economico del Pd, che ritiene irrispettoso parlare di politica perditempo: "Napolitano - spiega - ha cercato soluzioni e ha trovato difficoltà vere per fare un governo di cambiamento. Né Bersani, né gli altri leader dei partiti in Parlamento perdono tempo. Si creca una soluzione a un problema che non è fare un governo quale che sia, ma avere un governo di cambiamento all'altezza delle sfide che l'Italia ha davanti sul terreno della politica e dell'economia". Anche per Ignazio Marinol'accordo con il Pdl è inattuabile, indigeribile per la base del centrosinistra: "Le persone non capirebbero un'alleanza con il Pdl e con la Lega, che sono le stesse persone che hanno portato l'Italia sull'orlo del baratro".
"Fate presto" - Ma il quadro, nel Pd, non è di così semplice lettura. Non è delineato in modo così limpido. Il 'pensiero-democratico' non può essere ridotto a queste dichiarazioni. Nel partito, infatti, cresce la fronda di quelli che vogliono far fuori Bersani e consegnare chiavi e volante a Renzi (e lui infatti sta già lavorando per allargare il gruppo parlamentare di fedelissimi). La lotta è dura, la partita si gioca anche al Quirinale: se fallisse l'accordo su un "moderato" tra Bersani e Berlusconi potrebbe entrare in campo il rottamatore, forte del suo appoggio parlamentare (e dell'appoggio crescente nel partito). Potrebbe riuscire a trovare un nome spendibile e condiviso per il Colle (di fatto diventando il leader del Pd). La battaglia finale del rottamatore è iniziata. Lui lo sa, e tira dritto per la sua strada. Dopo le interviste, altre dichiarazioni: "Giorgio Napolitano è stato in questi sette anni un'assoluta certezza. Meno male che c'è stato. Dare la colpa della situazione al Capo dello Stato è una barzelletta. Ricorda quelli che quando vedono il traffico per la strada danno la colpa ai vigili". Altre badilate ai partiti, insomma. Poi Renzi continua a far schioccare le redini: "Fate presto. Le soluzioni tecniche, se si vuole, si trovano. Ma bisogna volerle e smettere di pensare ai destini dei leader politici". Un altro messaggio a Bersani. Un'altra pietra scagliata contro il segretario, sempre più debole, come dimostrano le grida di dolore dei fedelissimi.
Napolitano chiude: “Sul governo la parola ora spetta ai partiti”
Il manifesto di Barca: "Basta ipocrisie, il Pd è un partito di sinistra"
"Il desiderio è che si formi più rapidamente possibile un governo uscito dal voto espresso dal popolo. Il lavoro di questi giorni ho voluto accompagnarlo con una memoria politica che racconta cosa ho imparato: l'assoluta necessità di rafforzare i partiti, in particolare quello della sinistra". La sinistra e la crescita economica, i partiti e la riforma della "macchina dello Stato". Questi alcuni dei temi del 'manifesto' di Fabrizio Barca, illustrato questa mattina a Rainews24 nell'intervista al direttore Monica Maggioni.
Nuovo Pd
"Non è un altro partito, altrimenti non mi sarei iscritto al Pd ieri pomeriggio. Ma quel partito ha nelle mani buona parte delle sorti del nostro Paese, che ora ha bisogno di una radicale trasformazione della macchina pubblica, come è evidente: c'è bisogno di una pressione sociale canalizzata sotto forma di proposte da partiti. Senza partiti robusti non può esserci democrazia".
Il manifesto
"Ho cominciato a pensare questa cosa mentre ci innalzavamo in elicottero dal Sulcis. Ora dovremo capire se il documento che ho scritto può arricchirsi, interessa. La polarizzazione che si è creata, la situazione hanno impedito una discussione di ampio respiro: c'è una carenza di discussione sulla forma partito, da qui il mio contributo".
Finanziamento ai partiti
"Il finanziamento del partito deve dipendere dalle persone che fanno parte del partito e non dal finanziamento pubblico. Chi paga è il proprietario. Se alla fine il proprietario del partito è lo Stato, è inevitabile l'identificazione tra il partito e lo Stato. Le persone che fanno il partito lo devono anche possedere dal punto di vista finanziario".
Vizi e dimenticanze
"I partiti hanno finito per assecondare i vizi dei ceti medi urbani. E' uscito di scena il lavoro operaio: non è questione di fare un passo indietro, ma avanti. Il cuore dei movimenti deve tornare ad essere anche, non solo ma anche, il lavoro operaio. Nel nuovo partito queste voci devono tornare a parlare: non nelle grandi manifestazioni ma nei territori, nei luoghi di lavoro. Diversità è la parola fondamentale: l'Italia è un Paese policentrico. Il destino del Sulcis non si può decidere a Roma, ma con l'interazione con le persone del luogo, con le idee dei cittadini. Altrimenti si apre un solco fra cittadini e politica".
Libero: è un inguaribile comunista
"Mi sono convinto della forza del Pd in questo anno, non quando nacque, perché l'ho visto esistere nei territori. Se sento un contatto forte, di pancia, è con il territorio. Non si tratta di educare nessuno, di rifare un vecchio partito con qualcuno che dice'venite, vi insegno'. Si tratta di ricostruire a partire dal confronto sul territorio".
Orgoglioso di essere di sinistra
"Ho ragionato molto se dire quello che pensavo, ma non sopporto l'ipocrisia. L'Italia è l'unico Paese al mondo dove non ci si può dire di sinistra perché serve sempre la parola centro. Si parla di partito di centrosinistra per ipocrisia. I dogmatismi li ho superati: pretendere di sapere quale sia il mondo migliore, ad esempio. Willy Brandt negli anni '70 diceva che la cosa più di sinistra è il modo in cui arriviamo a capire cosa vogliamo: il processo, il confronto continuo, lo sperimentalismo democratico".
Principi inderogabili
"Usare la parola capitalismo: la usano negli USA, dove Zingales può dire che tra capitale e lavoro c'è una tensione. Questo crea un divario di poteri da riequilibrare, ad esempio con un forte sindacato".
L'incontro con Landini
"Voleva chiedermi se potevo partecipare a un convegno. Poi abbiamo parlato delle due tre cose che potrebbero rinvigorire il Paese".
Primarie
"E' un rimedio a una situazione che non va, ma generano l'illusione di democrazia chiedendo alle persone di poter sciegliere prima. Ma il confronto fra i candidati? E chi è eletto per 5 anni deve decidere chiuso e isolato? E' una visione lideristrica che lo sperimentalismo democratico in tutto il mondo sta corrodendo".
La Rete
"Per chi governa e per chi si aggrega è un luogo straordinario per capire e essere continuamente provocati. Quando però ho capito chi sono i miei mi devo confrontare con loro, discutendo sulel cose concrete incontrando persone sul territorio. Ci sono cose che non si capiscono da un tweet o da Facebook. Le capisco magari con una litigata di due ore. C'è un'illusione: l'avversione verso i partiti ha origine nella stessa nascita dei partiti come aggregazione di ineterssi di parte. L'illusione di creare in rete un luogo dove si uniscono dei puntini, delle anime... quei puntini se discutiamo con le persione si affaceranno nel partito".
Renzi e il timore si scissioni Pd
"E' contraddittorio con la mia idea il pensiero che possa esserci un 'partito B'. Mi auguro una discussione sul documento che ho pubblicato on line. E'un processo lento durante il quale si forma una squadra: la decisione la prensdono quelle persone, attraverso riunioni, incontri, litigate... Di Renzi condivido molte cose... Da ministro ho detto molte cose di merito: a Confindustria, ad esempio. Quando ci sarà un terreno di merito, lo affronteremo insieme".
Riforma Fornero
"con Ichino mi è capitato di trovarmi d'accordo ma anche no, sull'articolo 18. Ha ragione a mettere attenzione sulla riforma del mercato del lavoro, sui centri per l'impiego. Certo da Ichino ho molta distanza sulle sue idee di rapporto fra idee e capitale".
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