Tra una settimana, l’Italia potrebbe già avere il nuovo presidente della Repubblica, o comunque saranno all’opera i Grandi Elettori. Il mandato di Giorgio Napolitano scade il 15 maggio ma, non appena sarà stato nominato il suo successore, l’attuale capo dello Stato darà -salvo sorprese, così è sempre stato - quelle che si chiamano «dimissioni di cortesia», date per accelerare i tempi. E al suo successore lascerà «come consegna» e «come concreto testimone» l’istruttoria in materia di assetti istituzionali e riforme economiche che ieri gli hanno consegnato i dieci saggi, o per meglio dire «i facilitatori».
L’ultimo atto del marchingegno che ha retto la scena politica -parallelamente al governo Monti - nell’impossibilità di formare un nuovo esecutivo, è stato presentato e reso pubblico ieri. Con i documenti subito on line, e in diretta streaming - come ormai usa anche al Quirinale - Napolitano ha pronunciato una frase-chiave: la conclusione di quel lavoro è la conclusione del suo settennato, ma è anche « il contributo conclusivo al governo». Non ci sarà dunque alcun altro tentativo di formare un esecutivo di scopo, o del presidente: era largamente prevedibile e previsto, ma adesso è il capo dello Stato a dirlo.
In più, Napolitano torna ancora una volta sui rapporti politici. «Solo da scelte di collaborazione che spettano alle forze politiche può scaturire la formazione del nuovo governo di cui il Paese ha urgente bisogno», scandisce. Sembra una mera constatazione, o un rilancio delle «larghe intese», dopo la rievocazione del governo che nel 1976 nacque da un accordo tra Aldo Moro ed Enrico Berlinguer sul meccanismo della «non sfiducia» (che nell’oggi potrebbe riguardare più Berlusconi che Bersani). Ma non è così, o almeno non è solo questo. Il nuovo governo di cui l’Italia ha bisogno - spiega poi Napolitano parlando con i giornalisti - «non poteva nascere per impulso del presidente della Repubblica, ripercorrendo un sentire analogo a quello battuto con successo nel novembre del 2011». Altro non aggiunge, ma è evidente che nel quadro politico - anche a voler tralasciare il risultato di instabilità consegnato dalle elezioni - molte cose sono cambiate, a cominciare dalla scesa in campo di Mario Monti. Poi aggiunge che «la parola e le decisioni toccano alle forze politiche, e sarà il mio successore a trarne le conclusioni».
Quanto al lascito dei facilitatori, esso è chiarissimo. Sul fronte economico, «si tratta di un programma di governo, nelle linee di fondo è difficile immaginarne uno diverso», come dice Giampaolo Galli , l’ex Banca d’Italia e Confindustria oggi in forze al Pd. Quanto all’esito del lavoro degli altri quattro saggi, al centro c’è la legge elettorale. Sulla quale ieri è intervenuto il neo-presidente della Consulta, nell’annuale relazione annuale della Corte Costituzionale alla presenza di Napolitano. Franco Gallo ha notato che nel Porcellum c’è un «profilo di incostituzionalità», raccomandando al Parlamento di legiferare: è quel che era mancato (come ha notato anche nel suo ultimo saggio il costituzionalista Michele Ainis) quando la Corte ha rigettato i referendum che si proponevano di cancellare la legge elettorale (la motivazione fu che non si poteva lasciare un vuoto legislativo).
Napolitano ieri è tornato a ripetere che «non si è perso tempo». Ovviamente non in risposta diretta a Matteo Renzi, che ha riacceso il refrain, «Napolitano grande presidente, ma si è perso tempo». No, non sono stati sinora 46 giorni di vuoto politico, «bisogna partire non dal 24 febbraio ma dal 19 di marzo», e cioè non dalla data delle elezioni, ma da quella dell’insediamento delle Camere, atto dal quale parte tutta la procedura per il rinnovo delle alte cariche, presidenti di Camera e Senato, presidenza del Consiglio (obiettivo mancato, ma su cui ci si è impegnati a fondo) e presidente della Repubblica: perché poi, l’eccezionalità di questo caso, è il rinnovo totale di tutte le cariche, come non capita di frequente. E comunque, «io non ho perso nemmeno un giorno»: e due cicli di consultazioni presidenziali, «tenuti senza perdere nemmeno un giorno dopo l’insediamento delle Camere», resteranno agli atti. Anche quella, un’istruttoria di cui si avvarrà il suo successore.
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