L'eclissi di Giorgio Napolitano, se c'è stata, è durata sette giorni. Il tempo che si è preso Pier Luigi Bersani per far nascere un governo che - date le condizioni poste dal presidente della Repubblica - era impossibile nascesse. Il tentativo di Bersani ha dato un «esito non risolutivo». Lo si era capito martedì dopo il colloquio con il Pdl e poi mercoledì in diretta streaming con i grillini. Un teso confronto ieri al Quirinale lo ha certificato. Ora il regista della crisi è direttamente - anzi «personalmente» - Napolitano. Bersani si è fatto da parte senza essere messo da parte. Non ha rinunciato, fanno notare i suoi, ma solo perché non aveva più nulla cui rinunciare. Il pre-incarico per «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo» si è esaurito. E non positivamente.
Adesso il presidente si riprende la scena. Dimostrando ancora una volta quale forma semi-presidenziale stia lentamente assumendo la Repubblica, nel precipizio della crisi. Il desiderio del presidente del Consiglio pre-incaricato di misurarsi con il parlamento non è bastato. Il capo dello stato, a venti giorni dall'inizio delle votazioni per la scelta del suo successore, farà lui. «Si è riservato di prendere senza indugio iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico istituzionale», recita il comunicato. Proverà cioè a costruire una maggioranza, a dare un governo al paese. In prima battuta tenterà di rimuovere quelle «preclusioni o condizioni» che Bersani ha ritenuto «non accettabili». Fuori dal linguaggio ingessato dei comunicati, sono due i nodi politici che Napolitano dovrà provare a sciogliere. E tutto lascia pensare che abbia già cominciato a farlo ieri sera al telefono, e forse non solo. Il confronto di un'ora con Bersani, dal quale il segretario Pd è uscito evidentemente provato, probabilmente ha avuto una coda immediata. Tant'è che Napolitano non si è presentato davanti ai giornalisti lasciando parlare il segretario generale del Quirinale, Donato Marra. E Bersani invece di uscire dalla solita porta, a sinistra del palchetto per le dichiarazioni alla stampa, è tornato indietro nello studio del presidente. Di nuovo nei panni di segretario del Pd.
Posto che naturalmente nessun governo potrà essere fatto senza la partecipazione del partito democratico e dei suoi quattrocento e passa parlamentari, il primo nodo che affronterà il presidente della Repubblica riguarda il rapporto tra il Pd e il Pdl. il partito di Berlusconi, non a caso, sarà il primo ad essere ricevuto nelle consultazioni lampo che inizieranno questa mattina alle 11. Qui la «condizione» da superare si chiama Quirinale. Il centrodestra vuole poter scegliere il successore di Napolitano. È disposto a indicare una rosa, piuttosto che un nome secco, ma naturalmente ha in mente tutti candidati che al Pd non piacciono. Tranne uno, che probabilmente non fa più impazzire i democratici, ma al quale non possono dire di no. Lo stesso Napolitano.
Per sciogliere questo primo nodo, cioè, il presidente della Repubblica dovrebbe riuscire a far partire un governo a guida Pd «non ostacolato» dal Pdl. Sulla base di un accordo generale che riguarda anche il nuovo inquilino del Quirinale. Per favorire e suggellare questa intesa il capo dello stato potrebbe essere costretto a offrire la sua ricandidatura, cosa che continua a ripetere di non essere disposto a fare. Oppure potrebbe dimettersi con qualche giorno di anticipo, così da far coincidere i due passaggi al centro del patto: il varo del governo e l'elezione del presidente della Repubblica. In questo caso, e solo in questo, sarebbe persino possibile che l'incarico di formare il nuovo governo torni a Bersani, questa volta nella forma di un mandato pieno e immediato a formare un governo. Che conserverebbe, però, l'impronta profonda di Napolitano.
Se invece il presidente della Repubblica non dovesse riuscire in questa manovra da «facilitatore» del mandato di Bersani, un'inedito assoluto per la nostra prassi costituzionale, diventerebbe importante il secondo colloquio in programma domani, quello con il Movimento 5 Stelle. Qui la «preclusione» è nota, ed è proprio Bersani. Napolitano dovrebbe però verificare se tolto il segretario dal tavolo, i grillini sarebbero disponibili a dare la fiducia a un altro premier di un governo centrosinistra-5 Stelle. Non è impossibile ma è difficile. E soprattutto non è la prima scelta del Colle.
E allora tutto sarebbe rimandato all'ultima consultazione, quella che Bersani avrà con il Pd. Cercherà infine di ottenere il via libera a un governo di larghe intese, un governo più che mai «del presidente». Quello che Bersani non ha mai voluto accettare, fino a ieri sera. Ma stasera, se tutte le altre strade dovessero rimanere sbarrate, Napolitano per risolvere lo stallo dovrà incidere profondamente nella carne del Pd. Nello studio alla Vetrata sarà quasi un anticipo di congresso democratico. Da quella porta usciranno con un altro governissimo o con la corsa al voto. La stessa alternativa che Napolitano vedeva già sette giorni fa. Escludendo il voto.
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