Due esplosioni, alle 14,50 locali (le 20,50 in Italia) e a distanza di venti secondi l'una dall'altra, al traguardo della maratona di Boston. Almeno tre i morti accertati, tra i quali un bambino di otto anni. Oltre 130 i feriti, alcuni in modo grave. Molte persone sono state trasferite negli ospedali, fonti ospedaliere parlano di numerose amputazioni. Moltissimi dei feriti sono arrivati in ospedale con ancora la pettorina della gara indosso. Secondo fonti della polizia riportate dai media Usa si è trattatato di due bombe, e altri due ordigni sono stati trovati in città e disinnescati. Lo spazio aereo su Boston è stato chiuso dalle autorità. "Apparentemente c'è stato un attentato", ha detto il vicepresidente Usa Joe Biden.
Anche a New York e a Washington è scattata la massima allerta. Rafforzamento delle misure di sicurezza, col dispiegamento di pattuglia anti terrorismo nei luoghi simbolo di Manhattan e davanti ai principali alberghi. Cordonata l'area della Casa Bianca. Barack Obama ha parlato alla nazione quando ancora non si conoscono i dettagli: "Non sappiamo ancora molto ma sappiamo che chiunque sia stato pagherà".
Il presidente non ha parlato di "terrorismo" ma di individui o gruppi responsabili che saranno perseguiti. Non ha poi escluso la possibilità di "salvaguardare" l'intero territorio degli Stati Uniti se si rendesse necessario. Il presidente rimane in contatto con le autorità locali per seguire l'evolversi della situazione e fornire tutta l'assistenza di cui la città di Boston avrà bisogno, sia per le indagini che per gli aiuti.
A Boston, Liz Norden, una madre di cinque figli, ha visto due dei suoi ragazzi coinvolti nell'attentato alla maratona. I due fratelli erano andati a vedere la corsa di un amico: sono stati investiti dall'esplosione ed entrambi, portati in due diversi
ospedali della città, hanno subito l'amputazione di una gamba, dal ginocchio in giù.
Purtroppo ci sono molti bambini tra i feriti dell'attentato alla maratona di Boston, dove è morta una ragazzina di 8 anni: l'ospedale pediatrico della
città, il Children's Hospital, ha accolto un'ondata di piccoli pazienti.
Uno è un bambino di 2 anni con una ferita alla testa, ricoverato in terapia intensiva. Un'altra una ragazza di 9 anni che ha subito un trauma alla gamba cosi' pesante da
trascorrere ore in camera operatoria. In tutto 9 i bambini ricoverati: tra gli altri un adolescente di 14 anni; una ragazzina di 10, un'altra con un femore rotto, un bimbo di 7 anni con una ferita alla gamba. Tutti gli ospedali di Boston sono in allerta e hanno richiamato in servizio decine di medici di pronto soccorso.
Negli Stati Uniti è massima allerta dopo l'attentato alla maratona di Boston. "Americani siate vigili", è stato l'appello lanciato nella notte dal ministro della Sicurezza Interna, Janet Napolitano, mentre sono state rafforzate le misure di
sicurezza anche a New York, Washington, San Francisco, Los Angeles, Denver e Seattle. Pattuglie antiterrorismo sono state dispiegate nei luoghi simbolo di Manhattan e davanti ai principali alberghi della Grande Mela mentre è stata cordonata l'area intorno alla Casa Bianca. Boston oggi resterà presidiata dalla polizia, ha annunciato il governatore del Massachussetts, Deval Patrick, mentre proseguono indagini e i controlli a tappeto per trovare i responsabili.Nessun ferito tra i circa 60 maratoneti partiti dalla Toscana per la Maratona di Boston col gruppo organizzato dal fiorentino training Consultant Fulvio Massini. Ma alcuni di loro erano vicino al luogo dell’esplosione che ha provocato alcuni morti (il bilancio provvisorio era di 3, a tarda notte) e una ventina di feriti. Uno di loro, Paolo Rossi, di Pescia, ha visto e sentito l’esplosione, non l’ha fortunatamente colpito. «Ero sul traguardo, quando è scoppiato il primo ordigno — racconta — Era una festa bellissima, a cento metri dal traguardo. Mia figlia era in tribuna: ha saltato la transenna per fare gli ultimi 200 metri con me, eravamo abbracciati». Un momento bellissimo, poi la tragedia: «A cento metri, dal traguardo, questa esplosione. C’era gente per terra ferita, ci siamo voltati, è arrivata la seconda esplosione. C’è stato il panico, un macello».
Via, lontano dall’esplosione: «Avevo anche mia moglie in tribuna — continua a raccontare Rossi — quando l’abbiamo trovata, ci siamo allontanati per strade laterali, per uscire dalla zona della Final Line (il traguardo ndr). Siamo tornati verso l’albergo, ci hanno fermato due o tre volte, poi ci hanno deviato in strade secondarie. C’era gente ferita, tantissimi poliziotti, pompieri: un caos totale. Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia. Sono passato dalla felicità totale al terrore in cinque secondi». «Tutti stanno bene» spiega Roberta, una dello organizzatrici. Perlomeno, quelli del gruppo toscano; da Firenze sono partiti anche alcuni della Canottieri di Ponte Vecchio. Sono le prime informazioni che arrivano dagli Usa: ma dopo alcune conversazioni telefoniche, diventa quasi impossibile parlare con loro, mentre arriva la notizia della terza esplosione, alla biblioteca Jfk, ad un’ora dalle precedenti. Roberta e Paolo Rossi sono in albergo. Massini ha invece passato tutto il tempo in strada.
«È successo un attentato. No, nessun corridore è morto. Sì, ci sono feriti, non italiani. Andate in albergo, con calma» è il refrain che si sente dall’altro capo del telefono. Perché lui aveva già finito la Maratona, quando ha scoperto dell’attentato dalla tv. «Ero già arrivato in albergo quando c’è stata l’esplosione» spiega. Ha capito subito che c’era bisogno di lui: ha rimesso le scarpette ed è ripiombato in strada. Per accertarsi che non ci fossero feriti, tra le persone che viaggiavano (e correvano) con il suo gruppo. Ma anche per «recuperare» i tanti che si sono trovati in una situazione di follia. «La gara è stata interrotta ad un miglio dall’arrivo, dopo le bombe, per cui tutti si sono sparpagliati lungo le strade limitrofe» spiega Massini mentre continua a interrompere la conversazione per dare spiegazioni, confortare. Si sentono le conversazioni con altri italiani, ma soprattutto si percepisce il tono della paura con cui le persone gli si rivolgono: «Fulvio, ma che è successo?» dice una donna con la voce tremante. «Vai in albergo, è stato un attentato. Non ci sono morti tra i corridori» li rassicura Fulvio. È una rassicurazione per non aumentare l’ansia, perché è una verità parziale: di morti ce ne sono stati, pare, almeno 3 (così battevano la agenzie da Boston ieri sera), ma tra la folla. Tra i corridori ci sono feriti: ieri sera non risultavano italiani.
C'erano anche un versiliese e due garfagnini fra gli atleti che hanno preso parte alla maratona di Boston. Il versiliese Paolo Moriconi, 47 anni, abitante a Camaiore, pettorina di gara numero 26398 e tesserato per la società degli Atleti Amatori Rione Marignana. Secondo le notizie trapelate, Moriconi sta comunque bene, anche se comprensibilmente sotto shock per quanto accaduto, e si è già messo in contatto con i propri familiari per rassicurarli sulle proprie condizioni fisiche. Oltre a lui, avevano preso parte alla gara anche una coppia, marito e moglie, del Gruppo sportivo Orecchiella: l'imprenditore garfagnino di Pieve Fosciana Guido Fornari e la consorte Gabriella Bechelli: anche loro, sia pure spaventati, stanno bene. I toscani iscritti alla maratona erano in tutto una ventina.
La paura, riflesso incondizionato dell’America dall’11 settembre 2001, scatta subito. Prende la forma delle squadre antiterrorismo mobilitate a New York per presidiare i potenziali obiettivi terroristici.
La Casa Bianca in stato di allerta, le forze di sicurezza schierate lungo Pennsylvania Avenue. La gente evita i trasporti pubblici, chiama gli amici, cerca di capire se l’incubo si sta ripetendo.
La risposta è abbastanza rapida. Il primo che parla di bomba è il vice presidente Biden: dice di non sapere chi sia responsabile, ma non lascia dubbi sul fatto che l’America è ancora sotto attacco. Al Qaeda, il terrorismo islamico, sono i primi pensieri che vengono in mente. Ma qualcuno ricorda anche l’esplosione alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, e peggio ancora quella di Oklahoma City l’anno prima, quando la follia cresciuta in casa fece strage.
Nel momento in cui le tv annunciano la «breaking news», la speranza è che sia stato un incidente: un problema elettrico, un tubo del gas, una bombola. Ma il panico si diffonde in fretta a Boston, intorno alla scena delle esplosioni: i testimoni, le persone che hanno visto da vicino gli scoppi, non hanno dubbi. Due botti, a poca distanza uno dall’altro. Chi non è stato ferito scappa, temendo che stia arrivando altro. Su scala diversa, ma come l’11 settembre del 2001, quando l’America capì in fretta di essere sotto attacco e non sapeva dove potesse arrivare il prossimo colpo.
La prima a reagire è New York, che dall’epoca degli assalti suicidi di al Qaeda opera al livello di allarme «arancio»: alto rischio di attacchi terroristici. Il sindaco Bloomberg e il capo della polizia Kelly mobilitano subito mille poliziotti antiterrorismo: li schierano negli alberghi, davanti ai monumenti, negli snodi del traffico. Il governatore Andrew Cuomo mobilita la Guardia nazionale. New York è abituata a vivere così da oltre dieci anni. «If you see something, say something», dicono ancora i manifesti nella metropolitana: se vedi qualcosa, dì qualcosa, dai l’allarme. Anche Wall Street reagisce, amplificando le perdite della giornata.
Washington segue a ruota. La Casa Bianca torna ad essere un bunker, per fronteggiare l’emergenza. La polizia sgombera le strade davanti alla residenza del presidente Obama e ferma il traffico su Pennsylavania Avenue. La Federal Aviation Authority ordina il blocco dei voli verso Boston, la memoria torna in fretta alla paralisi degli aeroporti dopo l’11 settembre.
La paura rischia di trasformarsi in panico, quando la polizia di Boston parla ai giornalisti: «Oltre alle due bombe alla maratona, una terza è scoppiata alla Library del presidente Kennedy. State a casa, se siete in albergo non uscite. L’attacco è ancora in corso». Le bombe sono piccole: segno che non è al Qaeda? Fronte interno? Qualunque sia la matrice, l’incubo è tornato.
Boston, una corsa tra bombe e follia
Inizia una nuova corsa, tra bombe e follia.
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Questo blog nasce proprio nell'intento di condividere opinioni, idee, esperienze, progetti, filosofie, culture, modelli di sviluppo alternativi e/o complementari che per la prima volta, forse, ci permettano di sentirci un POPOLO unito che ha la consapevolezza, la forza e la capacità di scegliere il proprio futuro per sè e per le generazioni a venire. Un popolo che urla la propria indignazione verso quella classe politica cinica ed autoreferenziale che interpretando la politica come mezzo ad uso esclusivo proprio e dei propri affini a vantaggio personale e clientelare ha spezzato la catena di congiunzione con l'elettorato attivo, non fornendo risposte, non risolvendo problemi. Non resta che rimboccarci le maniche, fare politica attiva, dare il proprio contributo! ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può fare grande l'italia! Che ognuno di noi possa interpretare nel proprio quotidiano, con il proorio lavoro, le proprie aspirazioni, i propri sogni il CAMBIAMENTO che vorremmo vedere nella nostra bella ITALIA!
La più grande difficoltà sta nell'interpretare la politica come un mezzo al servizio della collettività, della giustizia sociale, uno strumento utile a migliorare la qualità della vita di tutti noi. gli anni trascorsi dal '94 ad oggi hanno segnato le menti, le coscienze ed i cuori, riempendoli di scontri verbali, contrapposizioni ideologiche, dietrologie politiche, lotte di classe. Tutto ciò fa gioco alla oligarchia classista avida di potere che detiene non soltanto il potere politco, ma soprattutto, il potere economico e finaziario di questo paese. In realtà "gli affari" vengono fatti con l'accordo di tutti trasversalmente ad ogni "finta ideologia" politica. La politica degli opposti schieramenti, delle tifoserie selvagge, della contrapposizione liberista-comunista è nella realtà odierna una assurda amenità anacronistica utile soltanto al conservatorismo liberista finto riformista che così continua a tenere sotto scacco le capacità imprenditoriali, i talenti intellettuali, la voglia di "cambiamento" di questo paese. Facciamo che queste eccellenze non rimangano inespresse: lottiamo "insieme" senza inutili contrapposizioni ideologiche. Una cosa ci accomuna tutti: l'amore per il nostro paese. lottiamo insieme per costruire un futuro migliore per tutti!
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