Il Parlamento deve rappresentare i diversi interessi e punti di vista che esistono nella cittadinanza. Per poterlo fare in modo adeguato non può essere troppo piccolo. E perciò dimezzare il numero dei parlamentari italiani sarebbe eccessivo. Per ridurre le spese, meglio tagliare i loro stipendi.
PARLAMENTARI E RAPPRESENTANZA
“Dimezzare il numero dei parlamentari”. Da Pier Luigi Bersani a Silvio Berlusconi, da Mario Monti a Confindustria, tutti sembrano essere d’accordo: bisogna ridurre i costi della politica, tagliare gli sprechi, mostrare che la politica è partecipe dei sacrifici richiesti al paese: dunque “dimezzare ilnumero dei parlamentari”. Ma perché dimezzare? Perché non ridurre a un quarto, un terzo, o qualsiai altro numero? Si tratta probabilmente solo di uno slogan, un po’ come il famoso “milione di posti di lavoro”. Sono numeri semplici e un po’ a casaccio, che si ricordano facilmente, marketing o poco più. È comprensibile, e in un certo senso positivo, che si voglia mandare un segnale forte di discontinuità con una politica che non ha dato il meglio di sé negli ultimi anni. Ma i cambiamenti di policy, e ancora di più quelli istituzionali, andrebbero discussi e fatti con più serietà.
Prima di cambiare il numero dei parlamentari bisognerebbe innanzitutto porsi il problema dellarappresentanza. Prima considerazione: il parlamento deve rappresentare al meglio i diversi interessi e punti di vista che esistono nella cittadinanza e per poterlo fare in modo adeguato non può essere troppo piccolo. Un confronto internazionale dovrebbe chiarire il punto. Il grafico di sotto mostra il numero totale di parlamentari (ossia Camera e, dove esiste, Senato) per alcuni paesi Ocse, più o meno comparabili al nostro quanto a grado di sviluppo economico e politico.
In questa graduatoria l’Italia è seconda solo al Regno Unito e molto vicina alla Francia. Troppi parlamentari? Il grafico successivo mostra il numero di cittadini per parlamentare: ci dà un’idea più precisa dei costi che ciascun cittadino deve sostenere per mantenere in piedi il parlamento, nonché del numero di cittadini rappresentato, in media, da ciascun parlamentare. In Italia, ad esempio, ciascun parlamentare rappresenta in media circa 63mila cittadini. Dal secondo grafico emerge che i paesi più grandi hanno un numero di cittadini per parlamentare sistematicamente più elevato.
Pattern confermato molto chiaramente dal grafico successivo che mostra la relazione fra la popolazione di un paese e il numero di cittadini rappresentati in media da ciascun parlamentare (l’Italia si trova all’interno del pallino rosso con Francia e Regno Unito). La maggioranza dei paesi non si discosta di molto da una ipotetica linea a 45 gradi: al crescere della popolazione cresce proporzionalmente il numero di cittadini rappresentati da ciascun parlamentare. Posto in altri termini, i paesi più piccoli hanno, in proporzione, parlamenti più grandi. Il Belgio ha una popolazione circa otto volte inferiore a quello della Germania, ma il suo parlamento non è otto volte più piccolo, dunque (ignorando le differenze di salario) i cittadini belgi spendono di più, pro-capite, per mantenere i loro parlamentari. I confronti che spesso vengono fatti con gli Stati Uniti, con una popolazione circa cinque volte maggiore di quella italiana, possono dunque essere fuorvianti. Dovremmo piuttosto confrontarci con paesi quali la Francia o il Regno Unito. Quello che emerge è che il nostro parlamento, almeno a giudicare dal confronto con paesi comparabili, è probabilmente sovradimensionato (si colloca al di sotto della ipotetica retta a 45 gradi) ma che un dimezzamento non è giustificato. Una riduzione a650 parlamentari in totale porterebbe l’Italia più o meno in linea con gli altri paesi qui considerati.
IL COSTO DEI PARLAMENTARI
Il grafico successivo mostra, per un sottoinsieme di paesi, il costo per cittadino (ossia il monte salari diviso per il numero dei cittadini): è abbastanza evidente che i paesi più piccoli si sobbarcano in media costi maggiori.
Dunque, i parlamenti hanno grandezze comparabili in tutti paesi e il criterio che determina la loro dimensione non è il costo pro-capite. Perché? Per due motivi soprattutto. Il primo è che per rappresentare in modo adeguato la cittadinanza non si possono avere parlamenti troppo piccoli. Chi insiste, giustamente, sul fatto che in parlamento debbano entrare categorie sottorappresentate (ad esempio le donne), non può anche chiedere di dimezzare il numero dei parlamentari senza porsi il problema di chi avrà accesso a un parlamento dimezzato. È possibile che il costo di minore rappresentanza possa essere più alto per la società del costo dello stipendio dei parlamentari? Non solo credo che sia possibile, ma anche altamente probabile.
Il secondo motivo è organizzativo: anche i parlamenti si fondano su specializzazione e divisione del lavoro e le commissioni parlamentari istituzionalizzano proprio questa necessità. Non si può voler dimezzare il numero dei parlamentari e pensare che la qualità nello scrutinio delle leggi non ne risenta. Infine, come si evince dai grafici, l’Italia è sicuramente sovradimensionata nei confronti internazionali, ma è tutto sommato in buona compagnia: non c’è dunque nessuna anomalia italiana quanto a numero di parlamentari. Non tale, quantomeno, da giustificare un dimezzamento.
Se si vogliono ridurre le spese, meglio allora sarebbe ridurre gli stipendi anziché il numero dei parlamentari. Come ampiamente dimostrato da più parti, la vera anomalia italiana è l’entità degli stipendi dei parlamentari, non la dimensione del parlamento.
L’ultimo grafico mostra per l’appunto il rapporto fra il salario di un parlamentare e il reddito pro-capite del paese: non credo occorrano molti commenti. Vero è che una riduzione di stipendio potrebbe, in via di principio, comportare problemi di selezione, ossia le persone più preparate, che guadagnano abbastanza al di fuori della politica, potrebbero non trovare conveniente candidarsi. Ma bisognerebbe allora chiedersi se paesi come la Francia o il Regno Unito, con salari dei parlamentari molto più bassi di quelli italiani, abbiano anche una classe dirigente politica che sfigura in confronto alla nostra. Francamente mi pare di no e il motivo, credo, sia da ricercare nella motivazione non strettamente economica che ancora spinge tante persone a occuparsi di politica. Il problema è allora piuttosto quello di rimuovere le barriere all’entrata, di cui il salario non mi sembra la componente più importante. Certo i danni fatti dal Porcellum e dall’assenza di competizione elettorale sono notevoli. Comprensibile, dunque, il bisogno non solo di dimezzare, ma di eliminare totalmente un certo tipo di politici dalle istituzioni. Ma bisogna stare attenti a non buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Dimezzare il Parlamento? No, meglio gli stipendi
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