La Grecia è in bilico tra la povertà, a cui la condannerebbero i nuovi tagli della troika, e la paura di quella che sarebbe la prima bancarotta di un paese sviluppato dopo quella della Germania del 1948. Il dramma che si consuma ad Atene potrebbe subire una svolta già oggi, con i sindacati che hanno chiamato in piazza i lavoratori per bloccare il secondo Memorandum mentre il governo Papademos preme sulla sua maggioranza per avere subito l'ok agli ultimi provvedimenti di macelleria sociale messi a punto da Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione Ue.
Come nella primavera del 2010, quando in cambio di un prestito da 110 miliardi di euro l'esecutivo del socialista Pasok aveva sottoscritto un Memorandum a base di sforbiciate alla spesa pubblica, tasse e riduzioni salariali, nelle ultime ore la troika ha reso note le misure che vuole vedere messe nero su bianco prima di concedere un altro prestito, di almeno 130 miliardi: tagli alle retribuzioni minime (750 euro lordi) e alle pensioni. I tre organismi che da un paio d'anni hanno commissariato le finanze greche esigono inoltre la cancellazione di tredicesime e quattordicesime e il licenziamento, entro il 2015, di decine di migliaia di dipendenti statali.
Con un altro nodo ancora da sciogliere - la ristrutturazione del debito coi creditori privati - si avvicina la scadenza del 20 marzo quando, senza aver ottenuto il nuovo prestito, lo Stato non potrebbe che dichiarare fallimento, non avendo come restituire 14,5 miliardi di buoni del tesoro in scadenza.
Ieri Angela Merkel ha ipotizzato l'uscita di Atene dall'area euro: «Vogliamo che la Grecia rimanga nell'euro, ma dico anche che non potrà esserci nessun nuovo programma (prestito, ndr) per la Grecia se non si raggiunge un accordo con la troika» ha detto la cancelliera tedesca in conferenza stampa assieme al presidente francese Nicolas Sarkozy.
Una «medicina letale» capace di scatenare una «esplosione sociale». Così il capo della chiesa ortodossa ha definito le riforme strutturali della troika. In una lettera spedita la settimana scorsa al premier Lucas Papademos, l'arcivescovo Ieronymos ha dato voce a un sentimento diffuso nelle strade di Atene: «I senzatetto (aumentati del 25% negli ultimi due anni, ndr) e perfino la fame - che avevamo sperimentato durante la Seconda guerra mondiale - hanno raggiunto livelli da incubo: la pazienza dei greci sta finendo, lasciando spazio a un senso di rabbia: il pericolo di un'esplosione sociale non può essere più ignorato» ha avvertito il leader religioso.
Intanto le privatizzazioni (beni pubblici del valore di 50 miliardi da svendere ai privati entro il 2017, secondo quanto previsto dal Memorandum) procedono a rilento: gli investitori temono la svalutazione di questi asset in caso di uscita di Atene dall'euro. Dopo Debtocracy, Aris Chatzistefanou e Katerina Kitidi stanno girando un nuovo film, proprio sulle privatizzazioni: Catastroika. «Seguendo l'esempio di altri paesi come Russia e Cile, vogliamo spiegare che le privatizzazioni di massa sono incompatibili con la democrazia - racconta Chatzistefanou -. Nello stesso tempo intendiamo mostrare il loro fallimento in paesi sviluppati come Gran bretagna, Stati uniti, Germania». Il documentario dei due reporter sarà finanziato con donazioni via internet e prodotto (in licenza creative commons) col contributo di intellettuali come Ken Loach o Naomi Klein.
Il rappresentante del Fmi Thomsen, in una recente intervista al quotidiano Kathimerini, ha ribadito bellamente il ricatto della troika: in cambio del prestito «ci deve essere garantito che chiunque sia al potere dopo le elezioni si atterrà agli obiettivi e ai principi di base dell'accordo» (il nuovo Memorandum, ndr).
Gli ultimi sondaggi - l'esecutivo Pasok-Nuova democrazia-Laos è «a termine», e dovrebbe dimettersi dopo aver ottenuto il secondo prestito - prevedono un terremoto politico: 12,5% per i comunisti del Kke, 12% per la coalizione di sinistra Syriza e 12% per la nuova formazione di Sinistra democratica. Crollo dei socialisti (15%) e vittoria dei conservatori di Nuova democrazia (30,5%). «Il Pasok aveva promesso che dopo il primo Memorandum le misure di austerità sarebbero finite, per questo ora l'elettorato gli volta le spalle - spiega Pavlos Klavdianos, direttore del settimanale Epohi -. I movimenti degli ultimi anni, in particolare quello unitario degli indignati di piazza Syntagma hanno avuto una certa continuità che si riflette in queste previsioni di voto».
Malgrado le differenze di strategia (il Kke è contro l'euro e l'Unione europea, Sinistra democratica è contro il Memorandum ma si lascia aperto lo spazio per una futura collaborazione col Pasok, in Syriza la tradizionale area pro Europa si scontra con un nuovo sentimento anti-Ue) Klavdianos è convinto che l'unità della sinistra attorno alla parola d'ordine «non pagare il debito» sia una necessità, «nel momento in cui la società subisce un attacco che rischia di metterla in ginocchio per i prossimi decenni».


L'uscita seppur controllata dall'euro con conseguente ritorno alla Dracma sarebbe comunque drammatico. L'euro o la dracma? Il dilemma attanaglia la stampa greca, mentre il governo prosegue nel negoziato con Ue e Fmi per un nuovo piano di salvataggio.

"Alle prese con la sfida più difficile per il paese dalla caduta della dittatura dei colonnelli nel 1974, dobbiamo scegliere tra prendere tutti i provvedimenti necessari per restare nell'eurozona o scivolare in un fallimento incontrollato e tornare di fatto alla dracma", scrive To Vima. Il quotidiano attacca i partiti politici, accusati di favorire l'instabilità. Secondo To Vima Pasok (socialisti), Laos (estrema destra) e Nuova democrazia (destra) "sostengono il governo e nel frattempo portano avanti una politica d'opposizione".

To Ethos sottolinea che "il dilemma 'euro o dracma' coinvolge tutti, anche i partiti di sinistra che hanno un'opinione diversa [dagli altri]. Ma la scelta nasconde un'amara realtà: i provvedimenti, i piani di salvataggio imposti negli ultimi due anni dall'Ue e dal governo greco in nome della salvezza dell'euro e tutti i sacrifici che abbiamo fatto per il bene del paese ci hanno riavvicinato alla dracma". Secondo il quotidiano "la maggioranza dei greci non vuole la dracma, ma in molti non si sentono più coinvolti dal dibattito".

In ogni caso, scrive protagon.gr, "il ritorno alla dracma impoverirebbe il 90 per cento della popolazione. Dunque volenti o nolenti dobbiamo fare di tutto per restare nel club dell'euro e per non diventare il vicino povero della 'Grande Turchia'. Dovremo lavorare parecchio e fare grandi sacrifici. Ma la scelta spetta a noi".





In realtà la scelta è stata imposta dalla troika, dalla Merkel, dall'UE, dal FMI. Ed oggi la Grecia brucia. Il popolo non ci sta. Certo è In gioco la sopravvivenza economica del paese, la permanenza nell’eurozona e il destino di dieci milioni di cittadini greci perché la loro vita in ogni caso cambierà radicalmente.

Tafferugli e molotov, mentre nella Voulì (la Camera) si svolge una discussione fiume sulle misure anticrisi. I due partiti di governo, i conservatori di Nea Democratia e i socialisti del Pasok hanno detto sì al piano dell’Ue, ma si registrano altre defezioni dopo i tre ministri che si sono sfilati ieri. L’appello alla piazza è stato lanciato dai due più grandi sindacati del paese, Gsee e Adedy, intenzionati a richiedere di respingere le condizioni della troika. Tremila agenti in assetto anti-sommossa per tenere a freno i centomila manifestanti al momento in platia Syntagma, centro sociale e politico di Atene, trasformata in teatro di guerriglia urbana.

Tra i presenti anche il noto compositore Mikis Thedorakis, autore delle musiche di Zorba il greco. Alcune fonti locali riportano che proprio mentre si accingeva a parlare alla folla, la polizia ha lanciato lacrimogeni e una portavoce del musicista ha denunciato che gli agenti hanno sparato i candelotti direttamente verso la gente che si era riunita intorno a Thedorakis.

Dentro il parlamento intanto si decide in vista della seconda tranche di aiuti per superare la crisi. Il ministro delle finanze Evangelos Venizelos ha detto che il paese vorrebbe lanciare entro il 17 febbraio l'offerta pubblica ai suoi creditori privati per la ristrutturazione del debito. L’obiettivo è impedire il fallimento. In un messaggio drammatico alla nazione, il premier Loukas Papademos ha detto «Siamo al punto zero, senza il piano sarà il disastro».

Al momento ci sono 50 feriti di cui 40 agenti, 22 arresti, una decina di edifici della capitale in fiamme lungo le gradi arterie centrali Stadiu e Aeolu. Anche la biblioteca universitaria (non confermato ufficialmente), due cinema, le filiali di due banche e almeno un caffe Starbucks.

La Grecia non è così lontana, non pensiamoci estranei, lontani, salvi. I mandanti (im)morali della Troika e gli esecutori materiali del governo greco chiamano con parole lecite quali austerità e sacrifici misure che determinano la distruzione dello stato sociale e la svendita del pubblico al privato. Non ci sono differenze con le misure imposte dal governo Monti, solo che il popolo italiano ha meglio compreso (o non compreso affatto) la drammaticità e la criticità delle contingenze economiche attuali. Al contempo i veri responsabili, coloro i quali dovrebbero pagare il prezzo della crisi da loro stessi generata ed alimentata non vengono chiamati a pagare il prezzo dovuto.


Perché ormai è chiaro che le banche hanno una buona parte di responsabilità nella crisi mondiale, avendola fomentata con una manovra di strozzinaggio in due tempi: dapprima, finanziando e comprando una larga parte dei debiti sovrani degli stati, e poi, minacciando di chiederne la restituzione. Gli uomini delle banche al governo, in Grecia come in Italia, ci spiegano che dobbiamo piegarci al ricatto, pagando il riscatto della svendita dello stato. I dimostranti di Atene dimostrano, appunto, che si può dire no agli strozzini, anche quando ti puntano la pistola alla tempia, e sono pronti a premere il grilletto.