“Ho perso tutto, ho fatto dieci mesi di allenamenti e la condizione era fantastica. Tre settimane di doping mi hanno distrutto. Ho fatto la mia ultima iniezione il 29 luglio. Gli ultimi anni sono stati difficili. Posso dire che ho vinto a Pechino senza doping”. Parole (e lacrime) di Alex Schwazer, trovato positivo all’Epo, al Tg1. “E’ sempre stato difficile essere il fidanzato di… Mi sono informato il piu’ possibile, ho fatto tutto da solo. Mi sono informato tramite internet. Nonfaccio nomi. Bisogna pensare quando una donna nel nuoto va piu’ forte di un uomo”, ha concluso il marciatore altoatesino che domani alle ore 12 terrà una conferenza stampa a Bolzano (Sheraton Four Points). A quanto pare, Schwazer si troverebbe già nel capoluogo altoatesino.

Rimangono nella mente quegli occhi azzurri iniettati di lacrime e vergogna cui non si può rimanere cinicamente indifferenti. Sia ben chiaro non ci sono alibi, non ci sono scuse. Alex ha sbagliato, ha pagato, pagherà. Però se ci fermiamo a puntare il dito per indicare il colpevole senza ragionare, tra 4 anni avremo un altro Schwazer in lacrime in tv a commentare una vita gettata via...

Cerchiamo di comprendere, non di giustificare.

Comprendere oggi vuol dire prevenire domani. Ed infatti a suffragio di questa tesi intervengono le parole di Josef Schwazer, il padre del marciatore azzurro: “Le responsabilità sono mie, perché se si vede un figlio, che durante tutto l’anno è stato male, si deve capire e si deve cercare di parlargli. L’ultima volta che è partito da qui – racconta davanti alla casa di famiglia con una voce rotta dal pianto – era distrutto. Forse l’ha fatto per non deludere gli altri. E’ stata al 100% la prima volta che ha fatto uso di queste sostanze”.

Ad Alex è mancata la forza, il suo è stato un atto di debolezza. Ma è mancato anche un supporto psicologico (che la Federazione ed il Coni hanno il dovere di garantire), che gli permettesse di distinguere cosa sia giusto, da cosa sia sbagliato, il lecito dall'illecito, il bene dal male.

Questo ragazzo è stato lasciato solo di fronte alle proprie debolezze: "adesso tutti si aspettano che io vinca, ma io ho la forza di vincere?". Questo presumibilmente il tarlo che lo ha accompagnato nelle notti insonni e durante gli estenuanti allenamenti, mentre sfogliava le copertine griffate e gossippare pronte a sottolineare ogni sbavatura, ogni piccolo screzio, ogni lacerazione di un animo giovane, fragile, indifeso.Troppo facile scaricare Alex, lasciarlo solo adesso....
La caccia al mostro è conclusa, abbiamo il nostro capro espiatorio, la vittima sacrificale, noi carnefici perfetti nei nostri sepolcri imbiancati a puntare il dito contro il reo, il responsabile, il male.
Ed i media ancor meglio a "fare notizia" con il ragazzo debole che non ce l'ha fatta, riempire le colonne con i "sermoni" sull'etica dello sport ed il rispetto delle regole. Sì quelle stesse regole per le quali "sei qualcuno solo se vinci", "il risultato è l'unica cosa che conta", "o sei il primo o non sei nessuno", alla faccia di qualsivoglia etica decoubertiana.
Prima di avventurarci in processi sommari alla caccia del prossimo capro espiatorio osserviamo asistematicamente la società in cui viviamo, le contraddizioni di ciò che ci viene insegnato, ciò che ascoltiamo rispetto a ciò che viviamo, che mettiamo in partica.
Forse ci scopriremo meno pronti a "vomitare" il prossimo giudizio, ci scopriremo un pò meno sicuri, forti e certi del nostro esistere, ci interrogheremmo, almeno un attimo, sulla motivazione più profonda, primordiale, quasi istintiva che porta un ragazzo giovane, un campione, un esempio a sfigurare per sempre la propria immagine di uomo e di atleta.
Ad Alex, in tutto questo, comunque rimane il merito della assunzione immediata delle proprie responsabilità: quanti altri campioni (di ogni sport) abbiamo ascoltato, appena il loro nome veniva accostato ad indagini e scandali, inventarsi le scuse le più fantasiose e discutibili?
Alex sa che la sua carriera è finita, ma non la sua vita. Un ragazzo così giovane non può pronunciare quelle parole seppur logorato e sfinito da una vicenda che, in questi giorni, ne ha consunto l'anima e la lucidità di pensiero.

Gli riconosco la dignità di uomo che si assume le proprie responsabilità: molti eroi di tanti altri sport (calcio e ciclismo su tutti!) dovrebbero prendere esempio dal senso di responsabilità che l’atleta di Vipiteno ha mostrato in questa vicenda. Benché si sia macchiato di una colpa grave, ha mostrato più spirito olimpico di tanti altri campioni strapagati e malati di divismo. Ha creduto che il fine giustificasse i mezzi, ha capito sulla propria pelle che quella logica non paga.

Errare è umano ma riconoscere i propri errori è divino. Un augurio di cuore all’atleta, affinché possa imparare dai suoi errori e tornare nella sua vita più forte di prima.