Il processo breve non piace più al Pdl. E dire che era stato un cavallo di battaglia di Alfano Guardasigilli: finire tutti i processi entro sei sette anni, altrimenti devono morire, sepolti, finiti.

Ricordate? Non è tanto tempo fa. Eppure ieri quando è stato ufficializzato che la Corte di Cassazione ha messo a ruolo il 30 luglio il processo Diritti tv, con almeno quattro mesi di anticipo sul calendario previsto, a tutto il Pdl sono saltati i nervi. «Neppure i processi di Falcone hanno avuto una corsia così accelerata in Cassazione» andava biasimando al Senato Giacomo Caliendo che di Alfano fu sottosegretario.
Se si esclude il sarcasmo di Galan («nuovo miracolo di Berlusconi, è riuscito ad abbreviare i tempi della giustizia»), è un rosario di lamentale e grida «in difesa della democrazia» e «contro l’eliminazione politica del leader del partito che ha avuto il 25 per cento dei voti» che accomuna tutte, ma proprio tutte le anime del partito del Cav. Persino un riconosciuto principe del foro, per competenza e garbo istituzionale, come il professor Franco Coppi si lascia andare a digressioni che non gli sono proprie. «Non ho mai visto un’udienza fissata con questa velocità: sono esterrefatto, sorpreso e amareggiato perché in questo modo si comprimono i diritti della difesa» ha detto il professore. Che in neppure due mesi deve impostare la difesa. Il processo compravendita Diritti tv vive dal 2005. 

E siamo arrivati a oggi, otto anni dopo, senza ancora avere una sentenza definitiva per una lista di impedimenti che è bene ricordare sono stati tutti richiesti dall’imputato Berlusconi: un anno, 11 mesi e 9 giorni per i due leggi Alfano (poi entrambe bocciate dalla Consulta); un mese e 26 giorni per l’impedimento elettorale del Cavaliere; 33 giorni per altri impedimenti; una settimana per lo sciopero degli avvocati; un mese e 16 giorni (l’ultimo) per legittimo impedimento motivato dalla formazione del governo ed elezione del Presidente della Repubblica.

Un processo quindi che non è stato certamente breve, perchè così voleva l’imputato. Il quale ora non può lamentarsi troppo se la Cassazione anticipa oggettivamente i tempi. Ma non per sfizio. Per evitare, invece, la mannaia della prescrizione. Il verdetto arriverà entro l’agosto. Fino ad allora sarà una lunghissima e tormentata attesa destinata a pesare sulla salute e sugli equilibri del governo Letta-Alfano. 

Dopo, in ogni caso, nulla sarà più come prima. Perchè il pareggio, in questa partita, ha una scarsissime possibilità. E perchè la sentenza è uno spartiacque nella vita politica del Paese e del centro destra, che si chiami Pdl o Forza Italia: Berlusconi, più che la condanna a quattro anni per frode fiscale (tre anni se ne vanno con l’indulto), teme i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e l’obbligo di lasciare il seggio di senatore. Il fax con la comunicazione della data è arrivato allo studio Coppi ieri a fine mattinata.

Tratterà il caso la sezione feriale della Suprema Corte. Quella speciale sezione, cioè, che viene formata apposta nel periodo delle ferie estive per sbrigare i processi urgenti per due motivi: perchè hanno imputati detenuti e perchè è alto il rischio prescrizione. Come è quello sui Diritti tv. Non si conoscono, quindi, ad oggi, nè il presidente nè i membri del collegio. Incertezza che viene vista con un qualche ottimismo dai difensori del Cavaliere.

Ora, al di là di tutto quello che può essere detto e sospettato sull’accellerazione dei tempi, il mistero si spiega con una parola sola, sempre la stessa: prescrizione. Che applicata all’iter e ai reati del processo Diritti tv, ha un andamento ancora più complesso. Per farla breve, ci limitiamo qui a dire che un pezzo di processo (la frode fiscale compiuta nell’anno 2002 pari a cinque milioni di fronte di 397 dichiarati) si prescive a metà settembre. E che solo per questo motivo, la Suprema Corte, se convocata nei tempi previsti (tra novembre e gennaio prossimi) sarebbe stata costretta a rinviare tutto il processo in Appello per rideterminare la condanna (4 anni più 5 di interdizione) che invece è stata comminata per il reato continuato dal 2001 (già prescritto) in avanti.
Morale: non sarebbe stato a rischio l’intero processo ma una parte; e comunque i nuovi rinvii sarebbero stati a loro volta troppo vicini alla prescrizione totale e finale (estate 2014). Il primo luglio gli uffici giudiziari di Milano, che in questi venti anni hanno fatto ogni tipo di slalom per scansare le prescrizioni spesso senza riuscirci, hanno inviato un fax in Cassazione per segnalare l’imminenza del rischio. Gli uffici della Cassazione si sono limitati a verificare l’esattezza del calcolo, complesso assai, arrivato da Milano. «L’ufficio giudiziario di Milano - spiegano al Palazzaccio - non ha fatto alcuna pressione. Si comportano così tutti uffici diligenti». 

È stata segnalata l’imminenza della prescrizione «per uno dei reati addebitati (la frode del 2002ndr)» e «non importa - aggiunge la fonte in Cassazione - se c’è un altro reato che si prescrive nel 2014 (la frode del 2003, ndr) perchè il dovere del magistrato è quello di evitare ogni prescrizione, non solo quella che cade per ultima». I faldoni del processo, le 400 pagine del ricorso firmato da Ghedini e Longo con le 80 eccezioni e il fax degli uffici giudiziari di Milano, sono stati trasmessi per competenza alla Terza sezione penale della Cassazione, quella competente per i reati finanziari. È stato l’ufficio spoglio della Terza a constatare l’imminente prescrizione di uno dei due reati. E a trasmettere tutto alla sezione Feriale. Quella che non va in vacanza. Che non chiude mai. Nessuna accellerazione. Nessuna stortura. Tranne quella per cui un processo impiega otto anni per arrivare fino in fondo.