C’e’ una lettera per Silvio Berlusconi rintracciata dagli inquirenti sul computer di Carmelo Pintabona, destinatario di una misura cautelare con Valter Lavitola per la presunta estorsione all’ex premier Silvio Berlusconi. L’avrebbe scritta proprio l’ex direttore del quotidiano ‘L’Avanti’, gia’ in carcere per corruzione internazionale e per indebite percezioni di fondi per l’editoria, e ora e’ agli atti nell’inchiesta condotta dai pm napoletani Piscitelli e Woodcock.
FINI - “Berlusconi e’ un corruttore e se vuole mi puo’ querelare”. Lo ha detto Gianfranco Fini, a ‘Otto e mezzo’, a proposito della lettera di Lavitola scritta a Berlusconi per quel che riguarda la vicenda della casa a Montecarlo nel patrimonio di An. “Ci avevano avvisato, io ho fatto il ministro degli Esteri e ho molti amici anche a livello di intelligence, che quel documento era falso ed era ottenuto attraverso una estorsione -ha spiegato il presidente della Camera-. E’ stata una delle piu’ disgustose campagne mediatiche, e’ il metodo Boffo”. Fini pensa che gli elettori di centrodestra ora ci penseranno “dieci volte prima di votare per il Pdl. Nostro compito e’ preparare un’alternativa. Domenica saremo ad Arezzo con Casini e i mille per l’Italia”
“Non so se le Sue prese di distanza sono reali, o frutto di un misto di istinto di conservazione, vigliaccheria e cattivi consigli o, come spero, di un giusto e normale gioco delle parti”, si legge nella missiva. Lavitola continua affermando che Silvio Berlusconi sarebbe stato in debito con lui perche’ questi aveva ‘comprato’ il senatore Sergio De Gregorio, che lascio’ l’Idv per aderire al centrodestra. Nella lettera Lavitola sottolinea i suoi presunti interventi per favorire la caduta del governo Prodi. E afferma, in particolare, di “aver tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie dalla procura di Santa Maria Capua Vetere da dove erano arrivate le pressioni per il vergognoso arresto della moglie”. Sostiene anche di “aver lavorato Dini” assieme “a Ferruccio Saro e al povero Comincioli. Cio’ – scrive – dopo essere stato io a convincerLa a tentare di comprare i Senatori necessari a far cadere Prodi”.
Nella lettera scritta a Berlusconi e trovata sul computer dell’imprenditore Pintabona, Valter Lavitola elenca una serie di benefici che l’ex premier gli avrebbe concesso. Un rimborso spese di500mila euro, per i documenti relativi alla ‘Casa di Montecarlo’ per il suo viaggio a Santa Lucia, in Centramerica, per procurare atti che avrebbero dovuto dimostrare che proprietario effettivo dell’appartamento era il cognato di Fini. Ecco cosa scrive Lavitola: ’400/500mila euro di rimborso spese per la ‘Casa di Montecarlo’, dove io ce ne ho messi almeno altri 100mila. Martinelli ha contribuito con 150.000 euro oltre che con il volo privato da Panama a Roma, quando Le portai i documenti originali di Santa Lucia. Certo non potevo rischiare a Roma che me li trovassero, li portarono fuori i piloti. Ovviamente gli ho restituito le somme compensandole con altre partite. Tutte somme non concordate con Lei e che quindi non voglio essere restituito. Mentre per Tarantini le devo io 255.500 euro, che le restituiro’. Nella lettera ci sono ancora presunte promesse non matenute dall’ex premier. Lavitola elenca una serie di presunti impegni presi dal Cavaliere. “Lei mi ha ha promesso: piu’ volte di entrare al Governo, persino mi chiamo’ dopo la nomina della Brambilla e con onesta’ mi disse che era dispiaciuto di non riuscire solo con me a mantenere la parola; di mandarmi al Parlamento Europeo, alle precedenti presi da solo 54.000 preferenze; di entrare nel Cda della Rai; che il primo incarico importante che si fosse presentato sarebbe stato per me”.
Nella lettera Lavitola scrive che, tra le “aberranti accuse a me mosse” c’e’ anche quella di “averle insistentemente raccomandato il maresciallo La Monica. Era la fonte che ha quantomeno ha contribuito a salvare Bertolaso, ci ha coperti nell’indagine sull’acquisto dei Senatori, ha dato una mano sul serio nelle indagini su Sacca’ e Cosentino, ed ha eliminato alcune foto che la vedevano ritratto assieme a Bassolino e ad alcuni mandanti della Camorra per la vicenda dei rifiuti (sono certo che lei non sapesse chi fossero). Eravamo in grande debito e lui si era reso conto che Bisignani e Papa lo sfruttavano e lo prendevano in giro promettendogli di andare ai Servizi per guadagnare 200 euro in piu’ al mese. Io lo mantengo da un anno in Senegal”.
Fini scopre l'acqua calda! “Silvio Berlusconi è un corruttore”
Tra corrotti, porci e ladri muore la politica e la speranza
L’uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo errò. Complice la polisemia, il corto circuito tra il Laertide Odisseo e Carlo De Romanis si fa totale. Ed aggiunge suggestioni ad una vicenda che pure non ne era avara. Il contesto è noto: il De Romanis, consigliere regionale del Pdl di rito forzista ortodosso, gode da qualche giorno di meritata fama in quanto organizzatore dell’ormai arcinota mega-festa a tema omerico “Olympus”, tenutasi un paio d’anni or sono al Foro Italico di Roma con parecchi politici d’area (da Renata Polverini in giù) tra gli invitati. Roba di cui l’universo mondo si era misericordiosamente dimenticato e di cui restava traccia in qualche bacheca di Facebook. E però roba che, sulla scia del grandissimo casino seguito all’esplodere del caso Fiorito, d’un tratto è riafforata in superficie con tutto il cotè di polemiche sullo sperpero del denaro del contribuente, i politici magnoni e la casta che fa festa mentre la gente tira la cinghia.
Ora, il punto non è con quali soldi sia stata finanziata la festa in questione: De Romanis giura che il tutto sia stato organizzato con denaro proprio e fino a prova contraria le sue parole sono fededegne. Il punto è che il solo fatto che una roba del genere sia successa e che ne sussistano le evidenze rappresenta un colpo mortale a quello straccio di credibilità di cui la politica è ancora titolare. Un colpo al cui confronto non c’è caso giudiziario che tenga. Perché uno può tagliarsi i rimborsi, dimezzare gli eletti, promuovere il rinnovamento, aprirsi alla società civile, fare le primarie persino. Ma di fronte alle foto della festa “Olympus” tutto viene spazzato via e tutto viene superato in tromba. Se l’idea stessa di non redimibilità della politica in quanto tale aveva bisogno di uno spot, ebbene il festone chez De Romanis ha provveduto all’uopo come nemmeno l’opera omnia di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.
Detto con estrema e brutale semplicità: le foto di quella festa rappresentano, quanto a fauna, il peggio che la capitale d’Italia può offrire. L’innata burinaggine dei nipotini del palazzinaro di C’eravamo tanto amati (quello che fa calare dalla gru la porchetta extralarge bardata nel Tricolore mentre la banda strombetta l’inno di Mameli) mischiata a quell’insopportabile allure pariolino che da un paio di generazioni almeno fa sì che i rampolli della Roma bene si presentino come delle fastidiose incarnazioni del figlio di papà tutto scuole private e vacanze chic come nemmeno le macchiette dei cumenda milanesi.
Tutta gente che, conseguentemente, sta a Omero come Ultimo tango a Zagarol sta a Marlon Brando. Per rendersene conto basta andarsi a riguardare l’invito - che alcuni maligni conservarono con ammirevole lungimiranza e che oggi fanno girare con altrettanto ammirevole perfidia - dell’happening fatale. La foto pare presa dal set di un porno-sandalone: vi si vedono piacenti giovani ambosessi (poco) vestiti in toghe, armature e altra paccottiglia classicheggiante sulla scalinata di una specie di Partenone tra grappoli d’uva, archi e una immotivata mitragliatrice. Sotto, un testo in cui si fa presente che le divinità tutte (alcune indicate col nome greco e altre con quello latino, si suppone per la par condicio) invitano il fortunato destinatario a non perdersi l’evento.
Queste le premesse, che alla festa si voli alto è scontato. E allora via con la gente travestita da maiale (c’entra la maga Circe e, si spera, non altro); via con le fanciulle che, nell’impossibilità di farsi immortalare mentre bevono a garganella dalla bottiglia come nelle feste ordinarie, soccorrono attaccandosi alla giara; via con un gruppetto di improbabili Nereidi che ballano in piscina sotto la direzione di un Poseidone munito di tridente di plastica; via - insomma - con una roba terrificante che potrebbe essere un ibrido a metà tra i toga party di Animal house e una riedizione lisergica del Satyricon di Fellini.
Lui, il De Romanis, in quanto dominus della situazione vestiva i panni di Odisseo, con tanto di armatura che pare sputata a quella indossata da Brad Pitt-Achille nello sciagurato Troy (che, a giudicare dai risultati, pare essere stato il modello filologico cui gli organizzatori devono essersi ispirati). «Ho sempre dato feste in costume», dice oggi, e pare non rendersi conto del clamoroso danno d’immagine cagionato dalla baracconata di cui sopra alla parte politica cui appartiene.
Restano agli atti le foto, e la fortissima impressione di fine impero che trasmettono. Agi e crapule di una classe dirigente che, incurante dei barbari alle porte, si trastulla a bordo piscina con la vodka nell’anfora e il costume da divinità dell’Olimpo. Il tutto aggravato dal fatto che a bere quella vodka e a mettersi quei costumi sarebbe gente di destra. Ossia gente che, pure con tutti i difetti di questo mondo, a indulgere in certe mollezze aveva sempre avuto un certo ritegno. Tutti finiti a fare il bagno di mezzanotte giocando ai piccoli Odisseo in una piccola Itaca traslocata sotto Monte Mario. E senza nemmeno uno Storace a urlargli: «A proci!».
Alle elezioni (si voterà il 7-8 aprile?) mancano sei mesi abbondanti. Non sappiamo con quale legge voteremo, chi si presenterà, e se la sera degli scrutini conosceremo la coalizione di governo. La metà degli italiani non esprime nei sondaggi alcun orientamento. E non possiamo quindi stupirci se la stragrande maggioranza degli investitori, nell'incertezza assoluta, si astenga dal considerare il Paese un'opportunità.
In undici mesi scarsi, il governo Monti ha fatto molto per rimediare a un'immagine internazionale disastrata. Ma rimane assai arduo dimostrare a un osservatore straniero quale sia il vero volto del Paese: la serietà e l'operosità o lo scialo e la corruzione? Noi siamo convinti che il primo aspetto sia assolutamente prevalente sul secondo, escrescenza di abitudini miserabili, purtroppo trasversali e non solo della politica. E che l'Italia perbene stia pagando un prezzo elevatissimo. Ma il nostro amico straniero non si capacita del perché una legge contro la corruzione tardi ad essere approvata, non si spiega come ci si possa dimettere e firmare delle nomine il giorno dopo, rafforzando il sospetto che passati gli scandali tornino vecchie e inconfessabili abitudini. Sui circuiti internazionali hanno avuto più successo (ahinoi!) le immagini del corpulento Fiorito (che si ricandida) di quelle dello stesso Monti impegnato a spiegare i sacrifici degli italiani. Rischiamo di tenerci una pessima legge elettorale (il cui nome Porcellum ora richiama anche recenti feste pagane). Non abbiamo una normativa moderna per la trasparenza degli affari e Angel Gurria dell'Ocse ci ha cortesemente richiamato, nel suo ottimo italiano, a vergognarci di essere la pecora nera dell'Occidente.
La tela delle riforme (conoscendo moderni Ulisse lasciamo stare Penelope) intessuta con fatica e qualche errore dal governo tecnico, rischia di essere strappata dall'irresistibile demagogia di ogni campagna elettorale. Nel frattempo lo spread torna a salire e la spiegazione che sia tutta colpa della Spagna è pericolosamente consolatoria. Se Madrid dovesse chiedere gli aiuti, l'attenzione dei mercati si riverserebbe su di noi, trovandoci impreparati e distratti.
Il tempo zero della politica è la peggiore risposta che si possa dare ai mercati. Dà l'impressione che l'enorme sforzo di risanamento fin qui compiuto, pagato soprattutto dalle famiglie e dal ceto medio, sia frutto di episodiche virtù. E avvalora la convinzione che dopo l'aprile del 2013 tutto possa tornare come prima. È comprensibile che la politica rivendichi il proprio ruolo, essenziale in una democrazia compiuta, e si ribelli all'ipotesi di commissariamento. Ma nell'ignavia del tempo zero si avvicina il momento in cui il Paese sarà costretto a chiedere l'aiuto europeo o a sottoporsi a un programma del Fondo monetario con una resa poco onorevole. Lo spazio per evitare questo scenario, considerato inevitabile da molti, che svilirebbe il voto e darebbe fiato all'antipolitica e al qualunquismo, è assai limitato. Avrebbe invece un suo particolare significato - specie dopo la disponibilità ad esserci, se necessario, espressa ieri da Monti - una sorta di patto pre-elettorale tra le principali forze politiche (che non significa precostituire alcuna grande coalizione), sulla condivisione delle regole del gioco, a cominciare dalla legge elettorale, la conferma del percorso di risanamento, la moralizzazione della politica e la riduzione dei suoi costi. A condizione che non resti, come altri solenni impegni, desolante lettera morta.
Le mele marce gli occhi chiusi
Ora, noi vogliamo credere che tutti ma proprio tutti quei deputati regionali spendano la somma nel modo più scrupoloso: ma se uno poi ci comprerà un diadema per la morosa saremo condannati a sentire ancora la solfa della mela marcia? Lo spiegava già il presidente americano James Madison un paio di secoli fa: «Se le persone fossero angeli, nessun governo sarebbe necessario». Un Paese si regge e prospera solo in una cornice di buone leggi fatte rispettare. Aiutando tutti a essere virtuosi.
Evviva la fiducia, ma in un Paese di eccessi come il nostro, dove anni fa un barista fu multato per aver dato senza scontrino un bicchier d'acqua a un barbone, che le regioni distribuiscano decine di milioni di euro l'anno ai propri gruppi consiliari o direttamente ai consiglieri senza chieder loro una cedola è inaccettabile. «Comincino a tagliare gli altri», dicono punti sul vivo alcuni deputati veneti. E l'identica risposta potreste averla in Molise e in Val d'Aosta, in Friuli e in Sicilia. Dove da mesi funziona come a Venezia: 2.089 euro al mese sono dati a ogni deputato dell'Ars cui viene chiesto solo di dichiarare genericamente di averli spesi bene.
Così "ruban" tutti!
"Ecco le fatture dei collaboratori di Marrazzo che quotidianamente bevevano champagne nei migliori ristoranti di Roma, gli estratti conto delle carte di credito di cui erano titolari Marrazzo e i suoi collaboratori, con le quali pagavano a spese delle istituzioni la loro cosiddetta ‘attività di rappresentanza’, attraverso le quali prendevano anche contanti, non so bene per fare cosa’’. Lo ha detto la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, nel corso di Ballaro’.
Polverini ha ribadito che “tutte le denunce che dovevo fare le ho fatte. A Di Pietro vorrei dire che il suo assessore ai Lavori Pubblici della precedente amministrazione, Maruccio, che aveva assegnato un arbitrato direttamente al suo collega di studio, che era anche presidente di una società regionale fino a pochi giorni fa, ha avuto una denuncia alla Corte dei conti”. La Presidente dimissionaria ha auspicato poi che si voti “il più presto possibile”.
"SI DIMETTANO ANCHE VENDOLA ED ERRANI" - "Io me ne sono andata. E ditelo a quelli di sinistra di andarsene pure loro. Ditelo, perché qui citate Formigoni, Iorio. Ma Vendola dove sta, indagato in due procedimenti? Ed Errani, che ha dato soldi a suo fratello, dove sta?’’. La Polverini lo ha detto, con tono molto acceso, rivolgendosi al vicedirettore di ‘Repubblica’ Massimo Giannini. ‘’E allora - ha aggiunto - sia gentile e corretto, perché io dal 1970 sono l’unica che se ne va per colpe di altri, e sono orgogliosa di averlo fatto. Basta. Non lo accetto più - ha proseguito - di essere sotto processo per cose che non ho commesso. Io con la mia dignita’ torno a essere una privata cittadina, cosa che i suoi amici non hanno fatto. E l’ho fatto lunedì perché ho voluto azzerare il finanziamento, perché nella Regione Lazio il prossimo consiglio dovrà riassegnarsi le risorse. Vada a studiare, Giannini - ha concluso - Anzi: facciamolo insieme. L’aspetto domani nel mio ufficio’’.
Renata Poverini la mattina dopo le dimissioni da governatore del Lazio. Uscendo di casa l'ormai ex governatore del Lazio è stata 'assalita' dai giornalisti. "Non capisco perchè continuate a venire qui, sto cercando di ricondurre una vita normale. Vi prego lasciatemi in pace almeno a casa". Sono queste le parole della Polverini ai microfoni di SkyTg24. "Come ho dormito stanotte? Bene, benissimo", ha detto prima di salire in auto.
Poi ha parlato a Sky tg24. "Comportamenti immorali ai danni della Regione si sono sempre stati anche prima del mio arrivo. Ostriche e champagne venivano gustati prima del mio arrivo. Ribadisco quanto ho già detto: non ci sono comportamenti immorali nella mia giunta. L'uso dei fondi? Non ho avuto sentore di come questi fondi venivano utilizzati.Ma ho chiesto più volte al presidente del consiglio regionale di effettuare una spending rewiev. Ma ero cosciente che quei fondi erano erano troppi. Ho chiesto scusa per responsabilità che non ho. Due anni e mezzo straordinari e difficilissimi". E ha chiuso: "Io non mi sento, sono pulita". Il futuro? "Vedremo, certo non governerò più il Lazio. Il Parlamento? Addirittura! Magari torno a fare una vita privata".
Polverini ha anche rivelato di aver sentito più volte Silvio Belusconi ed è tornata sull'incontro con Monti "Monti non mi ha detto cosa dovevo fare, ho sentito anche Berlusconi che mi ha sempre incoraggiata. Ieri ho informato Alfano, poi Cesa e Casini, poi anche Storace ma la mia decisione era già presa". Non ha fatto polemica con l'Udc: "Non ce l'ho con l'Udc. Li ho sentiti stamattina e non ho problemi con loro".
Intanto a Roma sono comparsi a tempo di record poster. ''Questa gente la mando a casa io. Ora facciamo pulizia!''. Cosi' recitano appunto dei manifesti con l'effige di Renata Polverini stampati a tempo di record a poche ore dalle sue dimissioni e affissi per le strade di Roma. Nei poster si vede il volto serio della Polverini, con l'espressione grintosa che guarda dritto negli occhi il suo ipotetico interlocutore. Il manifesto riporta il simbolo della fondazione Citta' Nuove ed e' firmato, in corsivo, Renata.
Poi la Polverini ha passato una mattinata di impegni in ufficio per espletare le funzioni ordinarie della sua carica dopo che ieri ha rassegnato le dimissioni da Presidente della Regione Lazio. Renata Polverini si è chiusa nelle sue stanze con i suoi fedelissimi, l'assessore al bilancio Cetica, il segretario generale Ronghi e il capo di gabinetto Zoroddu. Uno dei primi a vederla Francesco Storace, leader de la Destra, che -ieri ha ricordato Polverini- ''in questi giorni ha sofferto con me''.
Ed è già un diluvio di dichiarazioni. Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, afferma che Polverini "si è dimessa per colpe non sue". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: "A me dispiace. Questo e' il giorno della tristezza, dell'amarezza e della riflessione. Renata paga il prezzo di una situazione di sistema per tutto quello che e' avvenuto e' stato condiviso da tutti i gruppi consigliari in Regione, sia di maggioranza che di opposizione''. E chiede le primarie anche per il candidato Pdl in Regione.Renata Polverini vinse le elezioni regionali nel Lazio grazie al voto di quelle province che hanno spedito in Consiglio regionale i vari Fiorito, Battistoni, Abruzzese, De Romanis. Gli stessi che, ingrata e dimentica, lei oggi definisce «indegni», «malfattori», «personaggi da operetta». Gli stessi che per tutto questo tempo hanno garantito quella maggioranza che le ha permesso di governare e spadroneggiare. Certo, tutto ciò aveva un costo: un costo in senso proprio, le cospicue prebende elargite attraverso la progressiva distribuzione di finanziamenti pubblici ai gruppi consiliari.
Ecco perché il tentativo di smarcamento dell'ex presidente, il suo inacidito distanziarsi dal girone della corruttela, non sembra convincere nessuno. Tutti (e lei di più) erano consapevoli che la Regione Lazio si reggeva in virtù di un rapporto di scambio, un patto non scritto ma allegramente agito: i potentati del Pdl garantivano la tenuta dell'amministrazione, a condizione di poter contare su denaro pubblico da gestire privatamente.
Insomma uno schietto cacio e pepe, dove era chiaro chi metteva il pepe e chi portava il cacio.
Un sistema di potere che in fondo funzionava in modo semplice: dritto per dritto. Un do ut des non proprio elegantissimo, neanche particolarmente raffinato, ma indubbiamente efficace. Del tutto coerente, peraltro, con l'impudico profilo di chi tutto questo gestiva: gente sbrigativa e disinvolta, personaggi che interpretavano il proprio ruolo istituzionale come una pura e semplice opportunità accumulatoria e l'assemblea elettiva di cui facevano parte come il cortile (o l'orto) sotto casa.
C'è tuttavia qualcosa di più, in questa storiaccia laziale. C'è anche la caduta rovinosa di un modello culturale. Sguaiato e pacchiano quanto si vuole, ma pur sempre, fino a qualche tempo fa, vincente e convincente. Un insieme di suggestioni e significanti che Polverini e Alemanno hanno largamente diffuso, in sintonia con un senso comune che, a sua volta, corrispondeva positivamente. La coda alla vaccinara consumata in piazza Montecitorio era un linguaggio che raggiungeva molto più di quanto si pensasse. Così come cavalcare il parapetto della curva nord dell'Olimpico, così come cantarellare le canzoni di Lucio Battisti ai comizi o insultare gli avversari in piazza («Zecca di merda»).
Uno stile politico che rifuggiva ogni intento pedagogico o di compostezza civica o di richiamo a responsabilità pubbliche. Ma direttamente confuso, anzi in amalgama, con una quotidianità sgrammaticata e rilassata, che consentiva smagliature e perfino trasgressioni. «Semo gente de borgata». Siamo come voi, ci arrangiamo come possiamo, furbastri, ignorantelli e un po' mascalzoni.
Ed è in assoluta continuità con quest'impronta («antropologica», la definiva ieri Alberto Burgio) che i consiglieri regionali passavano da una cena all'altra e organizzavano feste da basso impero. E lo stesso succede ancora a Roma, con le terrificanti sfilate di centurioni e fasci littori o con quel penoso Carnevale per le vie del centro.
Insomma, il popolo come plebe a cui concedere, di tanto in tanto, qualche innocuo svago. Mentre il potere, paterno e consolatorio, vede, provvede e ingoia. Come quando a Roma c'era il papa re. E a ben rifletterci è un po' così che la destra ha governato. Un ritorno a quei patetici fasti, con Francone Fiorito nei panni del Marchese del Grillo.
E' già cominciata nel frattempo la lotteria politica che dovrà designare il nuovo presidente dell'ex Stato pontificio. Già in molti invocano l'arrivo del generale Cadorna a Porta Pia. Meglio sarebbe ripristinare la Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi.
DIMISSIONI POLVERINI/ Effetto domino: ora tocca a Lombardia e Campania?
E adesso il timore è quello dell'effetto domino, che il crollo del Lazio si porti appresso quello della Lombardia, da mesi in bilico, e forse anche Campania e Calabria, su cui la magistratura ha aperto inchieste che possono andare lontano, perché a Napoli e a Reggio Calabria non è che i consigli regionali abbiano brillato per trasparenza e morigeratezza dei costumi rispetto alla Pisana.
Il segnale di emergenza si è acceso soprattutto sulla consolle di controllo dei dirigenti Pdl. Un un allarme rosso che più rosso non si può. E' stata la stessa Polverini a disegnare il quadro della situazione con parole pesanti come pietre: "Sono grata a Berlusconi ed Alfano per il loro sostegno - ha detto nella conferenza stampa delle dimissioni - ma nel Pdl ci sono personaggi da operetta".
L'allusione non è soltanto al pittoresco e monumentale Franco Fiorito, ma anche al presidente del Consiglio regionale laziale, Mario Abbruzzese, alle feste pacchiane di De Romanis e ad altri malcostumi assortiti.
"La vicenda - ha aggiunto la Polverini - nasce da una faida interna al Pdl". Metteteci gli scandali nel resto d'Italia, dagli sperperi siciliani in su, e avrete davanti una situazione da anno zero per il partito di Silvio Berlusconi. Emergenza in primo luogo morale, come ha ricordato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, con un richiamo forte, che pretende un cambio di marcia per chiunque intenda rappresentare i moderati in Italia.
"Che l'immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione - ha scandito Bagnasco misurando accuratamente i termini - ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti". Una dichiarazione che ha segnato con il suo peso tutta la giornata che ha declinato verso le dimissioni della governatrice del Lazio, contribuendo a convincere i dubbiosi, come Pierferdinando Casini, che non si poteva ormai fare altro che staccare la spina. Non si poteva più sottovalutare, non si poteva più soffiare sul fuoco dell'indignazione montante.
Riuscirà il Pdl ad uscire da queste secche su cui è arenato? La risposta che viene da dare istintivamente è negativa, perché - a prima vista - non si scorgono tante energie per un rinnovamento morale autentico del partito berlusconiano. Il rischio è che nella primavera prossima arrivi un filotto di sconfitte tale da seppellirlo: le elezioni politiche, ma anche il Lazio ed il Comune di Roma, dove il destino di Alemanno - a detta di molti addetti ai lavori - appare segnato, dopo la debacle della Regione. A via dell'Umiltà di uno scenario come questo si parla apertamente da giorni.
Per invertire questa spirale negativa servirà da parte di tutto il gruppo dirigente pidiellino uno scatto di reni fortissimo, una pulizia interna impietosa, che allontani le tante Minetti che restano al loro posto, nonostante i ripetuti inviti a farsi da parte. Serve una rifondazione vera, che è una impresa difficilissima a sei mesi (al massimo) dal ritorno alle urne.
Ma non è che gli altri partiti possano cantare vittoria. Sulla graticola è finita in primo luogo l'Udc di Casini, che è parso troppo titubante sulla vicenda laziale, facendo storcere il naso a molti che non hanno potuto fare a meno di pensare male, cioè agli ingenti interessi del gruppo Caltagirone in svariati settori dell'economia capitolina, e non solo nell'edilizia e nei lavori pubblici. Alla fine l'Udc ha staccato la spina, provocando le dimissioni della Polverini, ma è stata parte integrante dello stesso sistema spartitorio che è franato addosso al Pdl.
Ma non si può certo chiamare fuori dalla vicenda neppure l'opposizione di sinistra, che si è seduta allo stesso tavolo con Fiorito, Abbruzzese e gli altri e non ha mai obiettato alcunché al fiume di denaro destinato ai partiti. Del resto lo ha ammesso lo stesso capogruppo democratico Esterino Montino, con una tardiva autocritica in cui ha ammesso che i soldi erano troppi e che è stato un errore prenderli anche se nessun consigliere Pd ne ha fatto uso personale. E dalla vicenda escono con le ossa rotte anche i consiglieri di Sel, della Federazione della Sinistra ed i dipietristi. I soldi arrivavano a tutti e nessuno li ha rifiutati, sino a pochi giorni fa, quando il bubbone è esploso e tutti si sono affrettati a scendere dal carro dei perdenti.
A tutti i partiti - dunque - serve un bagno di umiltà e di rinnovamento. Questa volta laquestione morale può fare la differenza, e in una realtà come il Lazio l'elettorato di matrice cattolica può pesare non poco ed è alla richiesta di offerte credibile. Non a caso a sinistra circola già da giorni il nome del capogruppo democratico all'europarlamento, David Sassoli, come possibile candidato alla presidenza della Regione Lazio, in abbinata con Nicola Zingaretti, dato per certo candidato per il Campidoglio.
Nel campo moderato - invece - si tratta di ricostruire sulle macerie, e l'impresa si presenta tutt'altro che facile.
Lazio: Polverini, "basta, mi dimetto" Alfano, "scelta di grande di dignita'"
Dimissioni e basta: "Ora sono piu' serena". Renata Polverini lascia la presidenza della Regione Lazio attaccando il consiglio regionale ("indegno") e denunciando le "cose raccapriccianti" che sono avvenute. "I colpevoli siano puniti", scandisce in una conferenza stampa al termine di una giornata convulsa, in cui ne' Alfano, ne' Berlusconi sono riusciti a farla desistere dal suo proposito.
La decisione era gia' stata comunicata, rivela lei stessa, a Napolitano e Monti nella giornata di ieri. A spazzare il campo dagli ultimi dubbi, nel pomeriggio, una nota di Francesco Storace, che lasciava intendere tutto con una frase d'altri tempi: "Sono una banda di cacasotto che si e' piegata alla propaganda".
Queste invece le parole della dimissionaria, che lascia dopo una elezione travagliata e due anni e mezzo non scevri da polemiche: "Comunico solo stasera cio' che avevo comunicato ieri alle 18 a Napolitano e alle 19.30 a palazzo Chigi a Monti e che ho atteso per comunicarlo a voi prima di incontrare i leader della coalizione che mi sostiene. La decisione e' irrevocabile".
Segue la lunga fila di denunce, attacchi e distinguo.
"Arriviamo qui puliti - ha scandito -. La giunta ha operato bene e ha portato risultati importanti. La giunta interrompe la sua azione a causa di un Consiglio che non considero piu' degno. Questi signori li mando a casa io senza aspettare ulteriori sceneggiate, con questi malfattori io non ho nulla a che fare".
Sono loro ad aver bloccato "la mia azione riformatrice", ed ora "ci saranno gravi ripercussioni sul paese: abbiamo fatto 5 miliardi di tagli perche' lo volevamo e perche' abbiamo avuto come effetto il dimezzamento del disavanzo sanitario portandolo a 700 milioni".
L'ultima, definitiva mazzata alla giunta Polverini l'aveva data poche ore prima il Cardinal Bagnasco, massimo esponente di quella Chiesa che, alle ultime regionali, decise di appoggiare il centrodestra perche' i centrosinistra aveva scelto con Emma Bonino un candidato inaccettabile per l'elettorato cattolico romano. "Che l'immoralita' e il malaffare siano al centro come in periferia non e' una consolazione", spiega in mattinata il prelatoi, "ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed e' motivo di disagio e di rabbia per gli onesti".
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Ora il Pd parla di una brutta pagina chiusa, di dimissioni inevitabili; il Pdl accusa il colpo; l'Udc (che ha abbandonato la maggioranza nel Lazio in serata) chiede il voto e si sente l'ago della bilancia. Non solo a livello locale.
"Renata Polverini ha compiuto una scelta di grande dignita' e di grande responsabilita', nonostante lei non abbia compiuto alcun atto ne' immorale ne' illegale e anzi abbia impresso un accelerazione al percorso di riforma della Regione Lazio. Ha sfiduciato un Consiglio regionale che mai avrebbe potuto assicurarle la prosecuzione nel cammino intrapreso e che, in alcune sue mortificanti individualita', aveva tinteggiato la politica del peggiore colore possibile".
"E' questo il motivo per il quale anche oggi alle 13.00, quando ce lo ha comunicato, non abbiamo provato a trattenerla ma le abbiamo detto che le saremmo stati accanto qualunque fosse stata la decisione a lei suggerita dalla propria coscienza e dalla propria responsabilita'". E' quanto dichiara il segretario nazionale del Pdl, Angelino Alfano.
SRL a 1 euro! NUOVO FLOP di MONTI ! Una forma societaria che non può esistere!
L’avevano inserito nel Decreto “Sviluppo” (DL 1/2012 del 24 gennaio 2012) quel nuovo articolo 2463 bis relativo alla Società a responsabilità limitata semplificata (Srls),perché, da buoni professori, ritenevano che lo Sviluppo economico si facesse per decreto. Capitale sociale minimo di 1 euro, soci di età non superiore a 35 anni, e con questo si poteva replicare la Silycon Valley: giovani innovativi, coraggiosi e venture capital a go-go. A parte il fatto che si è dovuto attendere il 29 agosto per vedere pubblicato il Decreto del Ministro della Giustizia, emanato il 23 giugno, che dettasse il testo dell’atto costitutivo standard della Srls ovvero si è lasciato trascorrere 7 mesi affinché un decreto-legge, immediatamente esecutivo, potesse essere applicato; a parte il fatto che le spese minime di costituzione ammontano a 368 euro (168 di imposta di registro e 200 per diritti del Registro delle Imprese), avendo previsto che il notaio lavori a titolo gratuito, abbuonando ben 246 euro per imposta di bollo e diritti di segreteria (previsti nelle altre SRL); ci si è infine dimenticati di attivare quel minimo di supporto affinché questi nuovi imprenditori potessero godere di un minimo di “garanzie” perché altrimenti con questa Società che ci fanno?
Considerando scandaloso il tempo trascorso improduttivamente gioverebbe domandare ai legislatori (Governo e Parlamento, passando per un Capo dello Stato) dove mai troverebbero i soldi, i costituenti tali società per pagare le spese minime di costituzione? Se la forza propulsiva dell’impresa, così legalmente costituita, è rappresentata dalle idee e dalla volontà di lavoro, il minimo sindacale per cominciare a lavorare chi lo paga? La risposta la danno due sorelle di Corsico, Stefania e Serena Pasquali, studentesse universitarie in psicologia, di rispettivamente 22 e 20 anni, che hanno costituito la prima SRLS in Italia con un atto “standard” redatto dal notaio di famiglia (genitori imprenditori) , che vogliono aprire una catena di negozi in franchising per la vendita di oggettistica per la casa, di design. Intanto aspettano che il loro commercialista torni dalle ferie per aprire la partita IVA ed iniziare l’avventura de “La casa delle fate srls”.
Il caso è emblematico: intanto il capitale sociale non copre neppure le spese (si poteva rinunciare a 368 euro?), occorre un notaio compiacente a lavorare a titolo gratuito, dopodiché occorre anche un commercialista (anche lui lavorerà gratuitamente?) perché per gli adempimenti fiscali si preferisce rivolgersi ad un professionista piuttosto che ad uno sportello dell’Agenzia delle Entrate che potrebbe indicare cosa bisogna fare ed agevolare un sano ed economico “fai da te”. Infine l’attività: il commercio non è una tipica attività innovativa ad alto valore aggiunto. Approssimandosi a diventare psicologhe non vediamo l’attinenza con il design. Otterranno credito dai fornitori? Un minimo di attrezzatura, locazione locali o altro li dovranno pur realizzare? Perché terzi (banche e fornitori) dovrebbero far credito ad una attività nella quale neppure i soci intendono rischiare, se non un simbolico euro? Se la risposta delle Banche, Confidi, Finanziarie o altro è abbastanza scontata (fidejussione dei genitori se non addirittura pegno) quella dei fornitori potrebbe iniziare con un pagamento alla consegna della merce, se non vi sono presentatori o garanti solvibili. Tutto fuorché un finanziamento alle idee imprenditoriali.
Anche questa della SRLS è un’occasione sprecata, buttata nel Codice civile per fare scena senza alcun radicamento o strategia di politica economica. Non sarà da meravigliarsi che questa tipologia societaria sarà sfruttata dalla criminalità organizzata per le proprie ramificazioni: tra le loro fila giovani non mancano e i capitali si possono impiegare in attività più redditizie anziché pagare bolli e notai!
E questo riguarda solo l'apertura della nuova attività imprenditoriale. Ma cosa accade quando ci presentiamo a chiedere liquidità presso un Istituto di Credito per l'avviamento dell'impresa? ”Per le norme imposte dalla Banca d’Italia – spiega Ranieri Razzante, presidente dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (Aira) e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia – non esiste alcun istituto che possa finanziare un’impresa con un capitale sociale di un euro. Le istruzioni di Vigilanza di Bankitalia, infatti, prevedono un rapporto stretto tra gli affidamenti (i soldi prestati dagli istituti alle imprese, ndr) e le garanzie patrimoniali, costituite dal capitale sociale e dai fondi di riserva (cosiddetto “patrimonio netto”, ndr). Se a queste garanzie si aggiungono quelle fideiussorie, non si capisce come questo tipo di società possa ottenere credito, soprattutto se si tratta di start-up costituite da giovani”.
Un altro pericolo da non sottovalutare riguarda anche e soprattutto le infiltrazioni mafiose: “l'allarme – prosegue Razzante, che è anche docente di Legislazione Antiriciclaggio presso l’università di Bologna – riguarda il finanziamento all’impresa da parte della mafia, sia come forma di prestito ad usura, con fatture apparentemente legali verso aziende criminali collaterali di comodo cui si pagheranno le forniture, sia come socio occulto in un’azienda guidata da un insospettabile. Un allarme di questo tipo è stato lanciato anche da diversi magistrati antimafia”.
E la questione del capitale è fondamentale, “poiché si possono richiedere prestiti per i macchinari e le attrezzature utili a far partire una società solo con un capitale sociale di garanzia: avere un euro nelle casse dell’azienda equivale a chiedere un prestito ed essere disoccupati. Nel provvedimento – aggiunge – non si parla invece di agevolazioni creditizie, norma che avrebbe dovuto essere prevista nel documento, con il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese o attraverso i Confidi garanti delle società presso le banche”.
I controlli di legalità. Ma Ranieri Razzante sottolinea anche “l’assenza di controlli di legalità da parte dei pubblici ufficiali, visto che gli atti costitutivi non avranno forma obbligatoria. Assenza che non consentirà, tra l’altro, alcun controllo antiriciclaggio, previsto dalla normativa a carico dei notai quando si trovano a trattare operazioni sospette”.
Quale guadagno per lo Stato?E la questione riguarda anche gli introiti che lo Stato dovrebbe incassare una volta avviate queste società. “Le aziende a un euro sono veri e propri mostri giuridici che non porteranno soldi nelle casse dello Stato: quale volano di economia si dovrebbe creare attorno a queste imprese tale da permettere fatturati tassabili?”. E infatti, sebbene in capitale sociale previsto sia irrisorio, la tassazione sarebbe tutt’altro che agevolata. Le società a un euro, aggiunge Razzante, “non potranno partecipare ad alcun appalto per cui è previsto un capitale sociale minimo. E in un periodo in cui chiudono piccole e medie imprese davvero ci si aspetta che aprano e sopravvivano società con un euro di capitale sociale? Ai tecnici la risposta”.
Infine, chi ha dovuto costituire spa o srl, si troverà concorrenti con capitale a un euro, “un particolare che va contro la libertà di impresa. E si tratta – conclude Razzante – di osservazioni tecniche, non politiche, nei confronti di un Parlamento che ha approvato senza obiezioni una forma societaria che non può esistere”.
La Polverini non poteva non sapere
L'opposizione ha deciso intanto di tentare l'affondo, annunciando la presentazione di una mozione di sfiducia subito dopo il voto dei provvedimenti di taglio delle spese di funzionamento del consiglio. Operazioni necessarie, ma che assomigliano ad un tentativo estremo di cacciare la polvere sotto il tappeto, nascondendo quei conflitti esplosivi che si annidano dietro alla guerra di dossier e di fatture sospette iniziata da un paio di mesi tra i due ex capogruppo, Franco Fiorito e Francesco Battistoni.
Per capire cosa accadde occorre per un momento allontanarsi dalla capitale, scendendo nella provincia profonda del Lazio, in quelle città divenute la chiave di volta nelle ultime elezioni regionali.L'immagine da cui partire è quella del funzionario del Pdl che nel 2010 arrivò in ritardo all'appuntamento per la presentazione delle liste, provocando il disastro - per il centrodestra - della mancata elezione dei principali esponenti del partito. Fu un evento casuale, ma che sconvolse l'equilibrio nella regione Lazio, dove, da sempre, a comandare era la politica romana, quella cresciuta attorno alle stanze del potere nazionale, sotto l'ombrello protettivo del Campidoglio. Per la prima volta in consiglio entrarono le ultime file della politica romana, esponenti di quelle liste di semplice appoggio.
Una vera pacchia per i tanti colonnelli della provincia profonda, che si trovarono in pole position, con in mano un potere mai immaginato prima. Zone come Latina - feudo di Claudio Fazzone - o come Frosinone - zona d'origine di Fiorito e, soprattutto, del presidente del consiglio provinciale Abbruzzese - e, non ultima, come Viterbo sono divenute, dal 2010 in poi, le vere piazze dove si decidevano le battaglie politiche regionali. Un vero disastro per il Pdl romano e per il gotha nazionale del partito di Silvio Berlusconi, che improvvisamente si è trovato con tanti fronti aperti, perdendo spesso il controllo delle tante battaglie interne in corso.
Viterbo è la città di due protagonisti di questa guerra intestina al centrodestra, Francesco Battistoni - l'ex capo gruppo che ha dovuto consegnare le dimissioni ad Alfano - e Angela Birindelli, assessore all'agricoltura entrata in giunta l'estate del 2010. La Procura di Viterbo sta approfondendo - in questo senso - i presunti rapporti tra Angela Birindelli e il giornale L'opinione, che di certo non è stato mai amico di Battistoni. Ma c'è di più. Una decina di giorni fa sul sito di Paolo Gianlorenzo - ex direttore dell'Opinione - sono apparse per la prima volta copie delle fatture estratte dai dossier di Fiorito, relative all'attività promozionale sponsorizzata dal Pdl della regione. Documenti che - secondo gli avvocati di Battistoni - sarebbero stati in parte falsificati. Una vicenda, questa, che sta interessando molto le procure di Viterbo e di Roma, che vogliono capire bene cosa stia realmente avvenendo.
La sensazione che si respirava ieri in consiglio regionale era quella di una resa dei conti imminente, con tane altre teste destinate a cadere.
Dietro la battaglia in corso c'è la preparazione della campagna elettorale più complessa e pericolosa della storia italiana. Con uno scenario in parte già visto tra il 1992 e il 1994.
Una trappola chiamata "Globalizzazione"
Uno sciopero nazionale di 24 ore, al quale secondo gli organizzatori (i partiti di opposizione e i sindacati) partecipano oltre 50 milioni di lavoratori, sta paralizzando l'India. Obiettivo: fermare una legge presentata dal governo che aprirebbe le porte del paese alle grandi catene internazionali della vendita al dettaglio.
Finora il sistema commerciale indiano - nel quale lavorano e vivono centinaia di milioni di persone - è sempre stato basato sul piccolo commercio e sulle catene di negozi indiani: i big globali del settore, da Wal-Mart a Carrefour e Tesco, avevano dovuto stare in sostanza alla finestra, ovvero erano presenti ma solo come fornitori all'ingrosso per i dettaglianti, senza poter vendere direttamente ai consumatori.
Il progetto del governo ora permetterà anche a questi colossi di aprire propri centri al dettaglio e di acquisire la proprietà di negozi e centri commerciali indiani. Contro questa svolta - che si teme porti alla perdita di milioni di posti di lavoro e al fallimento di un numero enorme di piccoli esercizi commerciali - si sono schierati i sindacati e diversi partiti di opposizione come il Bharatiya Janata Party e i partiti comunisti. Anche un partito della coalizione al governo a Delhi ha annunciato di volersi ritirare e i suoi ministri si sono dimessi. Ma ciononostante non sembra ci siano i numeri perché il governo perda la maggioranza in parlamento.
La giornata di sciopero ha visto la chiusura di scuole, uffici e trasporti pubblici in gran parte del paese; le città principali sono rimaste completamente paralizzate - in modo particolare ovviamente nelle regioni dove l'opposizione è al governo.
Sembra una notizia come tante ma racchiude un significato ideologico, politico e morale che noi, purtroppo, al tempo, abbiamo sottovalutato.
La globalizzazione propinata a noi occidentali come "panacea dei mali del mondo" nei primi anni '90, ha in realtà prodotto povertà, contrapposizioni ideologiche, religiose e sociali e la più profonda e lunga crisi economica e finanziaria della storia dell'umanità. Ma a quanto pare anche una nuova consapevolezza nei popoli, come quello indiano, che oggi dicono no alla globalizzazione, no alla indefessa ed oligarchica spartizione di profitti alle multinazionali che è costata l'economia di interi paesi ed il futuro di popoli inconsapevoli ed indifesi.
Con la consapevolezza maturata negli ultimi 20 anni, oggi rimpiangiamo i tempi in cui avevamo dei governi autonomi, sovrani, con una cultura altrettanto sovrana, locale. Un regime autarchico con il compito di proteggere popoli ed etnie che nel contempo permettesse livelli diversi e appropriati di sviluppo. L’avvento della globalizzazione ha spazzato via sovranità nazionali e sviluppi territoriali lasciando il campo a ciniche multinazionali in cerca della soddisfazione degli investitori attraverso il pagamento di dividendi sempre più elevato costati però posti di lavoro, diritti presenti e futuri, sviluppo e benessere diffuso.
Con conflitti crescenti prodotti dalla competitività sono nate malattie di ogni tipo, che, come scientificamente dimostrato dalle leggi biologiche di Hamer, hanno creato popoli di ammalati cronici e quindi governabili con la paura. Le malattie ci hanno privato di libertà, i farmaci ci hanno allungato la durata delle malattie. Le patologie, derivano, dai conflitti e dalla paura, senza virus, nè batteri, nè funghi, sostanze e organismi questi, che si sono rivelati essere sempre esistiti. Anzi sono elementi utili e simbionti del nostro organismo. E’ stata instillata nel popolo la paura, di perdere il lavoro, di perdere la ricchezza, di perdere la salute, di perdere i privilegi, di perdere le posizioni di vantaggio, di perdere la supremazia economica, di perdere il superfluo etichettandolo per essenziale.
E’ il diabolico gioco della globalizzazione quello di distruggere le civiltà attraverso un forte processo di integrazione razziale. La società americana ne è l’esempio più sconfortante. Una forzata integrazione razziale ha portato all’isolamento culturale e sociale dell’individuo non più rappresentato da una coesa e identitaria società antica di appartenenza, ma da una società apparentemente multirazziale in realtà governata da una razza che si ritiene“superiore”, la razza detentrice del potere economico e di conseguenza politico. Oggi la discriminazione non è più epidermica ma sociale. Prova ne è il fuori onda di Mitt Romney, candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti d'America contro il democratico Obama che si è lasciato scappare un eloquente "i poveri non mi interessano"....
La globalizzazione è accompagnata da un grave, crescente e sempre più noto deficit democratico. Si parla molto di deregulation, ma è solo un'altra parola trappola poiché nessun sistema può funzionare senza regole e la questione principale diventa chi le fa e a beneficio di chi. Oggi, gli Stati sono sottomessi a pressioni per deregolare, liberalizzare e far sì che i mercati del lavoro siano meno "rigidi", in modo che i lavoratori debbano competere tra loro mentre viene tolta loro qualsiasi protezione sociale. In più, mentre si tolgono funzioni agli Stati, nascono nuove regole internazionali, approvate senza il consenso del cittadino e poste in vigore da istituzioni non trasparenti e non frutto di elezioni, come il FMI, il WTO (world trade organization), ed altri gruppi burocratici internazionali o regionali, come il TLC dell'America del Nord. La globalizzazione è stata diretta da imprese e banche a beneficio, naturalmente, dei loro interessi e per assicurare una sempre maggior libertà alle forze del mercato, senza protezione per la gente comune, per quanto sia lavoratrice, poiché chiunque può essere cacciato in qualunque momento, visto che le 100 maggiori corporazioni multinazionali, con più del 15% del PIL della Terra, hanno licenziato, tra il 1993 e il 1995, il 4% del proprio personale ed impiegano solo 12 milioni di lavoratori. Non esistono nemmeno regole per impedire che gli oligopoli o i monopoli internazionali, per cui, dal 1995 ad oggi, i tre quarti di tutti gli investimenti diretti esterni sono stati dedicati a fusioni e acquisti che hanno causato perdita di posti di lavoro e nessun nuovo investimento volto a crearne.
Diventa oggi un dovere civico, morale lottare contro la globalizzazione imperante se vogliamo avere ancora un futuro di libertà. Il mostro globalizzante infatti ha rubato identità, violato la nostra intimità limitato e rubato le nostre libertà. I diritti acquisiti in anni di lotte, di guerre dei nostri padri, dei nostri nonni sono stati accantonati, scardinati, eliminati in virtù del bieco servile processo di smantellamento dello Stato Sociale alimentato dalla paura ed utilizzato per il controllo delle economie di interi paesi e delle vite di miliardi di persone.
Uscire dalla trappola chiamata Globalizzazione. L'esempio viene dal popolo indiano. Seguirlo significherebbe riappropriarsi del nostro lavoro, dei nostri diritti, della nostra libertà, del nostro futuro.
La grande abbuffata
Sarà difficile in futuro raggiungere il grado di miseria culturale, di degrado umano che emerge da questa storiaccia della destra laziale. Non è l'unico caso di utilizzo privato di finanziamenti pubblici, dell'accumulo e sperpero a fini personali. Le paghette del «trota» e gli stessi accaparramenti del tesoriere dell'ex Margherita fanno parte dello stesso campionario. Così come, tutti insieme, stanno a segnalare quanto agonico e decomposto sia ogni simulacro istituzionale.
Ma con quale credibilità la presidente Polverini oggi rivendica la sua estraneità al malaffare, quando proprio grazie ai capi bastone di Tuscia e Ciociaria, ai Battistoni, ai Fiorito e a tutti gli altri, si è garantita in questi anni la tenuta della sua giunta di assessori improvvisati, la sua compagnia di giro, di consulenti, collaboratori, amici e compari? Fa bene ad andarsene (sempre che lo faccia davvero), ma per favore ci risparmi il suo indignato stupore. Forse non conosceva chi le era capitato di accogliere in consiglio regionale? Non sapeva con chi avrebbe dovuto lavorare, concordare leggi e delibere, stabilire patti e accordi politici? Le sfuggiva forse che la destra, a Roma e nel Lazio, è popolata da personaggi discutibili, peracottari e faccendieri vari?
Le sue dimissioni sono un gesto di dignità personale e politica, ma non certo un atto di eroismo istituzionale. La sua breve esperienza, ancor prima dello squallido sconquasso nel gruppo consiliare Pdl, si era distinta per diverse scelleratezze, dalla sanità all'urbanistica, dal piano casa alla macelleria sociale. In un territorio flagellato dalla crisi, con centinaia di vertenze, cassa integrazione a ciclo continuo, licenziamenti a raffica, il tutto in assenza di politiche economiche regionali, strategie anticicliche, programma di ripresa e rilancio.
Renata Polverini se ne sta andando risucchiata nello stesso gorgo di Fiorito e gli altri, ma la sua crisi, la sua sconfitta sono nel fallimento delle politiche di destra, nel Lazio come a Roma. E' una stagione ormai al tramonto, quella che si sta intrecciando tra la Regione Lazio e il comune di Roma, e che vede la presidente e il sindaco penosamente affiancati nella loro rabbiosa ritirata politica.
E pensare che cinicamente c'è già chi va ipotizzando un giro di valzer tra i due. Si candidi Renata in Campidoglio e vada Gianni dove meglio ritiene.
Malcostume, mezzo gaudio!
Nel mirino di Fiorito c’è innanzitutto il «nemico» Battistoni. Il quale al momento di subentrare al suo posto ha reso pubbliche tutte le spese del predecessore, inclusi bonifici e conti correnti aperti in Spagna. Ma lo stesso Battistoni, sostiene ora Fiorito, presentava ricevute da 7 mila euro per l’acquisto di vini raffinatissimi. O anche fatture per cene per due coperti da Ottavio a Santa Croce in Gerusalemme a base di ostriche francesi, moscardini, crudo misto, fragolino sale, olio e pepe (conto: 174 euro).
Fiorito allarga il raggio della sua vendetta. Elenca le spese folli di altri componenti del partito. Vedi Veronica Cappellaro, presidente della commissione regionale Cultura che ha pagato per le cene sociali del gruppo Pdl circa 32 mila euro. Tutti nell’arco di un solo anno, il 2011 e quasi tutti nello stesso ristorante, Pasqualino al Colosseo. Pranzetti consumati all’ombra dell’Anfiteatro Flavio che ai contribuenti sono costati dagli 8 ai 10 mila euro. Senza trascurare l’immagine: la foto dell’onorevole Cappellaro, quella da mettere sul sito, per intenderci, è costata 900 euro.
Per due anni e mezzo Fiorito, ex sindaco di Anagni, ha gestito il gruppo della Regione Lazio e con molta disinvoltura anche tutti i finanziamenti che affluivano sui due conti correnti. Nel 2011 sono entrati 2.735.502,15 euro e ne sono usciti 3.110.326,15. Il bilancio è rimasto in attivo solo grazie all’avanzo dell’anno precedente (888 mila euro circa).
Insomma, tutto si può dire tranne che i consiglieri dell’Assemblea regionale laziale tutti, non solo quelli del Pdl versino in ristrettezze o siano stati costretti a tirare la cinghia. Prendiamo ad esempio i regali di Natale. Tra le ricevute presentate al capogruppo Fiorito dai suoi consiglieri per ottenere il rimborso spicca lo champagne regalato agli amici: 2 bottiglie di Paul Goerg brut Rosè o di Taittinger Millesimée, una Magnum di Primitivo. Bastava scrivere sulla fotocopia della ricevuta un semplice «ok» e giustificare l’acquisto di 10 cravatte di seta di Marinella, il fornitore preferito del Cavaliere o di 17 sciarpe lana-seta dal costo di 230 euro cadauna.
Lo sconfinata nota spese prodotta da Fiorito è chiaramente il tentativo disperato di sparare nel mucchio. Il «così fan tutti», il «muoia Sansone con tutti i Filistei». Fuoco amico. Tentativo in extremis di accomunare il malcostume sotto un unico tetto alla vigilia del vertice fissato per oggi in via dell’Umiltà. Sa Fiorito che la sospensione dal partito è il minimo che potrà capitargli e si strascina dietro anche Battistoni, l’uomo che lo ha fatto fuori affidando ai suoi avvocati il compito di fargli le pulci.
Al netto della voglia di vendetta di entrambi sul terreno resta la grande disponibilità dei nostri politici regionali. Con scelte in alcuni casi decisamente anti-economiche, che nulla hanno a che fare con i dettami più elementari della spending review. Stampanti noleggiate al costo di 3.000 euro annui (non era meglio acquistarle?). Conti da seimila euro per 200 coperti in ristoranti (Pepenero, Capodimonte, Viterbo) che anche utilizzando d’estate la veranda esterna ne possono contenere al massimo 170 e che sulla brochure indicano una capienza di 40 posti.
Il controdossier di Fiorito non risparmia neanche i contributi ai simpatizzati: 71 mila euro elargiti una tantum all’associazione del Viterbese «Progresso e Innovazione». Bonifici, assegni, fatture. Bastava la semplice indicazione «campagna di promozione territoriale delle politiche regionali in favore dei giovani» per spalancare i cordoni della borsa. Un tanto ad evento.
Un plico spillato a parte elenca le note a credito che le associazioni presentavano al gruppo regionale. Bastava specificare la data e aggiungere nella descrizione «promozione attività politica». Che si trattasse della sagra della tellina o degli strozzapreti non aveva alcuna importanza. Entrando più nel dettaglio è poi curioso osservare come a volte la rendicontazione sia frettolosa, ad esempio quando non si specifica neanche il menù, mentre altre volte si arriva a citare a gradazione alcolica, vedi «l’aperitivo rinforzato» per 250 persone servito in un locale di via Bodoni. Ostriche e moscardini si assaporavano meglio.
Polverini, è tutto un MAGNA MAGNA
"E' tutto un magna magna", locuzione popolare, dal gusto vagamente retrò ed espressione di una demagogia dilagante, populista sicuramente che però meglio di altre riassume e traduce dalla metafora alla manifestazione empirica il sentimento anti-politico che alimenta pensieri e pareri dell'opinione pubblica italiana alla luce delle recenti vicissitudini che partendo dalla regione Lazio hanno investito la politica intera. Un nuovo caso "Lusi" che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, come il sistema si auto alimenta ed auto governa, coinvolgendo tutte le forze politiche (il classico così fan tutti!), attingendo direttamente dai fondi pubblici per spese folli e costosi sollazzi incuranti della crisi economica, delle difficoltà delle famiglie ad arrivare a fine mese e di cercare o mantenere un posto di lavoro nella precarietà del vivere quotidiano.
«Chiedo scusa a tutti, ai cittadini del Lazio, a tutta la politica onesta, alle istituzioni, alle altre regioni, alle famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, agli operai della Fiat, ai media e alla mia famiglia». Così Renata Polverini, presidente della Regione Lazio ha aperto lunedì pomeriggio la seduta straordinaria del consiglio regionale convocata in seguito allo scandalo dei fondi Pdl scoppiato pochi giorni fa. Ha minacciato di andarsene, ma non si è dimessa: «Purtroppo ho appreso che non può essere immediatamente (riferendosi ai passaggi burocratici in caso di dimissioni, ndr), altrimenti sarei venuta qui in ciabatte e poi me ne sarei andata al mare». In tarda serata il consiglio ha approvato un ordine del giorno su riduzione costi. Il commento del capogruppo Pd Montino: «La montagna ha partorito un topolino».
«Se non c'è alternativa ce ne andiamo tutti a casa. Se la sfida che oggi lancio verrà accolta andremo avanti altri due anni e mezzo, altrimenti ci saluteremo stasera». Polverini ha fatto un riferimento alla Concordia («O superiamo questo scoglio o siamo come la Concordia e ci sfracelliamo») e citato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, asserendo che la sfida deve essere «fatta adesso».
«Quello che è accaduto alla Regione Lazio è una catastrofe paragonabile all'alluvione di Firenze», ha esordito la governatrice. «Sono qui per dire basta - ha detto -. Sono qui per dire che, a prescindere dal momento storico, questo atteggiamento è considerato dai cittadini insopportabile e indecente. Il Lazio non è una regione qualsiasi ma è la regione dove c'è la Capitale, dove si è consumata la storia del nostro Paese, dove vive e lavora la classe dirigente dell'Italia. Credo - ha proseguito la Polverini - che nel tentativo di spalare fango, con distinguo, ci siamo mostrati ancora più inadeguati di quanto le persone pensino. Noi dobbiamo non solo spalare fango ma fare di più. Come nel caso dell'inondazione di Firenze. Quanto è accaduto è una catastrofe per la politica, per l'Italia e per le istituzioni. A Firenze si è spalato ma si è costruito anche un argine».
Taglio delle commissioni consiliari, degli assessori, delle auto blu e addio alle somme per i gruppi consiliari. Sono i punti salienti del pacchetto di tagli presentato da Polverini. Il Consiglio regionale in tarda serata approva l'ordine del giorno della maggioranza sulla riduzione dei costi con 41 voti favorevoli e 26 astenuti (3 consiglieri assenti). «Il Consiglio regionale del Lazio, aderendo alle dichiarazioni della presidente della Regione, impegna la giunta regionale e il presidente del Consiglio regionale a presentare entro 7 giorni una o più proposte di carattere statutario, legislativo o regolamentare volte a realizzare», tra le altre cose, «il dimezzamento delle commissioni consiliari e la cancellazione delle commissioni speciali; il dimezzamento delle somme destinate al rapporto eletto/elettore; l'azzeramento dei contributi destinati alle attività dei gruppi consiliari e la sospensione di quelli per il solo funzionamento dei gruppi consiliari fino all'introduzione di un sistema trasparente di certificazione e controllo delle somme allo scopo destinate». Polemica l'opposizone: «Alla fine la montagna ha partorito il solito topolino» ha dichiarato il capogruppo regionale del Pd Esterino Montino, «la Polverini resta, restano i vitalizi ai suoi sodali che in trent’anni ci costeranno quasi 20 milioni di euro e i suoi 14 assessori esterni che pesano sulle tasche dei cittadini per 5 milioni l’anno. Restano le indennità per tutte le cariche, i rimborsi chilometrici, restano le consulenze. Gli unici tagli riguardano i fondi per i gruppi, su cui siamo d’accordo, lo scioglimento dei monogruppi, su cui non potevamo che essere d’accordo visto che lo chiediamo da tempo. L’ordine del giorno delle opposizioni che prevedeva il taglio dei privilegi più insensati, infatti, è stato bocciato. Peccato, si è persa una grande occasione per procedere a un taglio vero dei costi della politica».
Nel suo discorso la presidente del Lazio ha poi fatto riferimento ai suoi recenti problemi di salute. «I tumori che stanno qua dentro come nella mia gola vanno estirpati, oggi. Non intendo nella maniera più assoluta mantenere questa regione nello stress comunicativo che non permette di dire cosa faremo di buono». Polverini ha poi chiesto scusa anche alla sua famiglia: «Voglio chiedere scusa alla mia famiglia, trascinata in gogne mediatiche perché ho messo a disposizione il mio impegno personale per la Regione. Chiedo scusa alla mia famiglia perchè ho dovuto farmi togliere due tumori alla tiroide... E non li ho potuti neanche avere vicino quando sono stata operata in quel Grand Hotel - ha detto ironicamente - che è l'ospedale Sant'Andrea».
E' un quadro politico e umano contrastante quello tratteggiato dalle cronache degli ultimi giorni. Un gioco di opposizioni inconciliabili, che danno vita ad una commedia dell'arte ove si intrecciano, in un ritmo serrato e quasi teatrale, ruoli, caratteri e azioni tipiche.
La grossonalità e l'arroganza impudente del consigliere Franco Fiorito, emblema di un sistema politico regionale ormai logoro, si scontrano con la vergogna e la mortificazione del Presidente della Giunta, Renata Polverini. Lo slancio propositivo e lo scatto d'orgoglio, nella parte finale del lungo discorso di ieri, a voler riscattare e rivendicare la propria dignità e della Regione tutta, si mescolano, senza amalgamarsi, ai fatti. Rendendo il contrasto dolente.
Renata Polverini ha chiesto scusa a tutti. Ai cittadini, della propria regione e dell'intero Paese, alla politica perbene, alle Istituzioni, finanche agli operai Fiat dello stabilimento di Cassino.
Ha implorato il perdono collettivo per l'ennesima “catastrofe della politica italiana”: un sofferto 'mea culpa' che non cancella l'orrendo spettacolo né l'arrogante derisione con cui l'ex capogruppo del Pdl, Franco Fiorito, ha ammesso di aver sottratto ingenti somme di denaro pubbliche per altri scopi, molto distanti dall'impegno politico. ( al Fatto quotidiano ha confessato di aver comprato un Suv Bmw da 88 mila euro, perchè “di quella macchina ne avevo davvero bisogno”)
Ha chiesto scusa, ha fatto ammenda delle colpe di alcuni membri non immacolati del Consiglio. Si è vergognata e umiliata, ma mai quanto i cittadini della sua Regione, ben prima di lei.
Le scuse, infatti, questa volta non bastavano. Non erano sufficienti. Non dovevano esserlo.
Di fronte alle ammissioni di Fiorito ai giornali e agli inquirenti, che lo accusano di peculato, il Presidente doveva dimettersi.
Doveva prendere le distanze politicamente e moralmente da uno scandalo, maturato alle sue spalle nel corso di due anni di legislatura, che non ha saputo impedire, con la giusta e diligente vigilanza, né stigmatizzare sufficientemente.
Le dimissioni di Renata Polverini erano doverose - il passo necessario - anche perchè “l'affaire Fiorito” evidenzia un profondo problema politico: l'inequivocabile assenza di leadership politica del Presidente della Giunta, incapace di esprimere una guida forte e carismatica, di indirizzare autonomamente la linea programmatica e di decidere con autonomia e discrezionalità.
Alle spalle del Presidente, per due lunghi anni, si sono tessute le sottili trame della politica locale, si sono scontrati interessi e convenienze di partito, dinnanzi alle quali nulla ha potuto, perchè nulla poteva.
Le dimissioni erano l'unica chance di uscire a testa alta, prendendo le distanze e rivendicando la moralità del proprio operato, da giochi di Palazzo ormai divenuti per Lei incontrollabili. Ed erano il passo necessitato anche perchè aveva il dovere di assumersi la responsabilità politica e oggettiva di quanto accaduto in seno al gruppo consiliare, di cui non è leader, ma espressione.
Ha prevalso invece la collaudata “strategia dell'emergenza”, cui il nostro Paese da decenni è abituato. Il vertice politico, responsabile, anche moralmente, dell'operato delle Istituzioni che guida e controlla, prende atto, dell'emergenza come dello scandalo, e agisce di conseguenza.
Dopo. Sempre dopo.
Non conta, si giustificheranno, chiedersi come mai nessuno si fosse accorto di alcunchè, data la vastità delle malefatte, né tantomeno interrogar loro se avessero potuto attivarsi prima. Non importa cosa si poteva fare prima, risponderanno, secondo un copione noto, pronti ad agire subito dopo.
Così si è agito anche in Regione Lazio.
Delle due l'una: o il Presidente Polverini non ha potuto arginare né porre rimedio allo scandalo che montava, perchè lasciata sola e incapace di esprimere una leadership adeguata; oppure non ha avuto il minimo sentore, né sospetto di quello che accadesse alle spalle dei cittadini e dell'ufficio di Presidenza.
Comunque siano andate le cose, la scelta obbligata coincideva con le dimissioni: nel primo caso, prendendo atto di fronte agli elettori del Lazio di non aver saputo onorare il mandato elettorale; nel secondo caso per una responsabilità politica e oggettiva.
Si è preferito imboccare, invece, la via più piana. La vergogna e la mestizia iniziale sono state scalzate dal tono duro e deciso del vecchio leader sindacale, propositivo ed efficace.
Ma non basterà il cambiamento del tono, davanti alle telecamere, per segnare davvero un nuovo corso. Gli uomini e i mali della Regione restano lì. A guardare.
La nettezza del suo aut aut ( o si approvano i tagli – dopo lo scandalo, non considerando i denari pubblici già perduti – o mi dimetto) non ha convinto nessuno. Era fuori tempo massimo.
Negli altri paesi funziona diversamente: da un fatto che mina la credibilità delle Istituzioni se ne traggono immediatamente le conseguenze.
Il braccio di ferro tra Polverini e il Pdl, finirà per spezzare la prima, sempre più sola. E le ripercussioni sull'agenda di governo si faranno presto sentire.
Non passerà alla storia questo Consiglio regionale. O meglio, forse sì, ma segnerà una pagina, che i cittadini del Lazio avrebbero preferito strappare.
Il "giochino" del Cavaliere
Berlusconi parla di tasse, Imu, fiscal compact, Banca centrale europea, Rai. E anche di Matteo Renzi, outsider nelle primarie del Pd. In apertura, sostiene che durante una grave crisi economica ''il fattore psicologico e' fondamentale''. L'ottimismo non e' pero' sufficiente, chiarisce.
Da qui la richiesta a Mario Monti di abbassare la pressione fiscale giunta negli ultimi mesi fino al 55% in modo da poter uscire dalla recessione. Intanto, annuncia che un governo di centrodestra cancellerebbe immediatamente la tassa municipale sugli immobili (Imu): ''La casa e' il pilastro su cui ogni famiglia fonda il suo futuro''.
Il Cavaliere non risparmia critiche all'Unione europea, in particolare alle norme del fiscal compact che imponendo la parita' di bilancio ai singoli paesi impedirebbero la crescita, e alla politica della cancelliera tedesca Angela Merkel che non consente alla Bce di ''battere moneta e questo e' un mattone che pesa in maniera tragica''. L'ex premier e' critico pure nei confronti del governo tecnico guidato da Monti che avrebbe solo imposto rigore economico e nuove tasse.
Berlusconi ripercorre poi i suoi quasi vent'anni di impegno politico e ricorda l'opera degli esecutivi guidati da lui: ''Abbiamo fatto piu' di quaranta riforme: dalla lotta alla criminalita', alle grandi opere e all'istruzione''. Un nuovo rilancio programmatico, sottolinea, deve servire per ''non consegnare il paese alla sinistra''. L'ex premier precisa che le riserve sulla ricandidatura a premier si scioglieranno quando sara' nota la nuova legge elettorale e che non ha mutato l'intenzione di modificare la Costituzione in direzione del semipresidenzialismo: ''Altrimenti l'Italia resta ingovernabile''.
Parlando degli avversari politici, fa gli auguri a Matteo Renzi in lizza per la premiership del centrosinistra perche' ''porta avanti le nostre idee, sotto le insegne del Pd''. Poi aggiunge su questo punto: ''Se Renzi vince le primarie, si verifica questo miracolo: il partito comunista italiano diventa finalmente un partito socialdemocratico''.
Il riferimento positivo non e' stato gradito, fa sapere lo staff del sindaco di Firenze che lo accompagna nel tour a bordo del camper che fa il giro d'Italia per promuovere la candidatura nelle primarie del Pd: si teme il cosiddetto ''bacio della morte''. Lo stesso Renzi replica in serata dalla Festa democratica di Firenze: ''Credo che Saragat si rigiri nella tomba, se io sono socialdemocratico. Berlusconi, invece, e' il passato di questa Italia. Io mi impegno per il futuro''.
Berlusconi coglie l'occasione dell'intervista a Sallusti per parlare di Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle: ''E' uno straordinario attore comico. Non ci si improvvisa amministratori di un paese o di una citta'. C'e' qualcuno che scrive il copione da far recitare a Grillo, proprio come ha fatto tutta la vita''.
Il Cavaliere torna infine a criticare alcune trasmissioni della Rai, sottolineando come a suo parere Mediaset non abbia ''mai fatto un programma contro un partito politico, a differenza del servizio pubblico dove ci sono i vari Ballaro'''. Nessun riferimento all'ipotesi che Mediaset stia trattando l'acquisto dell'emittente La7 da Telecom.
Intanto, Angelino Alfano torna su alcune delle proposte rilanciate da Berlusconi chiudendo a Roma ''Atreju'', la Festa dei giovani del Pdl: ''L'Italia e' un grande paese e Berlusconi ha fatto cose importantissime. Non credo invece che con una sinistra a guida Bersani e dominata dal punto di vista della politica economica dalla Cgil ci possa essere un destino per il nostro paese. Sarebbe una politica economica tassa e spendi''.
Sulla ricandidatura di Berlusconi a premier, il segretario del Pdl annota che ha un forte indice di gradimento e che le riserve verranno sciolte al momento opportuno: ''Con la notorieta' che ha, non ha bisogno di illustrarsi agli italiani che lo conoscono bene''.
Alfano si dice convinto che entro il 10 ottobre ci sara' la nuova legge elettorale che deve ''restituire ai cittadini il diritto di scegliere il proprio deputato e il proprio senatore''. Conclude polemicamente su questo punto il segretario del Pdl rivolgendosi al Pd: ''Chiediamo a tutti coloro che in modo indiretto vogliono difendere il Porcellum di dirlo pubblicamente. In ogni caso, speriamo che ci sia l'accordo il piu' ampio possibile, perche' sulle regole e' sempre preferibile il piu' ampio accordo possibile''.
Wikipedia: La riforma della riscossione è avvenuta con l’entrata in vigore dell’art. 3 del decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005 deliberato dal Governo Berlusconi III[1], convertito con modificazioni nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005.
Quanto costa Bankitalia: dai 7 milioni per i giardini agli 819 per il personale
Mentre la vigilanza va alla Bce via Nazionale resta un carrozzone da 7mila dipendenti che costa cifre mostruose tra stipendi, diarie per missioni e trasferimenti. E poi 15 milioni per i videocitofoni nuovi di zecca, poltrone d'oro e consulenze per tutti. E ancora sprechi, appalti milionari, doppi incarichi. Ecco come il tesoretto degli italiani si disperde, sotto gli occhi distratti del governo
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