Il piano per la crescita approvato dal Consiglio dei ministri elenca una lunga serie di argomenti, per lo più condivisibili. Non bisogna però aspettarsi risultati immediati, perché la ripresa dipende dalla congiuntura internazionale, che per il momento non dà segni di miglioramento. E un governo in carica per ancora pochi mesi, non può che limitarsi a indicare alcune priorità. Ecco quali riforme strutturali potrebbero rimuovere i vincoli che fanno dell’Italia un ambiente poco attrattivo per gli investitori di qualsiasi nazionalità.
Il governo Monti ha messo la crescita al centro della sua agenda di politica economica. Per sottolinearlo, è stato dato grande risalto al “seminario” tenuto fra i ministri su questi temi. Il materiale reso pubblico, in particolare la relazione di sintesi, elenca una lunga serie di argomenti, per lo più condivisibili. C’è tuttavia un equivoco di fondo che è bene chiarire. Le riforme strutturali sono fondamentali per aumentare il potenziale di crescita di lungo periodo, ma non sono il fattore che porrà fine alla recessione.
LA QUESTIONE CONGIUNTURA
Il quadro congiunturale internazionale non migliora, anzi ci sono segnali di deterioramento. È una situazione che verrebbe normalmente affrontata con il sostegno alla domanda. Purtroppo, anni di politiche di bilancio dissennate hanno completamente escluso la possibilità di ricorrere a interventi espansivi di carattere fiscale. Il governo si concentra giustamente sulle politiche di offerta, con le fatidiche riforme strutturali. È la scelta giusta, ancorché forzata. Il Paese non cresce da quasi vent’anni. Solo riforme strutturali serie ci permetteranno di agganciare la ripresa quando questa si materializzerà nel resto del mondo. In più, un programma credibile di riforme strutturali può avere risultati immediati riducendo gli spread sul debito pubblico, con effetti positivi sui bilanci bancari e sulla disponibilità di credito per le nostre imprese. Ma è dannoso suggerire che possano essere il motore che farà ripartire il ciclo. La fine della crisi dipende in gran parte dalla congiuntura internazionale ed è al di fuori del controllo del governo. È bene che anche i politici, sempre in pressing per stimoli immediati alla crescita, lo tengano presente. Le imprese italiane hanno dimostrato una forte capacità di resistenza a una crisi lunga e profonda. Ma, come sostenuto da Andrea Guerra in un’intervista alla Stampa del 2 luglio scorso (che consiglio a chiunque si occupi di competitività delle imprese), “Meglio questo [sapere che la congiuntura rimarrà debole nei prossimi dodici mesi] dell’incertezza e delle illusioni: se sai che le cose non miglioreranno a breve, allora sei costretto a cambiare pelle, a provare a pensare diverso”.
LA LISTA DELLE PRIORITÀ
Nel merito dei contenuti, il documento del governo è inevitabilmente molto ecumenico, con una lista lunga di propositi, in alcuni casi così generici da essere non informativi (ad esempio, il non meglio precisato “disegno di legge che valorizzi il merito”). Non vi sono dettagli operativi e quindi è impossibile formulare un giudizio di merito. Si può solo ragionare sulle priorità, compito fondamentale del presidente del Consiglio nei pochi mesi restati della legislatura. Un segnale del fatto che Mario Monti è ben presente è che non c’è nessun riferimento alla defiscalizzazione dell’Iva sulle opere pubbliche, di cui si era discusso nei giorni precedenti. Un provvedimento di cui non si vede la logica: si tratta di una forma indiretta di finanziamento pubblico. Di giochi delle tre carte con la finanza pubblica ne sono stati fatti tanti in passato, con i risultati sotto gli occhi di tutti.
Per quel che riguarda le politiche per la competitività, non emergono idee particolarmente innovative. Molta attenzione è stata prestata, al solito, al problema delle start up, con propositi di riduzione delle tasse (l’impresa a un euro) e del carico burocratico (il sempreverde sportello unico). La riduzione dei costi di start up è utile. Ma come ho sostenuto più volte, il problema principale della demografie delle imprese italiane non è la natalità – di imprese ne nascono molte – ma la scarsa propensione a crescere. Da questo punto di vista, si nominano incentivi per il venture capital (un mercato che sarebbe importantissimo sviluppare) e il disegno di legge annuale per le Pmi, senza ulteriori dettagli. Molta enfasi è data agli investimenti diretti esteri, per attrarrei i quali si fa cenno a incentivi. Non è la strada giusta. La scarsità di IDE è un indicatore di un ambiente poco favorevole all’attività d’impresa. Le riforme strutturali devono rimuovere questi vincoli, rendendo l’ambiente più attrattivo per gli investitori in generale, qualunque sia il loro passaporto. Da questo punto di vista, sceglierei tre priorità.
a) Migliorare l’efficienza del sistema giudiziario. Alcuni provvedimenti del governo vanno in questa direzione (come l’accorpamento dei piccoli tribunali e il tribunale delle imprese), ma è difficile che portino a una drastica riduzione della durata dei processi. Viene da chiedersi se non si potrebbe intraprendere una riforma più ambiziosa del processo civile.
b) Ridurre la burocrazia e le incertezze procedurali, rendere la macchina dello Stato più efficiente. Anche da questo punto di vista molti progetti sono stati messi in cantiere, ma la riforma del settore pubblico è solo all’inizio. Bene l’intenzione di equiparare la legislazione del diritto del lavoro fra lavoratori pubblici e privati. Importante insistere sul merito e sulla valutazione.
c) Ridurre il carico fiscale in generale, sul lavoro in particolare. Per far ciò, la strada maestra passa per la riduzione della spesa pubblica, su cui il governo deve intensificare gli sforzi. Ma si deve anche insistere sulla riforma del sistema tributario, riducendo le distorsioni a parità di gettito. L’obiettivo di scongiurare l’aumento dell’Iva dell’agosto 2013 è un ottimo strumento per tenere a bada i fautori della spesa. Di per sé, però, sarebbe più utile ridurre il cuneo fiscale sul lavoro per migliorare la competitività delle nostre imprese. Tagli significativi di spesa potrebbero permettere di raggiungere entrambi gli obiettivi.
"La ripresa continua a essere lenta" in Italia ed è trainata soprattutto dalle esportazioni: a dirlo la Commissione Ue, che per il 2011 si attende una crescita del pil dell'1% (leggermente in ribasso rispetto all'1,1% previsto in febbraio) e nel 2012 dell'1,3%, contro una media dell'Eurozona dell'1,6% quest'anno e dell'1,8% il prossimo. La ripresa italiana - sottolinea ancora Bruxelles, che oggi ha presentato le previsioni economiche di primavera - è trainata soprattutto dall'export ma risulta essere derivante da risultati estemporanei piuttosto che conseguenza di interventi programmatici e strutturali dell'esecutivo.
LA SITUAZIONE EUROPEA. Al contrario in Europa la ripèresa economica è "solida e prosegue nonostante le recenti turbolenze e tensioni sul mercato del debito sovrano": commenta il Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, guardando le previsioni di primavera per il 2011/2012 elaborate dalla Commissione. "I deficit pubblici diminuiscono chiaramente - spiega Rehn - è ormai essenziale che questa tendenza alla crescita e al consolidamento si confermi e che si traduca con un aumento del numero e della qualità dei posti di lavoro.
Ancora lontani dall'Europa dunque, mentre continuiamo a impantanarci in polemiche politiche che in nessun modo servono a risollevare l'economia..
LA CRESCITA: questa sconosciuta...
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La più grande difficoltà sta nell'interpretare la politica come un mezzo al servizio della collettività, della giustizia sociale, uno strumento utile a migliorare la qualità della vita di tutti noi. gli anni trascorsi dal '94 ad oggi hanno segnato le menti, le coscienze ed i cuori, riempendoli di scontri verbali, contrapposizioni ideologiche, dietrologie politiche, lotte di classe. Tutto ciò fa gioco alla oligarchia classista avida di potere che detiene non soltanto il potere politco, ma soprattutto, il potere economico e finaziario di questo paese. In realtà "gli affari" vengono fatti con l'accordo di tutti trasversalmente ad ogni "finta ideologia" politica. La politica degli opposti schieramenti, delle tifoserie selvagge, della contrapposizione liberista-comunista è nella realtà odierna una assurda amenità anacronistica utile soltanto al conservatorismo liberista finto riformista che così continua a tenere sotto scacco le capacità imprenditoriali, i talenti intellettuali, la voglia di "cambiamento" di questo paese. Facciamo che queste eccellenze non rimangano inespresse: lottiamo "insieme" senza inutili contrapposizioni ideologiche. Una cosa ci accomuna tutti: l'amore per il nostro paese. lottiamo insieme per costruire un futuro migliore per tutti!
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