Uno sciopero nazionale sta paralizzando l'India: lo hanno indetto i partiti di opposizione e i sindacati contro i piani del governo per aprire il paese alle grandi catene multinazionali della vendita al dettaglio.

Uno sciopero nazionale di 24 ore, al quale secondo gli organizzatori (i partiti di opposizione e i sindacati) partecipano oltre 50 milioni di lavoratori, sta paralizzando l'India. Obiettivo: fermare una legge presentata dal governo che aprirebbe le porte del paese alle grandi catene internazionali della vendita al dettaglio.
Finora il sistema commerciale indiano - nel quale lavorano e vivono centinaia di milioni di persone - è sempre stato basato sul piccolo commercio e sulle catene di negozi indiani: i big globali del settore, da Wal-Mart a Carrefour e Tesco, avevano dovuto stare in sostanza alla finestra, ovvero erano presenti ma solo come fornitori all'ingrosso per i dettaglianti, senza poter vendere direttamente ai consumatori.
Il progetto del governo ora permetterà anche a questi colossi di aprire propri centri al dettaglio e di acquisire la proprietà di negozi e centri commerciali indiani. Contro questa svolta - che si teme porti alla perdita di milioni di posti di lavoro e al fallimento di un numero enorme di piccoli esercizi commerciali - si sono schierati i sindacati e diversi partiti di opposizione come il Bharatiya Janata Party e i partiti comunisti. Anche un partito della coalizione al governo a Delhi ha annunciato di volersi ritirare e i suoi ministri si sono dimessi. Ma ciononostante non sembra ci siano i numeri perché il governo perda la maggioranza in parlamento.
La giornata di sciopero ha visto la chiusura di scuole, uffici e trasporti pubblici in gran parte del paese; le città principali sono rimaste completamente paralizzate - in modo particolare ovviamente nelle regioni dove l'opposizione è al governo.

Sembra una notizia come tante ma racchiude un significato ideologico, politico e morale che noi, purtroppo, al tempo, abbiamo sottovalutato.
La globalizzazione propinata a noi occidentali come "panacea dei mali del mondo" nei primi anni '90, ha in realtà prodotto povertà, contrapposizioni ideologiche, religiose e sociali e la più profonda e lunga crisi economica e finanziaria della storia dell'umanità. Ma a quanto pare anche una nuova consapevolezza nei popoli, come quello indiano, che oggi dicono no alla globalizzazione, no alla indefessa ed oligarchica spartizione di profitti alle multinazionali che è costata l'economia di interi paesi ed il futuro di popoli inconsapevoli ed indifesi.


Con la consapevolezza maturata negli ultimi 20 anni, oggi rimpiangiamo i tempi in cui avevamo dei governi autonomi, sovrani, con una cultura altrettanto sovrana, locale. Un regime autarchico con il compito di proteggere popoli ed etnie che nel contempo permettesse livelli diversi e appropriati di sviluppo. L’avvento della globalizzazione ha spazzato via sovranità nazionali e sviluppi territoriali lasciando il campo a ciniche multinazionali in cerca della soddisfazione degli investitori attraverso il pagamento di dividendi sempre più elevato costati però posti di lavoro, diritti presenti e futuri, sviluppo e benessere diffuso.


Con conflitti crescenti prodotti dalla competitività sono nate malattie di ogni tipo, che, come scientificamente dimostrato dalle leggi biologiche di Hamer, hanno creato popoli di ammalati cronici e quindi governabili con la paura. Le malattie ci hanno privato di libertà, i farmaci ci hanno allungato la durata delle malattie. Le patologie, derivano, dai conflitti e dalla paura, senza virus, nè batteri, nè funghi, sostanze e organismi questi, che si sono rivelati essere sempre esistiti. Anzi sono elementi utili e simbionti del nostro organismo. E’ stata instillata nel popolo la paura, di perdere il lavoro, di perdere la ricchezza, di perdere la salute, di perdere i privilegi, di perdere le posizioni di vantaggio, di perdere la supremazia economica, di perdere il superfluo etichettandolo per essenziale.

E’ il diabolico gioco della globalizzazione quello di distruggere le civiltà attraverso un forte processo di integrazione razziale. La società americana ne è l’esempio più sconfortante. Una forzata integrazione razziale ha portato all’isolamento culturale e sociale dell’individuo non più rappresentato da una coesa e identitaria società antica di appartenenza, ma da una società apparentemente multirazziale in realtà governata da una razza che si ritiene“superiore”, la razza detentrice del potere economico e di conseguenza politico. Oggi la discriminazione non è più epidermica ma sociale. Prova ne è il fuori onda di Mitt Romney, candidato repubblicano alla Presidenza degli Stati Uniti d'America contro il democratico Obama che si è lasciato scappare un eloquente "i poveri non mi interessano"....

La globalizzazione è accompagnata da un grave, crescente e sempre più noto deficit democratico. Si parla molto di deregulation, ma è solo un'altra parola trappola poiché nessun sistema può funzionare senza regole e la questione principale diventa chi le fa e a beneficio di chi. Oggi, gli Stati sono sottomessi a pressioni per deregolare, liberalizzare e far sì che i mercati del lavoro siano meno "rigidi", in modo che i lavoratori debbano competere tra loro mentre viene tolta loro qualsiasi protezione sociale. In più, mentre si tolgono funzioni agli Stati, nascono nuove regole internazionali, approvate senza il consenso del cittadino e poste in vigore da istituzioni non trasparenti e non frutto di elezioni, come il FMI, il WTO (world trade organization), ed altri gruppi burocratici internazionali o regionali, come il TLC dell'America del Nord. La globalizzazione è stata diretta da imprese e banche a beneficio, naturalmente, dei loro interessi e per assicurare una sempre maggior libertà alle forze del mercato, senza protezione per la gente comune, per quanto sia lavoratrice, poiché chiunque può essere cacciato in qualunque momento, visto che le 100 maggiori corporazioni multinazionali, con più del 15% del PIL della Terra, hanno licenziato, tra il 1993 e il 1995, il 4% del proprio personale ed impiegano solo 12 milioni di lavoratori. Non esistono nemmeno regole per impedire che gli oligopoli o i monopoli internazionali, per cui, dal 1995 ad oggi, i tre quarti di tutti gli investimenti diretti esterni sono stati dedicati a fusioni e acquisti che hanno causato perdita di posti di lavoro e nessun nuovo investimento volto a crearne.

Il successo della globalizzazione neoliberista porterà la politica del XXI secolo non ad occuparsi di chi governerà chi o di chi riceverà quale parte della torta, ma invece di chi avrà il diritto di vivere e chi no, perché, al contrario di come si descrive, la globalizzazione solo teoricamente vuole creare un mondo unico ed integrato che crei sviluppo e benessere. Il modello invece sarà caratterizzato dall'aumento delle disuguaglianze all'interno delle nazioni, aumentando la forbice tra ricchi e poveri e trasferendo la sovranità di Stati "diversamente" democratici verso entità ed organizzazioni non elette, non trasparenti e non responsabili.
Diventa oggi un dovere civico, morale lottare contro la globalizzazione imperante se vogliamo avere ancora un futuro di libertà. Il mostro globalizzante infatti ha rubato identità, violato la nostra intimità limitato e rubato le nostre libertà. I diritti acquisiti in anni di lotte, di guerre dei nostri padri, dei nostri nonni sono stati accantonati, scardinati, eliminati in virtù del bieco servile processo di smantellamento dello Stato Sociale alimentato dalla paura ed utilizzato per il controllo delle economie di interi paesi e delle vite di miliardi di persone.

Uscire dalla trappola chiamata Globalizzazione. L'esempio viene dal popolo indiano. Seguirlo  significherebbe riappropriarsi del nostro lavoro, dei nostri diritti, della nostra libertà, del nostro futuro.