La Germania è «più pessimista della settimana scorsa sul risultato del Consiglio europeo» dell'8 e 9 dicembre, fa filtrare una fonte governativa a Berlino. In Francia, il ministro delle finanze, François Baroin, parla di «situazione grave» e della necessità di «uno choc di fiducia». Timothy Geithner, segretario al Tesoro Usa, ieri ricevuto all'Eliseo, ricorda che «gli occhi del mondo intero sono rivolti all'Europa» e vuole credere che ci siano «segnali incoraggianti» e si dice «fiducioso».
Ma la confusione regna alla vigilia dell'inizio dell'ennesimo vertice «decisivo» per salvare l'euro. Intanto, Moritz Kraemer, l'uomo di Standard & Poor's per l'Europa, precisa la posizione dell'agenzia di rating, che, dopo Moody's, ha minacciato di abbassare il voto tutti i paesi della zona euro e anche quello del Fondo salva-stati (regola matematica: se i paesi AAA perdono valore, allora il Fesf perde rating di conseguenza, addirittura di due punti se la Francia cede due punti). Il vertice, per S&P, sarà un «esame» per verificare se la zona euro «recupera la fiducia». Per Kraemer è soprattutto la confusione politica della Ue a creare problemi. Difatti, dice, la Gran Bretagna - che ha dei conti peggiori della media dei paesi euro - corre meno rischi perché con un solo governo è più facile trovare delle soluzioni.
Ieri, è arrivata al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, la lettera di Merkozy. Il presidente francese e la cancelliera tedesca spiegano che «per sormontare la crisi attuale devono essere prese tutte le misure necessarie per stabilizzare la zona euro». E' ormai chiaro che sarà molto difficile arrivare a una riforma dei trattati a 27 (Gran Bretagna e Repubblica ceca sono contrarie, come la Commissione). Ma per Merkozy c'è «bisogno di un contratto rinnovato tra i membri della zona euro», cioè di «regole e impegni vincolanti». Propongono una «architettura istituzionale rafforzata», con vertici regolari a 17 (almeno due volte l'anno e una volta al mese fino a fine crisi) e la costituzione di un «eurogruppo ministeriale». La lettera parla di «quadro di prevenzione globale»: ogni stato dovrà avere un budget equilibrato e la Corte di giustizia veglierà sulla trascrizione della «regola aurea» nelle Costituzioni. In base all'articolo 123 sulle «cooperazioni rafforzate», i 17 si coordineranno sulla regolazione finanziaria, il mercato del lavoro, la convergenza fiscale, le politiche di sostegno alla crescita e, persino, sulla tassazione delle transazioni finanziarie. Per essere sicuri che tutti rispetteranno delle politiche sane, ci saranno sanzioni «automatiche» per i trasgressori (a meno di un voto contrario a maggioranza qualificata nell'Eurogruppo, la Francia ha ottenuto questa piccola deroga all'automaticità cara ai tedeschi). La lettera Merkel-Sarkozy si conclude con un riferimento al Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che dovrebbe succedere al Fesf già nel 2012 e che escluderà i privati, perché sia chiaro che il caso «Grecia è unico ed eccezionale», cioè che nessuno stato sarà messo in semi-default e le banche chiamate a pagare.
La Commissione e van Rompuy sono scettici. Prima di tutto, escludono la strada della riforma dei trattati, troppo complicata, lunga e piena di incognite (alcuni paesi sono obbligati a passare per il referendum, solo Mariano Rajoy si è detto d'accordo). Propongono un più semplice emendamento del Protocollo 12 (sui deficit eccessivi), che può essere modificato senza ratifiche nazionali. La «regola aurea» entrerà per questa strada. Le «cooperazioni rafforzate» potranno fare il resto per Bruxelles, senza sconvolgere l'architettura istituzionale. Van Rompuy propone di affiancare il Mes al Fesf: 500 nuovi miliardi di euro, accanto ai 250 che restano sui 440 di cui era stato dotato il fondo salva-stati, che potrebbe trasformarsi in banca. Ma su questo punto c'è il nein di Merkel. La Commissione spera sempre di ottenere a proprio vantaggio dei poteri «intrusivi» sulle finanziarie, mentre Merkozy punta tutto sull'intergovernativo. Commissione; Merkozy (fronte con delle falle); altri stati della zona euro; dieci Ue non nell'euro: è un gioco a quattro/cinque che si apre oggi, con un esito più che incerto.

Intanto la Banca centrale di Mario Draghi ha abbassato il tasso di sconto di 25 punti base, portandolo all'1%, il livello più basso da quando esiste l'euro. Ma sarà la riunione del Consiglio d'Europa (composto dai capi di governo o di Stato dei singoli paesi dell'Unione) quella veramente decisiva per le sorti della moneta unica nonché della Ue.

Draghi ha spiegato che la decisione della Bce di vendere denaro ad un prezzo più basso è un atto necessario data la "moderata recessione" in cui l'economia europea tutta è entrata nell'ultimo trimestre. In verità «E' la situazione del sistema bancario, che si intreccia con la crisi del debito sovrano, a destare in questo momento le maggiori preoccupazioni all'Eurotower. Le banche hanno difficoltà enormi a finanziarsi sul mercato, l' interbacario è paralizzato, e questo sta producendo una stretta creditizia [credit crunch] che a sua volta può peggiorare l'andamento dell'economia». [Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011].

Questo nel linguaggio felpato dell'analista. Detto fuori dai denti lo spettro che fa davvero paura è il default seriale di alcune grandi banche europee, alle prese con crediti inesigibili, da una parte, e col fatto che buona parte dei loro asset è composta proprio da titoli di stato che potrebbero deprezzarsi ancora, sulla strada per diventare carta straccia, non utilizzabili come collaterale, non scambiabile sui mercati finanziari.

Questo spettro aleggia sul summit europeo di domani (oggi, ndr), assieme all'altro, interdipendente, del rischio di default dei debiti sovrani di alcuni paesi, tra cui l'Italia. Non un summit ordinario dunque, ma decisivo per molti aspetti. Gli analisti, tutti o quasi convergono nel sostenere che, o il vertice riuscirà a prendere misure straordinarie o l'euro è destinato a soccombere. Nel loro gergo evocativo o big bazooka o la fine della moneta unica.

Ma cos'è questo big bazooka? Molto semplice. «Il mercato si è messo in testa un bazooka tra i 1.000 e i 2.000 miliardi e smuoverlo da questa impresa ciclopica appare allo stato attuale un'impresa ciclopica». [Isabella Bufacchi, I mercati mettono i leader alle strette. Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011]

In altre parole, i grandi predoni della finanza globale, incluse le stesse banche d'affari, non solo americane ed inglesi ma pure quelle continentali, ritengono che solo se l'Unione metterà assieme un congruo fondo salva-stati (per proprietà transitiva salva-banche) di quella dimensione, oppure tutto crollerà, con un botto ben più grande di quello dell'autunno. Non basta. I "mercati" chiedono che la Bce, in deroga ai Trattati europei, avvii una aggressiva politica di quantitative easing (Qe), sullo stile della Fed nordamericana. Chiedono che la Bce stampi euro in quantità industriali, che si trasformi finalmente in "prestatore di ultima istanza", prestando soldi agli Stati oltre che alle banche.

«L'opinione comune è che la Bce stia facendo troppo poco e quel poco troppo tardi. Il modello di banca centrale che i mercati hanno in mente è la Fed che negli ultimi anni, forse decenni, è stata sempre prodiga nel soccorrere banche, società finanziarie e Tesoro americano. Di tutti gli strumenti monetari, il più apprezzato è stato e rimane ilquantitative easing, ossia l'acquisto massiccio di titoli di Stato sul mercato, creando nuova moneta. Contrabbandato come aiuto all'economia, il Qe ha soprattutto l'effetto di contenere il costo del debito pubblico, tenendo bassi i tassi interesse, di aiutare l'export, poiché comprime il cambio del dollaro, e di immettere liquidità sui mercati con la quale gli investitori comprano azioni, commodity e soprattutto titoli di Stato. Così il circolo si chiude e Tesoro, banche, aziende e mercati vivono tutti felici e, per il momento, pare anche tranquilli». [Walter Riolfi, La Bce è già prestatore di ultima istanza, Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2011]

Hanno ragione la gran parte degli analisti, che fanno eco agli squali della finanza speculativa e alle banche d'affari? Chi scrive ritiene di sì. Le cause strutturali della crisi delle economie occidentali non saranno rimosse con il quantitative easing, ma esso allontanerebbe il default combinato di debiti sovrani e banche. Il metadone non cura il tossicodipendente, ma di certo gli evita di beccarsi un collasso a causa della crisi d'astinenza. Così la pensano, in uno strano connubio, sia neokeynesiani che neoliberisti (che divergono solo sul punto della spesa pubblica): che si stampi moneta che poi... Dio provvede — ove la Provvidenza è l'aspettativa sulla ripresa del ciclo economico.

Il fatto è che, alle spalle delle sceneggiate congiunte Merkel-Sarkozy, la Germania, forse sarebbe meglio dire la Grande Germania, si oppone cocciutamente alQuantitative easing, che considera alla stregua della italiana Finanza allegra ai tempi di Agostino De Pretis e Francesco Crispi.

«A 24 ore dall'inizio di un vertice cruciale per il futuro dell'Unione monetaria la Germania ieri ha sottolineato ancora una volta la necessità di riformare i Trattati adottando un nuovo assetto istituzionale per salvare la moneta unica. L'opposizione è guardata con grande timore dagli altri paesi dell'Unione, combattuti tra il desiderio di dare una risposta ambiziosa alla crisi e il timore di creare nuove incertezze». [Beda Romano, Merkel alza la posta sui Trattati, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011]

Detto fuori dai denti: la Germania non vuole saperne di cacciare la grana, di fare cassa comune, di collettivizzare i debiti sovrani e delle banche. O meglio, non dice un no categorico, ma vincola questa possibilità al cambiamento dei Trattati europei, ovvero all'obbligo per tutti i paesi di politiche di rigore ancora più stringenti.

Due qui sono i problemi. Che politiche stringenti di rigore spingerebbero i paesi meno "virtuosi" nell'abisso di una recessione ancor più profonda, col rischio del pauperismo di massa e grandi conflitti sociali. In secondo luogo la modifica dei Trattati, date le procedure di revisione, chiede molto tempo — la procedura di revisione può essere ordinaria o semplificata ma in ogni caso è necessaria l'unanimità e la ratifica da parte di tutti gli Stati membri —, tempi che il crollo alle porte non concede.

Per spiegare questa refrattarietà tedesca alla terapia di Quantitative easing suggerita da tutte le parti, la sola che potrebbe evitare la fine dell'euro, in molti ricorrono alla spiegazione che, "i governanti tedeschi sono stupidi, poiché se l'euro viene giù, saranno guai grossi anche per la Germania".

Il sottoscritto dissente. I tedeschi non sono "stupidi", semplicemente sono loro per primi che ritengono che il gioco non valga la candela, che anche con politiche monetarie espansive la moneta unica non verrebbe salvata. Questo in primo luogo. In secondo luogo la grande borghesia tedesca fa i suoi propri interessi e non si fa irretire dalla retorica europeista. Nel vortice di una crisi dell'Unione che mette in luce i suoi difetti strutturali e congeniti, il governo tedesco, la BundesBank e con essa l'intero sistema bancario tedesco, pensano, in sintonia con la gran parte dell'opinione pubblica germanica, anzitutto a salvare la loro baracca. Berlino non vuole né barattare né svendere la propria sovranità nazionale, che in questo decennio, alle spalle di tanti discorsi demagogici, ha strenuamente difeso.

Ora che tutti i nodi sono venuti al pettine, che per salvare l'Unione si deve davvero passare ad un'entità statuale e politica effettivamente sovranazionale europea, facendo una cessione decisiva di sovranità; ebbene Berlino risponde Nein danke!
Il fatto è, e sarebbe ora che le sinistre fideisticamente europeiste ne prendessero finalmente atto, che dentro l'Unione gli stati-nazione, coi loro specifici interessi, le loro ambizioni geopolitiche non sono affatto scomparsi. Dovrebbero anzi prendere atto che la crisi sistemica, mentre sfascia quella fragile e paradossale costruzione politica che è l'Unione, ha teso non solo ad allargare le distanze tra gli Stati (vedi la vicenda dellospread), ma li ha riportati in auge come i soli strumenti di autodifesa per proteggersi dal crollo generale. Solo le servili elite italiane ancora non vogliono prenderne atto.

Chi scrive scommette dunque che il Summit di domani sarà l'ennesimo fiasco. Se una pezza verrà messa, allontanerà il collasso non di un anno, ma di un mese. Ammesso che una pezza venga messa o che, nel loro sbandamento, i governanti europei non se ne escano addirittura con una pezza peggiore del buco.

Una prova del nove sarà rappresentata dalla sorte dell'Esm (Meccanismo di stabilità europeo), il fondo che dovrebbe sostituire il mai davvero decollato Efsf (Fondo salva stati europeo). Abbiamo detto che i "mercati" ritengono che per salvare la moneta unica servono dai mille ai duemila miliardi. Quanti soldi i governi daranno in dote all'Esm? 400-600 miliardi, questa è la cifra di cui si parla. Sarebbe come dare al tossico, non il metadone, ma un'aspirina. Questa sarebbe la pezza? Il compromesso massimo che i tedeschi accetteranno? Allora prepariamoci al de profundis della moneta unica.

«Lo scontro non è tra chi vuole salvare gli interessi delle banche e della speculazione finanziaria e chi vuole punirle. La divisione è tra tedeschi e francesi, pronti a tutto pur di salvare i loro, e solo i loro, rispettivi sistemi bancari e finanziari (pieni fino all’inverosimile di titoli-carta-straccia), e gli “sfigati”, capeggiati dall’Italia, che propongono un salvataggio generalizzato, erga omnes, con una distribuzione dei costi direttamente proporzionale al portafogli di ciascuno. Due soluzioni diverse con la medesima logica alla base: socializzare le perdite, facendo pagare alle masse lavoratrici le perdite di banche e gruppi finanziari, affinché sia salvata la giostra impazzita del capitalismo-casinò. (...)

Dubitiamo che la riunione del Consiglio Europeo del 16-17 dicembre riuscirà a dirimere la questione. Con molta probabilità avremo uno stallo. Si prenderà tempo, nella speranza che giunga il contagio opposto, che la crescita tedesca si estenda ai paesi a rischio. Non solo noi, ma anche i più autorevoli analisti, per non parlare deiguru-banchieri, credono che la “ripresa” non ci sarà, e che di qui a breve l’Unione sarà posta invece di fronte al dilemma se salvare o no Portogallo e Spagna, con a ruota l’esplosione del bubbone italiano, e dunque la fine dell’euro. E perché ne sono convinti? Perché la speculazione finanziaria si sta già muovendo in questa direzione, cercando di trarre dal default dei PIIGS il massimo guadagno. La più classica delle profezie che si autoavverano. La cosiddetta “politica”, i governi, riusciranno a fermare la tempesta in arrivo? No, visto che questi governi sono da decenni Comitati d’affari del capitalismo finanziario, non possono avere una cura, dal momento che sono concausa della malattia». [Eurobond? No eurocrack!]
Lo stallo, un compromesso abborracciato, era possibile l'anno scorso. Ora non più.