Dopo Mooody's e S&P, è stata Fitch a salire alla ribalta con un minaccia all'Italia: ha fatto sapere che c'è una «significativa possibilità» di una riduzione del rating, attualmente pari ad A+. Tutto dipende dalla revisione avviata nel dicembre scorso.

Dopo Mooody's e S&P, è stata Fitch a salire alla ribalta con un minaccia all'Italia: ha fatto sapere che c'è una «significativa possibilità» di una riduzione del rating, attualmente pari ad A+. Tutto dipende dalla revisione avviata nel dicembre scorso. A affermarlo è stato David Riley, capo della divisione rating sovrani dell'agenzia internazionale, nel corso di una conferenza stampa a Londra. «Una cosa che aiuterebbe l'Italia, ma che è al di fuori del nostro controllo immediato, è un'assicurazione sulla crisi di liquidità, il che significa in sostanza che servirebbe 'muro di protezione'», ha spiegato. Ma poi ha aggiunto: «in questo momento non abbiamo questa garanzia e ciò è motivo di seria preoccupazione. E' questa una delle ragioni per le quali abbiamo messo l'Italia sotto osservazione con implicazioni negative ed è una delle ragioni per le quali c'è una significativa possibilità che, una volta conclusa la revisione, il rating dell'Italia diminuisca».
Fitch, uno dei tre giganti mondiali del rating è controllata dalla francese Fimalac (Financière Marc de Lacharrière) non prevede invece di abbassare il rating di Parigi, che gode della tripla A, nel corso del 2012. Secondo un un portavoce dell'agenzia «Fitch resta sulla posizione espressa a dicembre. Ma in assenza di shock importanti che potrebbero essere legati a un forte peggioramento della zona euro, Fitch non prevede di modificare l'outlook negativo della Francia prima del 2013». Ovvero: l'agenzia non prevede di ridurre il rating francese nel corso del 2012. Da notare, però, che Fitch il 16 dicembre aveva portato a negativo, dal precedente stabile, l'outlook sul debito a lungo termine francese. Ma ieri, evidentemente, gli analisti francesi hanno rivisto le proprie posizioni. Sembra - sussurrano i maligni - in conseguenza di forti pressioni del governo.
La scure di Fitch si è invece abbattuta ancora una volta sulla situazione greca: Atene costituisce ancora un pericolo per Eurolandia e potrebbe spingere ancora di più l'area in una crisi finanziaria. Secondo Riley, anche un taglio del debito dei creditori privati del 60% non diminuirebbe sensibilmente l'indebitamento della Grecia e l'uscita del paese dall'euro resta «un'opzione». Fitch valuta attualmente la Grecia con un rating «CCC» e ha già preso in considerazione un declassamento di questa valutazione a «default status», cioè situazione di fallimento.
Nel corso della conferenza Riley ha aggiunto che «le sfide economiche e a livello di rating di Eurolandia, i cui Paesi membri devono farsi prestare circa 2mila miliardi di euro nel 2012, sono sottolineate dal fatto che più della metà del debito dei Governi è a rischio declassamento. La capacità dei Paesi di generare una crescita economica sostenuta sarà un fattore cruciale, con Fitch che si aspetta una recessione limitata per i 17 paesi nel 2012 con le misure di austerità che continuano a pesare e la fiducia dei consumatori e delle imprese che resta bassa». Quindi, secondo Riley, «è reale il rischio di un circolo vizioso di economie in stagnazione che alimenta timori sulla solvibilità di alcuni governi e banche». Fitch rileva comunque che «di certo sta concludendosi il passaggio degli squilibri che hanno portato alla crisi e i venti contrari legati all'austerità e alla riduzione dei debiti dovrebbero cominciare a scemare verso fine anno sostenendo una graduale ripresa dell'economia che potrebbe segnare la fine della crisi».
Quanto al settore bancario, l'outlook è per lo più negativo per le banche di paesi come Spagna, Italia e Portogallo. Il che riflette principalmente le preoccupazioni crescenti per i costi e l'accesso ai finanziamenti delle banche e la loro qualità di asset.

C'è da chiedersi se le agenzie di rating vogliono la pelle dell'euro. Dopo aver declassato negli ultimi 18 mesi il debito pubblico dei paesi periferici della zona euro, assimilandoli in alcuni casi a junk bonds, obbligazioni spazzatura, adesso le agenzie minacciano di dichiarare il fallimento della Grecia. Per quale motivo? Per la semplice ragione che gli stati europei hanno osato pensare a una partecipazione volontaria delle istituzioni finanziarie private (banche, assicurazioni, fondi di gestione e così via) al salvataggio di questo paese. Un modo per impedire una soluzione che permetterebbe di salvare la Grecia da un fallimento che considerano, guarda caso, quasi certo.

E in questo clima di nervosismo dei mercati finanziari, le agenzie si interessano adesso all'esclusivo club degli stati a tripla A, il rating più alto (sono quattordici). E hanno annunciato che nel corso delle prossime settimane la Francia o l'Austria potrebbero perdere, sul più o meno lungo periodo, la loro tripla A che permette di finanziarsi sul mercato a più bassi tassi di interesse

Ma la zona euro non è l'unico obiettivo di questo attivismo frenetico: sullo slancio, le agenzie hanno minacciato di degradare anche Stati Uniti e Gran Bretagna. Molti economisti si chiedono quale sia l'obiettivo delle agenzie. "Se l'attività finanziaria più sicura, il debito americano, non dovesse presentare alcun rischio, beh allora faremmo prima a cambiare il mondo", osserva Laurence Boone, professoressa di economia alla Scuola normale superiore di Cachan (Val-de-Marne). Le agenzie di rating prendono il rischio di destabilizzare il mondo finanziario, che sarà privato di investimenti sicuri, cosa che potrebbe favorire una nuova crisi mondiale.

Anche se le agenzie rispondono che fanno il lavoro per le quali sono pagate e che il mercato non ha bisogno di loro per farsi un'opinione, due studi provano la loro responsabilità diretta nell'attuale instabilità finanziaria. Le ricerche provengono dal Fondo monetario internazionale (Fmi) – studio fatto in febbraio – e da un'analisi della Banca centrale europea (Bce) pubblicata solo pochi giorni fa.

In entrambi casi la conclusione è la stessa: i declassamenti, che ratificano tanto i timori dei mercati quanto quelli che provocano, hanno un effetto diretto sugli investitori, che chiedono automaticamente dei tassi di interesse più alti per garantirsi dal rischio supplementare. Soprattutto in un mercato del debito molto integrato come quello dell'euro, questi declassamenti hanno un effetto destabilizzante sull'insieme degli altri paesi, compreso su quelli con i rating migliori. In particolare perché le loro istituzioni finanziarie possiedono titoli del debito di tutti i paesi dell'euro e di conseguenza un declassamento ha automaticamente ripercussioni anche sulla loro solvibilità.

Tuttavia le agenzie di rating sono state incapaci non solo di vedere l'avvicinarsi della crisi americana dei subprimes nel 2007, tutti prodotti dotati di una tripla A fino al giorno del loro crollo, ma anche di prevedere la crisi del debito sovrano della zona euro, come sottolinea l'Fmi. Un errore che cercano di far dimenticare con i loro continui declassamenti.