Il vertice dell'Ue si conclude con un nuovo favore ai Banchieri. L'annunciato Patto per la crescita è in realtà un'illusione, mentre nulla è stato deciso per far fronte alla disoccupazione crescente. Per gli istituti di credito l'Europa ha trovato negli ultimi tempi ben 4500 miliardi, pari al 34% del pil. E i leader trovano un'intesa su ricapitalizzazione e fondi salva stato. Ma per la Grecia non cambia nulla
Angela Merkel pensa che «abbiamo realizzato qualcosa di importante, ma siamo rimasti fedeli alla nostra filosofia: nessuna prestazione senza contropartita. Restiamo completamente nello schema precedente: prestazione, contropartita, condizionalità e controllo». François Hollande, realista, parla di «compromesso per tutti» e si rallegra delle conclusioni, portando a casa il (ben misero) patto di crescita e la tassa sulle transazioni finanziarie «entro fine anno». Spagna e Italia tirano un respiro di sollievo. Le Borse confermano. Il presidente della Bce Mario Draghi si è detto «molto soddisfatto». Hannes Swoboda, capogruppo S&D dell'europarlamento brinda al «summit dell'addio a Merkozy». La notte dei lunghi coltelli tra giovedì e venerdì si è conclusa poco dopo le 5 del mattino, con un accordo nato con il forcipe tra i 17 membri della zona euro, riuniti in un vertice improvvisato nella notte su richiesta di Monti e Rajoy. I dettagli saranno decisi entro l'Eurogruppo del 9 luglio. Ma intanto Monti porta a casa l'intervento del meccanismo salva-stati per acquisire debito nei paesi in difficoltà, senza dover subire in contropartita l'automatismo di un programma di rigore, anche se Merkel non ha abbandonato del tutto l'idea di una gestione da parte della troika, per controllare che i beneficiari continuino a fare «i compiti a casa». Monti spera che questo annuncio calmerà i mercati per non dover chiedere aiuto nell'immediato. Per l'Eurorgruppo del 9 dovrà venire definita la soglia di spread oltre la quale scatta l'intervento del Mes (250 punti? 300?). Sarà messo in atto un sistema simile a quello che esisteva con lo Sme, verrà fatto un uso più «elastico» dei fondi di aiuto, ha detto van Rompuy presidente del Consiglio Ue, cioè il Mes potrà comprare direttamente il debito degli stati in difficoltà. La Spagna ottiene di tagliare il legame vizioso tra la ricapitalizzazione delle banche e l'aumento del debito pubblico.In cambio, Merkel ha imposto la supervisione delle banche, sotto la guida della Bce, che dovrà essere operativa entro fine anno. Hollande porta a casa il patto per la crescita, che gli permette di ribattere alla destra che l'asse franco-tedesco non è stato spezzato, ma che si sta modificando in modo più equilibrato a favore di Parigi rispetto al Merkozy. In Francia, la destra ha accolto l'accordo definendolo «un piccolo passo avanti» (Juppé, ex ministro degli esteri), e un «grande passo per l'Europa» (Harlem Désir, Ps). Il Patto per la crescita è in realtà gran parte un'illusione. Anche se, come dice Swoboda, «per la prima volta i leader europei non hanno solo parlato di crescita, ma deciso azioni concrete». Swoboda vi vede «un segnale molto importante», anche se «la realizzazione prenderà tempo». Il problema è che i 120 miliardi di euro del Patto sono un effetto ottico: 55 vengono da Fondi strutturali che non erano stati spesi (perché i paesi a cui erano destinati non avevano la percentuale nazionale da aggiungere all'intervento comunitario), 4,5 miliardi saranno dei project bonds accesi tramite la Bei, a sua volta ricapitalizzata di 10 miliardi, per generare un effetto leva che potrebbe arrivare, nel migliore dei casi, a 60 miliardi. Una goccia nell'oceano, un intervento pari all'1% del pil europeo, che non cambierà la situazione, mentre le recessione rischia di prendere in una morsa tutta l'eurozona. Per le banche l'Europa ha trovato negli ultimi tempi ben 4500 miliardi, pari al 34% del pil. L'approccio europeo continua a considerare le banche come la questione principale. Ma in Europa in generale e nella zona euro in particolare il primo problema è la disoccupazione. Su questo fronte non c'è nulla di nuovo. Anzi, proprio nel giorno della conclusione del Consiglio europeo del Patto per la crescita, il governo francese di Jean-Marc Ayrault ha ingiunto a tutti i ministeri di ridurre del 15% la spesa in tre anni. Saranno solo risparmiati scuola, giustizia e polizia, ma le assunzioni in questi settori dovranno essere compensate con cali del numero di pubblici dipendenti negli altri ministeri. E' il «rigore di sinistra», che arriva a nemmeno un mese dalla vittoria delle legislative. Italia e Spagna hanno forzato la mano alla Germania per arrivare all'accordo.Per la prima volta, un primo ministro italiano ha alzato la voce e minacciato, assieme a Madrid, di far saltare tutto se non si arrivava a un'intesa soddisfacente. Italia e Spagna, la terza e quarta economia della zona euro, hanno potuto permettersi il bracco di ferro, anche grazie al cambiamento dei rapporti franco-tedeschi. Per la Grecia, invece, potrebbe non cambiare nulla. Il paese resta sull'orlo del baratro. Al vertice non c'era neppure il primo ministro Samaras, appena operato a un occhio. Nessuno aveva previsto di affrontare la questione greca, come se la tentazione di abbandonare Atene non fosse ancora del tutto vinta. miliardi l'1% del Pil dell'Unione, a tanto ammonta il pacchetto «per la crescita» concordato ieri a Bruxelles, ma si tratta di fondi che sarebbero comunque dovuti essere spesi MILIARDI è la dotazione per l'European Stability Merchanism (Ems), il fondo salva-stati che entra in vigore il mese prossimo e sarà usato per ricapitalizzare le banche spagnole
(nella foto la rete segnata di testa da super MARIO MONTI alle 5am che fissa il punteggio sul definitivo 3-1)
Sulla sottile linea rossa che unisce Bruxelles a Varsavia cammina un tandem d'attacco che, ammettiamolo, ci ha fatto godere. Da ovest verso est muoveva, scoprendo il corpo statuario, il primo Mario, fumantino e non bocconiano, nero di carnagione, criticato e bersagliato (troppo spesso), il Mario che ci ha regalato un sogno calcistico: ecco il signor Balotelli. Da est verso ovest si muoveva più lento, con un fisico certo non comparabile, il secondo Mario, poco simpatico e decisamente più istruito, latteo di carnagione, inviso agli italiani che però, per una volta, riceve anche il nostro applauso: ecco il signor Monti, al cui cospetto si è inchinata Angela Merkel. La Cancelliera per una volta ha ceduto e bisogna dargliene atto.
La notte di questo giovedì 28 giugno ha chiuso una di quelle giornate che gli italiani non possono scordare. La notte di questo 28 giugno ha lasciato il passo a una di quelle mattine in cui ti svegli con il sorriso. In testa le immagini delle due strepitose reti con cui Super Mario ha spedito a casa gli arci rivali (e arci sconfitti) crucchi: i tedeschi dicono addio al sogno europeo, mentre noi ci andiamo a giocare la finalissima di Kiev contro la Spagna. Poi accendi la televisione e scopri che è accaduto l'imponderabile: la Cancelliera ha detto "ya", consegnando la vittoria all'altro Mario (Monti) e al suo omologo transalpino, Francois Hollande. Il premier italiano, dall'attesissimo vertice di Bruxelles, ha portato a casa un meccanismo con cui fermare il differenziale tra titoli di Stato tedeschi e quelli di altri Paesi (proprio come voleva). Magari - anzi, sicuramente - la vittoria del Professore non emoziona quanto il missile terra-aria scagliato da Balotelli su assist di Montolivo. Ma la vittoria di Monti è importante come quella degli Azzurri, di più: c'è ancora Europa, c'è ancora Italia e alla Merkel, almeno per qualche ora, hanno messo la museruola.
Che più diversi non si può, a unire i due Mario d'Italia non c'è soltanto la sottile linea rossa che unisce Bruxelles a Varsavia. Balo e Monti, infatti, hanno picchiato i pugni sul tavolo. E che a farlo fosse il centravanti del City eravamo già abituati: a tutte le sue - passateci il termine - "vaccate extracalcistiche" ha sempre risposto in modo sguaiato e potente, senza voler prendersi le sue responsabilità e, appunto, sbattendo i pugni sul tavolo. Mario (Balotelli) ha sempre gridato, con le sue non-esultanze, con le magliette ("Why always me"), con i cartellini rossi e con i calcioni. Chi invece non avevamo quasi mai sentito strillare e battere i pugni sul tavolo era il premier, che col suo sorriso beffardo ha fatto invece gridare gli italiani (per le tasse). Ma proprio nel momento di più grande difficoltà è saltato fuori il Monti che non ti aspetti, quello che minaccia di boicottare la Merkel: "Niente soluzioni per i titoli di Stato? E allora ti scordi la Tobin Tax". Alzi la mano chi si attendeva una presa di posizione così netta. La minaccia ha funzionato. Monti al termine del vertice di Bruxelles ha spiegato: "E' stata una vittoria dell'Italia". Tutto concentrato sulle beghe continentali e sulla moneta unica, il premier si è scordato del fatto che le vittorie sono state due, in poche ore. Entrambe con in calce la firma di un Mario: quella dell'odiato Balotelli (che abbiamo sempre amato), e quella di Monti, che amato non lo abbiamo mai, ma che per una volta ci piace veder danzare vincente su quella sottile linea rossa che unisce Bruxelles a Varsavia.
Il Pdl voterà la riforma del lavoro nonostante "dissensi significativi" perchè è il "biglietto da visita" che Monti ha chiesto per presentarsi al Consiglio Ue, ma questa deve essere l'ultima volta che cala la "mannaia" del voto di fiducia su una discussione. Lo ha detto il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, durante le dichiarazioni di voto finale alla Camera sulla riforma del lavoro.
"Le devo dire non per scortesia ma per evidenza politica - ha detto rivolgendosi al ministro Fornero - che non è lei il punto di interlocuzione del dibattito ma il premier che in nome degli impegni europei ci ha invitato a interrompere il dibattito e a votare la fiducia e che si è impegnato a modificarlo in tre punti: esodati, flessibilità in entrata e ammortizzatori sociali".
Cicchitto ha sottolineato come "mentre sull'Imu e sulle pensioni il governo è intervenuto per decreto, su un'iniziativa che era quella dell'articolo 18 il governo era partito con il decreto, poi ha cambiato le carte in tavola e ha fatto l'unico disegno di legge" e questo "è avvenuto perchè c'è stato un intervento politico della Cgil, della Fiom e del Pd".
"E' l'ultima volta che cala la mannaia di una fiducia che impedisce al Parlamento di esprimersi". Lo ha sempre detto il capogruppo del Pdl alla Camera. "Avete il dovere di misurarvi - ha detto Cicchitto rivolto al Governo - perche' siete un Governo tecnico ma non un governo al di sopra del parlamento e della legittimita' democratica".
Forse Cicchitto dimentica che l'ultimo Governo Berlusconi è rimasto in carica dall' 8 maggio 2008 al 16 novembre 2011, per 3 anni 6 mesi e 8 giorni, ed ha operato e legiferato in virtù di ben 52 voti di fiducia chiesti dal governo alla propria maggioranza. Caro Capogruppo del PDL alla Camera Cicchitto, in questi anni, quando a chiedere la fiducia era il Presidente Berlusconi, il Parlamento non era svuotato della sua funzione e delegittimato della propria funzione democratica?
Ricapitolando: secondo il sottosegretario Gianfranco Polillo gli italiani dovrebbero rinunciare a una settimana di ferie per combattere la crisi. I parlamentari del Pdl, invece, non possono rinunciare al mese d’agosto. A dirlo a chiare lettere è stato ieri il capogruppo dei deputati della Camera del Popolo delle Libertà, Fabrizio Cicchitto. “Io ve lo dico: se ci volete far stare qui fino al 12-13 di agosto, sono problemi vostri… Io ci starò, perché tanto ho le vacanze a due ore da qui, ma non ci sarà nessun altro. A quel punto ve la dovrete trovare voi una maggioranza: in bocca al lupo…”. Dichiarazione non ufficiale, ma pronunciata con questa forma al ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda e registrata dai giornalisti parlamentari della Dire, specializzata in informazione politica e parlamentare. Insomma: una settimana di ferie val bene una crisi. Il governo è avvertito: non giochi con le ferie dei parlamentari.
Giarda in quel momento stava discutendo proprio del calendario dei lavori con uno dei vice di Cicchitto, Simone Baldelli. Monti aveva appena concluso il suo intervento alla Camera e i deputati erano in attesa di votare la fiducia sulla riforma del lavoro. Cicchitto interrompe la conversazione tra Giarda e Baldelli e intima al ministro di non chiedere ai deputati il forcing fino alla vigilia di Ferragosto. A Giarda non resta neanche il tempo per rispondere (un po’ per la sorpresa, un po’ per il “blitz” di Cicchitto). Appena riesce a rispondere a bassa voce: “Sto proprio parlando con lui – spiega indicando Baldelli – del calendario…”.
Le parole di Cicchitto sono diventate un argomento ‘must’ su Internet. E sui principali social network è circolata la petizione ‘Chiuso per ferie’, in cui si chiede: “Non permettiamo che il governo italiano chiuda per ferie e vada in vacanza con tutti i suoi deputati, ministri, senatori, etc. Più responsabilità politica da parte di tutti gli schieramenti politici, tecnici e non. Risolviamo la miriade di problemi che ci sono, non rimandiamoli a settembre”.
Oggi Cicchitto ha fatto marcia indietro, derubricando le sue parole a una battuta: “La nostra preoccupazione fondamentale è costituita dalla sovrapposizione di un numero straripante di decreti che rischiano di intasare i lavori parlamentari in luglio, agosto e settembre. Il resto lo lasciamo ai rottamatori in servizio permanente effettivo”, ha precisato il capogruppo del Pdl, sottolineando che le sue parole sono “al netto dello scatenamento di esercitazioni polemiche fondate sul fraintendimento totale di ciò che è stato detto scherzosamente tra Giarda e me”. E ancora: ”Lavoreremo a luglio, agosto esettembre. Le mie erano solo battute ma si vede che le questioni meno serie hanno più rilievo di quelle serie”.
Sul tema ferie, dopo le polemiche suscitate dalle parole di Cicchitto, è intervenuto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini: visto l’alto numero di decreti in scadenza – ha detto – i lavori potranno continuare anche nelle settimane successive alla prima e seconda di agosto e si potrà prevedere di votare anche lunedì e venerdì ed in notturna. Ma Fini, in un colloquio col premier Monti, non ha mancato di sottolineare ”la necessità di riflettere” sul numero di decreti, che ammontano a 13, in scadenza tra luglio e agosto.
Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha criticato la polemica anti-casta sulle ferie dei parlamentari ad agosto: “Finchè c’è un decreto da votare – ha detto – staremo qui a votare, pure ad agosto. Anche gente che ha famiglia e che farebbe volentieri due giorni di ferie. Però così si passa il segno, queste cose porteranno il Paese a disastro”.
Il Paese lo avete già portato al disastro per l'insussistenza della vostra offerta politica, l'incapacità di trovare una convergenza univoca sulle problematiche attinenti le criticità da affrontare e risolvere, per la risibilità della consistenza politica dei provvedimenti adottati negli anni, anacronistici o del tutto improduttivi e per il dileggio della carica istituzionale ricoperta esposta al ludibrio del mondo intero. Parlamentari Italiani, Onorevoli, Andate in ferie, tranquilli, MA RESTATECI...in ferie!
Si preannuncia un fine settimana caldissimo per l'Euro: Angela Merkel dice no agli Eurobond come se fossero il male, Monti promette difesa assoluta dell'Eurozona e intanto si attende con ansia il Consiglio Europeo, previsto per domani e dopodomani, il 28 e il 29 giugno. Un vertice che, secondo molti commentatori, sarà semplicemente cruciale per il destino della moneta unica.
La cosa che fa pensare è che, se un tempo gli euroscettici erano solamente movimenti populisti, la diffidenza nei confronti dell'Euro è aumentata nel tempo, è passata a sinistra (in Grecia, con Syrica) e poi è approdata anche fra i conservatori di destra. A riprova di questa evoluzione, decisamente curiosa, ecco che Forbes cerca di spiegare, in un lungo editoriale molto critico firmato da Haydn Shaughnessy, le ragioni per cui l'Euro sta fallendo. E, no, non si parla della crisi del debito pubblico. Non solo, almeno.
Secondo Shaughnessy, si possono individuare, sostanzialmente, quattro motivi per cui il progetto della moneta unica è alle corde.
Primo: l'euro è un progetto di prestigio, e i leader dell'Unione Europea sono troppo coinvolti. L'editorialista racconta i grandi dell'Eurozona spiegando che sull'Euro tutti vogliono dire la loro: il Presidente della Commissione Europea, il Presidente della Banca Centrale Europea, il Presidente dell'Eurogruppo, il Presidente dei Consiglio dei Ministri. Troppe teste. Non solo, scrive Shaughnessy: «Sanno tutti che, quando i senior di un'azienda sono coinvolti in un progetto di prestigio, il black out finanziario è dietro l'angolo».
Secondo: non c'è trasparenza nel flusso di informazioni. E, peggio ancora, il flusso è a senso unico: l'Unione Europea sembra del tutto impermeabile a nuove idee a proposito di tecniche da utilizzare. Si vive, insomma, di dogmi.
Terzo: la definizione della strategia è sostanzialmente episodica, mentre dovrebbe essere continua. E l'Eurozona sembra sempre sulla difensiva nei confronti dei "mercati", per nulla disposta a mettere in discussione le proprie scelte, per nulla disposta all'azione ma più che altro alla reazione.
Quarto: il dialogo sull'Euro è carente delle componenti sociali. E' forse la critica più illuminante ed è quasi sorprendente – ma segno dei tempi - che venga da una testata conservatrice: «La conversazione sull'Euro e il suo futuro si gioca solamente all'interno di un'elite politica e finanziaria». Questo è anche l'errore di fondo dell'Euro - ammesso che di errore si tratti, e che non sia stato creato così in maniera consapevole -: l'aver creato una moneta senza aver prima lavorato sulla cultura, sulla società, sulla coesione. Il risultato è un prodotto elitario mai integrato nel tessuto sociale, che oggi rischia seriamente di far saltare il banco dell'Unione Europea.
“Questa riforma non è perfetta, ma è una buona riforma, specialmente per coloro che entrano nel mercato del lavoro“, si apre con queste parole l'intervista del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal, rilasciata proprio mentre alla Camera è in corso il voto di fiducia sulla riforma del lavoro. Provvedimenti dalla genesi tormentata e destinati ad incidere nell'immediato, che otterrano in ogni caso la fiducia del Parlamento. Eppure, il ministro, forse non pago del caos sugli esodati e degli improvvidi “auspici” su licenziamenti nella pubblica amministrazione, ha inteso regalare altre perle della sua personalissima concezione dei diritti dei cittadini.
“Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro. Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto; Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”. Le affermazioni del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal rappresentano un programma politico nella loro secchezza e anglosassone sintesi. Spesso, quando si danno interviste ai giornali stranieri, si dice meglio quello che si pensa davvero, lo spirito di fondo che muove le proprie azioni.
Da quello che capiamo noi, avendo seguito il ministro dal momento del suo insediamento, la filosofia che la ispira è quella di una società, probabilmente idealizzata, in cui le persone non stiano ferme sul posto, si diano da fare, si “guadagnino” appunto il lavoro piuttosto che aspettare che questo gli piova dal cielo. E’ un concetto che abbiamo sentito più e più volte, addirittura dagli anni 80 quando un craxiano con i boccoli, come Gianni De Michelis, consigliava ai giovani di imparare ad “arrangiarsi”.
Solo che è un concetto che non fa i conti con quell’impegno certosino e generoso di migliaia e migliaia di giovani e meno giovani, precari e disoccupati, che accettano di combattere una quotidiana battaglia, sempre impari, per conquistare una vita decente. A sentire certe affermazioni del ministro sembra che questa realtà non esista e che, al contrario, i giovani disoccupati siano seduti sul divano ad aspettare l’offerta migliore. Il modo migliore per descriverli, del resto, da parte di chi non sa risolvere il problema dell’occupazione.
Per questo di un’espressione che dice che “il lavoro non è un diritto” resta solo la parte amara, quella vera. Il lavoro viene lentamente espunto dalla giurisprudenza europea dal novero dei dirittinon tanto garantiti ma su cui una società è impostata e cerca di convergere. E non è un caso che nell’intervista al WSJ questo concetto venga declinato in altre forme. La riforma, spiega infatti Fornero, “è anche una scommessa sugli italiani cambiare il loro comportamento in molti modi”.
Ma è il quotidiano finanziario a ricordare l’essenziale quando afferma che “uno dei principi chiave della nuova legge è che i datori di lavoro saranno in grado di licenziare i singoli lavoratori per motivi economici”. “Forse il più grande significato dello sforzo della signora Fornero - continua il WSJ - è che la legge ha smantellato la vacca più sacra del lavoro in Italia, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. Si possono fare tutti i discorsi del mondo, teorizzare le migliori filosofie di vita e del lavoro, ma la “riforma Fornero” entrerà nella storia, e sarà ricordata, solo per questo.Parole che ovviamente faranno passare in secondo piano le successive valutazioni nel merito della riforma, con passaggi interessanti su articolo 18, privilegi veri o presunti e con la possibilità di “small adjustments, but no major changes.” Del resto il ministro Fornero ha sprecato l'ennesima occasione, giustificando in pieno la scarsa fiducia che gli italiani nutrono nei suoi confronti. Passi (?) aver portato a termine una riforma dopo cambiamenti, scivoloni e gaffe; passi (?) l'essere riuscita a scontentare Confindustria, partiti e sindacati; passi il frequente ricorso alla “nobile arte della smentita” (vedi questione esodati); ma ciò che invece è inammissibile è che un ministro della Repubblica non conosca la Costituzione della Repubblica Italiana. L'articolo 4 in particolare, quello che recita:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4 Cost.)
Sono veramente irritato: dopo anni di battaglia contro il governo Berlusconi che voleva modificare la nostra Costituzione, ora la Fornero, si permette di attaccare in maniera così brutale uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione. Non è falsa retorica, tanto meno populismo spicciolo, ricordare che per questa Costituzione hanno versato il sangue i nostri padri, i nostri nonni, una generazione di compatrioti che si sono immolati per garantire la democrazia e la libertà di cui oggi tutti ci fregiamo.
Non è possibile tollerare che un ministro possa sostenere, nelle parole e nei fatti, una tesi che uccide la nostra storia e la nostra dignità. Di fronte a questo gravissimo attacco all’articolo 4 della nostra Costituzione non si può far altro che esigere le dimissioni da Ministro della Repubblica Italiana della Sig.ra Fornero. Non si può sostenere un governo che attacca la Costituzione e infanga la nostra storia! DIMISSIONI SUBITO !!!!
Scriveva il Wall Street Journal la settimana scorsa: "L'economia italiana è moribonda", proprio mentre in Italia, il primo Ministro italiano Mario Monti conduceva un'importante riunione straordinaria a Palazzo Chigi sulla crisi dell'Eurozona. Due giorni dopo ancora il WSJ: "La luna di miele tra Monti e gli italiani pare essere terminato".
Il Financial Times a seguire con l'editoriale: "Mamma mia, ci risiamo", poi all'interno, un lungo articolo di analisi dell'economia italiana, dipanando tutti i punti di criticità a ragione del default economico. Così comeBloomberg, lungo le pagine della sua autorevole rivista economica "Businessweek", per mano di Carol Matlack tendenziosamente contro la politica italiana, nonostante gli sforzi di Monti, degli italiani e del pareggio di bilancio a partire del 2013, a differenza del +12% americano.
La Gran Bretagna, non è certo mai stata morbida con l'Italia né tantomeno con l'Unione europea, essendo essa stessa euroscettica per eccezione sin dalle origini, ma mentre gli Stati uniti e i suoi autorevoli opinionisti, in modo illogico attaccavanono l'Europa, il presidente Obama si prodigava a rendere morbida l'asse USA-Europa a sostegno di quest'ultima.
Qualche economista è andato oltre la posizione di parte dei commentatori di oltreoceano, ipotizzando il timore statunitense nel vedere realizzata un'unione europea in ripresa e magari forte e competitiva.
Se l'economia dell'Europa è in ginocchio, quella statunitense non è in piedi. In molti parlano di strategia anti-Europa. Così al di là delle dichiarazioni ufficiali, gli Stati Uniti confidano, per il suo rilancio, in un'Europa più debole che forte. Degli ipotetici Stati Uniti d'Europa, a conclusione di un processo di vera e propria integrazione e coordinamento, sarebbe un competitor molto agguerrito anche per una potenza come quella degli Stati Uniti, come dimostrano i dati dei 27 Paesi europei uniti.
Con i dati 2011, elaborati da EUROSTAT, per l'ipotetico "contenzioso", qualche dubbio in più potrebbe sorgere. Si scopre che, di fatto, gli Stati Uniti d'Europa hanno un Pil maggiore, in termini assoluti circa, rispetto agli Usa (Ue 16000 mld, contro 14000mld USA). La crescita annuale è simile: +1,5% per l'Europa, +1,7% per gli Usa. Ma soprattutto gli Stati Uniti d'Europa avrebbero un debito pubblico inferiore, sia in termini assoluti, che in percentuale rispetto al Pil: gli Usa hanno, infatti, un indebitamento pari al 114,32% del Pil, gli Stati Uniti d'Europa si fermano all'82,5%.
Gli Stati Uniti d'Europa - che vanterebbero una popolazione di 502 milioni di persone, contro i 313 degli Usa - sarebbero davanti anche in quanto a valore dell'export: 1.914 miliardi di dollari, contro 1.473 mld. statunitensi.
Sulla base di questi numeri, forse, attaccare l'Italia è un tentativo per indebolire la più florida economia degli Stati Uniti d'Europa.
Al Senato abbiamo finito l'esame in Commissione del fiscal compact, con un ordine del giorno che dice che questo fiscal compact deve essere la premessa di una unione politica indispensabile'. Lo ha ricordato la senatrice radicale Emma Bonino, nella consueta intervista del lunedi' a Radio Radicale. 'Una piccola crisi finanziaria, a livello greco, e' divenuta una valanga che ha contagiato altri Paesi, gia' deboli, e non accenna a diminuire. So che adesso, dopo l'incontro a quattro di Roma, e' stato messo in piedi una specie di gruppo di lavoro che dovrebbe preparare questo vertice di giovedi'. Ma a me sembra chiaro che - come abbiamo detto e ripetuto - o si va verso gli Stati Uniti d'Europa o non c'e' via d'uscita'. .
Gli Stati membri dell'Unione europea hanno molte politiche comuni con l’Unione Europea e spesso l'EU ricorda un singolo stato. Ha un corpo esecutivo comune (la Commissione Europea, un solo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, una comune Politica europea di sicurezza e difesa, una corte suprema (Corte europea di giustizia, ma solo in materia di leggi dell’unione europea), Peacekeeping (Eurofor) e un’organizzazione intergovernativa di ricerca. L’Euro è la valuta comune, ed è stata adottata da 17 stati, mentre altri 3 paesi membri dell’Unione Europea hanno legato le loro valute all’euro con gli Accordi europei di cambio. Inoltre in alcune regioni d’Europa è stato adottato l’euro unilateralmente.
L’UE, comunque non ha una singola costituzione, un singolo governo, una singola politica estera decisa da quel governo, un singolo sistema di tasse che contribuisca a un singolo erario, o un singolo esercito.
Esistono diverse istituzioni paneuropee separate dall’UE. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) comprende quasi tutti gli stati membri dell’Unione Europea ma è indipendente da quest’ultima e comprende anche stati che non fanno parte dell’UE come la Svizzera e la Norvegia. E’ indipendente dall’UE anche la corte europea dei diritti umani (da non confondere con la corte europea di giustizia) che è un elemento del Consiglio d'Europa e come l’ESA comprende sia stati membri sia stati non membri dell’UE. Allo stato attuale, l’Unione Europea è una libera associazione di stati sovrani, che condividono obiettivi comuni.
Oltre il vago obiettivo di una “unione sempre più stretta” nel 1983 con la dichiarazione solenne sull'unione europea, L'unione (i membri dei suoi governi) non ha attualmente una politica per creare né una federazione che una confederazione, ma in passato anche uno dei suoi fondatori come Jean Monnet avanzò tali proposte.
Sono in uso un’ampia gamma di termini, per descrivere il futuro della struttura politica Europea e/o dell’Unione Europea, uno dei quali Europa Unita, è spesso usato ma non ha uno status costituzionale definito. Negli Stati Uniti d’America, l’idea è presa seriamente in discussione e si considerano le conseguenza che un’unità europea avrebbe sulla potenza politica ed economica Americana. Glyn Morgan, un professore associato dell’Università di Harvard ne parla apertamente nel suo libro: The Idea of a European Superstate. Mentre il testo di Morgan si focalizza sulle implicazioni di sicurezza di un’Europa unificata, molti altri testi si dedicano alle implicazioni economiche che avrebbe una tale entità.
Gli Stati Uniti d’Europa sono largamente immaginati, raffigurati o romanzati come una superpotenza paragonabile o anche più potente degli Stati Uniti d’America. Alcune persone come T.R. Reid, Andrew Reding, Giuseppe Romano e Mark Leonard, ma anche altri, credono che questa ipotetica potenza degli Stati Uniti d’Europa andrebbe a rivaleggiare con gli Stati Uniti d’America nel 21° secolo. Leonard cita sette diversi fattori: la grande popolazione europea, l’ampia economia europea, la bassa inflazione europea, il clima europeo favorevole e la posizione europea centrale nel mondo, l’impopolarità e la percezione del fallimento della politica estera americana degli ultimi anni. Considerando inoltre l’alto livello di sviluppo di organizzazione sociale e qualità della vita di determinati paesi europei (tenendo conto delle ore di lavoro settimanali e della distribuzione della ricchezza).
L’Europa è all’origine della libertà garantita dalle leggi, dei diritti umani, della democrazia, del liberalismo, dello sviluppo economico capitalistico, della rivoluzione scientifica, della libertà di sperimentare nuovi modi di vivere, dell’emancipazione dai vincoli di tradizioni costrittive e autoritarie. Ed è il luogo in cui, nell’ultimo mezzo secolo, lo sviluppo economico si è associato più che altrove a un diffuso sviluppo umano e a migliori opportunità di vita per la generalità dei suoi cittadini; è il luogo in cui più che in ogni altra parte del mondo si sono affermati non solo il governo delle leggi e la certezza del diritto, ma anche la mitezza e l’umanità delle leggi. La Federazione europea deve costituire quindi una tappa decisiva, e in qualche modo un compimento e lo strumento per l’espansione ulteriore di questi valori e di questi principi.
Ci sarà mezza canzone italiana, festivaliera e d'autore. Tornerà sul palco dopo 42 anni anche Caterina Caselli. Ligabue ha risposto presente e, alla fine, si è unito anche Morandi. Gran cerimoniere e organizzatore Beppe Carletti dei Nomadi. Unico assente, per convalescenza e polemica, Vasco Rossi da Zocca. La diretta su Raiuno
C’è mezza canzone italiana, festivaliera e d’autore, nel concerto che quel gran pezzo dell’Emilia dedica ai suoi terremotati. Orfani di Lucio Dalla, sul palco si alterneranno Francesco Guccini,Caterina Caselli, assente sul palco da 42 anni, Gianni Morandi, Laura Pausini, Zucchero,Ligabue, Beppe Carletti e quel che resta dei Nomadi, Samuele Bersani, Zucchero, Cesare Cremonini, Nek, gli Stadio, i Modena City Ramblers con Cisco, Luca Carboni, Andrea Mingardi. Tutto quello che l’Emilia poteva mettere in campo, a eccezione di Vasco Rossi, assente un po’ per convalescenza, un po’ per scelta e un po’ perché con la ciurma dell’Emilia ha sempre legato poco, uno che Bologna lo ha sempre poco venerato e guardato con superiorità, perché della Bologna dotta, lui che veniva giù dai monti di Zocca e rockeggiava tutto quello che la canzone d’autore non voleva ascoltare. “Non amo questo modo di far beneficenza, poco costoso e poco faticoso. – ha scritto su internet il Blasco, raccogliendo l’unico e inaspettato consenso da Vittorio Sgarbi – Penso si debba farla tirando fuori i soldi dal proprio portafoglio, senza troppo spettacolo e pubblicità”.
Diretta su Raiuno, un conduttore – Fabrizio Frizzi – che c’entra poco o niente, pescato tra quelli che probabilmente non erano ancora in ferie, lo show ha già raggiunto quello che si era impegnato a fare: raccogliere un milione di euro da versare alla gente che ancora vive accampata e con l’incubo del terremoto. Non importa granché se alla fine lo spettacolo sarà memorabile, non era questo l’obiettivo.
Sicuramente ci sono duetti imperdibili, come Caterina Caselli che, in pochi lo ricordano, ma fu tra quelle che scoprì un non ancora barbuto Guccini: canteranno insieme Per fare un uomo, pescata dal repertorio preistorico gucciniano. E ancora Guccini con i Nomadi, Morandi con Samuele Bersani, Laura Pausini con Cremonini, così vorrebbe una scaletta che potrebbe variare e che sicuramente prevede un gran finale tutti insieme.
E Laura Pausini da Solarolo, frazione di Faenza: “Vorrei ricordare le parole di un caro amico che sarebbe di sicuro stato con noi, Lucio Dalla: “Aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani”. Di Lucio con Cremonini interpreteremo L’anno che verrà. Il terremoto non è solo fisico. Dalla mia terra ho preso il coraggio, lo spirito di avventura e di sacrificio, l’energia, la condivisione e la dignità. È un onore, un diritto e un dovere esserci. Come donna, come cantante, come cittadina italiana”.
“C’è bisogno delle istituzioni. La ricostruzione è un discorso articolato e complesso. La gente ha un futuro spezzato, ha bisogno di uno Stato che dica: noi ci siamo». Parola di Luciano Ligabue di Correggio, che sta organizzando un altro concerto, il 22 settembre a Reggio Emilia.
Le polemiche dovrebbero essere bandite. Intanto perché ci mette la faccia la Regione Emilia Romagna che offre il conto corrente dove si depositano gli incassi. Anche se qualcuno mugugna sul dispotismo Rai che blinderà la diretta del Live Aid emiliano, come se l’avesse acquistato in esclusiva. Nessuna videocamera, se non qualche telefonino clandestino a riprendere il concerto (e fin qui ci sta) ma nemmeno a registrare qualche bestemmia, un abbraccio, una carezza o una lacrima dal backstage (e qui ci sta molto meno).
Infine i diritti Siae che Samuele Bersani, con piglio da grande artista, tenne a precisare, venti giorni fa, in sede di presentazione ufficiale, verranno anch’essi devoluti in beneficenza.
Ballarò, giunto alla penultima puntata di un'ottima e vincente stagione, si è come di consueto aperto con la copertina satirica di Maurizio Crozza. Il comico parte subito all'attacco, rivolgendosi al conduttore, Giovanni Floris. " Giova tu devi continuare a lavorare, non puoi andare in ferie, devi contribuire anche tu insieme agli italiani a far crescere il Pil" questo l'incipit del discorso preparato da Crozza. Il comico riprende le parole del sottosegretario Polillo che ha sottolineato come il Pil potrebbe crescere di un punto se gli italiani andassero in ferie una settimana in meno. "Non l'ho detto mica io, lo ha detto Polillo che di certo non è un cretino. Ma ora che ci penso, chi cavolo è Polillo?" continua ironicamente Crozza. In studio il pubblico applaude molto probabilmente perchè condivide il punto di vista del comico. "Se la smettessimo di cantare mentre raccogliamo il cotone ne avremmo quattro di punti in più. Mentre con una settimana di stipendio in meno del sottosegretario gli italiani avrebbero tutti un punto in meno di "inca....ra", Crozza come sempre non ha peli sulla lingua e continua: "se davvero fosse così, considerando tutti gli italiani che quest'anno non andranno neppure un giorno in ferie dovremmo avere il Pil più alto del mondo". Si passa poi all'imitazione di Brunetta. L'ex ministro si prende il merito di questa idea dicendo però che la proposta era molto più articolata e di certo non era così semplice. "La mia proposta articolata comprendeva la dipartita anticipata dei pensionati, cosa intendo? Si dovrebbe chiedere ai pensionati di morire una settimana prima. L'Inps dovrebbe avere proprio delle tabelle che dovrebbero servire a questo" l'ironia del comico non risparmia proprio nessuno. Crozza sottolinea come una soluzione potrebbe essere quella di rinunciare a una settimana del lavoro della Fornero magari anche per avere il tempo di contare gli esodati che ancora non si capisce bene quanti siano. Il conto degli esodati viene paragonato al gioco dei fagioli di Raffaela Carrà. Si passa poi alle elezioni in Grecia: "ma quante volte si vota in questa nazione? Lo fanno apposta per far guadagnare chi produce le cabine elettorali? Loro si che sono intelligenti non come noi. Ci impiegano tanto per eleggere un governo noi invece facciamo cadere un governo che non abbiamo neppure votato. Agli europei ci sarà Grecia-Germania e i neonazisti di Alba Dorata sono preoccupati perchè non sanno per chi votare. In ogni caso la Uefa ha fatto sapere che in caso di parità si guarderà la differenza di spread delle nazioni." Non mancano le frecciatine a Monti reo di non aver ancora trovato la strada giusta per far uscire l'Italia della crisi. "Come si fa ad avere la politica comune che Monti vuole se in Europa le nazioni non riescono neppure a mettersi d'accordo? Vogliamo parlare del biscotto? Spagna e Crozia non sono neppure riuscite a trovare un accordo per la gara figurarsi se si parla di economia" scherza sulla situazione che si è creata a Euro 2012 con la nazionale italiana timorosa dell'accordo tra le due rivali. Piccolo dialogo anche con la Carfagna, le chiede se è vero che il Pdl voglia anticipare le primarie a settembre. "Non vorrei si mischiassero due cose: miss Italia e le primarie del Pdl, io do un mio consiglio, non si sa mai" queste le parole di Crozza. La Carfagna sconvolge il monologo di Crozza scherzando sul fatto che manchi molto al “comico” Berlusconi: "come farà a pagare il mutuo adesso" scherza l'ex ministro rivolgendosi al comico di Rai 3. Lui continua ma la frecciatina la lancia dicendo che ha sempre lavorato e continuerà a farlo. Si passa poi all'istituto italiano di vulcanologia al centro di un mini scandalo in questi giorni. A dirigerlo è un professore di ginnastica mentre una delle responsabili è Sonia Topazio, una ex attrice. "A questo punto mettiamo anche Flavia Vento all'eolico e siamo apposto" dice sorridendo Crozza. Non mancano le battute sul caso Lusi: domani in aula si voterà per prendere una decisione in merito al suo destino. "Ha fatto tutto da solo o qualcuno lo ha manovrato? Se fosse stato Rutelli vorrebbe dire che alla Margherita c'era una mente che agiva dietro. Purtroppo però questa tesi non può reggere: non esiste infatti nessuna mente". Con queste battute finali dedicate a Lusi si chiude il monologo di Maurizio Crozza andato in onda nella puntata del 19 giugno 2012 di Ballarò. Un altro grande successo per il comico di Rai 3 apprezzatissimo dal pubblico da casa. Il video alla pagina seguente.
Di fronte alle attuali incertezze economiche in molti hanno pensato a cosa succederebbe se si rompesse il patto dell'euro e alcuni paesi dovessero tornare alla loro vecchia moneta. è uno scenario che solo fino a pochi mesi fa era giudicato remoto e molti mutuatari ci scrivono chiedendoci cosa succederebbe al loro mutuo se l'italia tornasse improvvisamente alla lira
prima tutto, una premessa: gli effetti sarebbero in parte imprevedibili, perché ufficialmente non esiste un piano economico di uscita dall'euro. ma alcune ipotesi al rispetto si possono fare
i mutui resterebbero in euro o passerebbero alle lire?
se si lasciassero in euro sarebbe un disatro per il mutuatario. in uno scenario del genere una svalutazione della lira sarebbe immediata e quindi si passerebbe a percepire uno stipendio in lire (svalutate) e a pagare una rata in euro. una situazione simile a quella vissuta da chi, come in ungheria, ha contratto un mutuo in franchi svizzeri, che adesso valgono molto di più e stanno rovinando molti magiari
la cosa più ovvia sarebbe la conversione immediata del mutuo in lire, per legare salari e rate. in questo caso ci rimetterebbero però le banche e i fondi di investimento, perché la lira perderebbe subito di valore e in termini reali i loro crediti si vedrebbero ridotti. la stessa cosa succederebbe al debito pubblico: chi lo possiede si troverebbe con carta straccia in mano
l'euribor continuerebbe ad essere il riferimento dei mutui a tasso variabile?
l'euribor è l'indice su cui si calcola l'importo della rata del mutuo a tasso variabile. si applica da quando esiste l'euro e perciò sarebbe logico che scompaia. ricordiamo però che, prima della sua comparsa, i tassi di interesse in italia erano ben più alti, fino al 12% in alcuni anni, quindi il nuovo indice sarebbe certamente maggiore
inoltre, per contrarrestare l'inflazione che senza dubbio si verrebbe a creare, la banca centrale europea sarebbe costretta ad aumentare il costo del denaro. ricordiamo che da 3 anni, sebbene in molti si lamentano dell'euro, l'indice euribor è stato al di sotto dell'inflazione, con grande vantaggio per chi paga un mutuo
conseguenze:
se questa situazione, soltanto teorica, si venisse a creare, è evidente che le conseguenze generali sull'economia sarebbero, almeno per un certo periodo, disastrose. a livello personale l'unica salvezza sarebbe passare subito ad un mutuo a tasso fisso, prima che i tassi arrivino al 10%
Davvero come sostiene il senatore Zanda, del Pd, “c’è un prima Lusi e un dopo Lusi” nella politica italiana? In effetti, nonostante le alchimie tattiche (il Pdl che lascia l’aula in blocco; Rutelli che lo considera un delinquente ma si astiene), le oscillazioni del garantismo, il Senato della Repubblica ha lasciato andare un suo rappresentante al suo destino, in questo sintonizzandosi con gli umori e le aspettative dell’opinione pubblica. Meglio dire che è stata spinta dalla pressione “giustizialista”, dalla paura delle monetine fuori dal Palazzo, dei “forconi” di piazza evocati dallo stesso Rutelli. Tecnicamente il Senato ha stabilito che non c’è “fumus persecutionis” nella richiesta dei giudici, non esiste un pregiudizio di colpevolezza nell’azione penale. Tanto è vero che i pm potranno continuare le indagini e nel caso accertare non solo le responsabilità di Lusi come tesoriere, eventualmente distinguendo tra l’appropriazione indebita del singolo o una prassi accettata dai vertici della fu Margherita.
Ma i tanto citati “forconi” e il timore sotteso di perseverare nell’errore di dilapidare ancora il poco consenso rimasto a una classe politica screditata, c’entrano poco con le omissioni, i ritardi, le giravolte della stessa classe politica sul fiume di soldi che incassano con i finti rimborsi elettorali. La questione capitale del finanziamento pubblico è stata di volta in volta accantonata, aggirata, elusa. Parliamo dei 2,2 miliardi che dal ’94 i partiti, tutti i partiti (vivi o morti che fossero) hanno travasato nei loro conti direttamente dalle tasche dei cittadini, a fronte di rimborsi elettorali stimati nell’ordine di 579 milioni. Che poi è la cifra contabilizzata delle spese elettorali sostenute. Che dire della possibilità, in cui Lusi eccelleva, di far fruttare le eccedenze attraverso spregiudicate operazioni finanziarie che, stando alle accuse dei pm, più che altro servivano ad occultare i vari tesoretti. Lusi ha gestito più di 200 milioni della Margherita, le accuse per cui ora è detenuto riguardano solo i 25 milioni che avrebbe rubato: ma oltre a case, ville e conti intestati alla moglie, ha pagato bollette e paghette individuali, ha foraggiato correnti e sottocorrenti. I “forconi” vengono ammainati, la Casta può tirare un sospiro di sollievo, una breve boccata di “fumus assolutionis”. Durerà? Per ora i magistrati hanno già detto che Lusi non ha prodotto fatti, cifre e circostanze tali da far pensare a un patto per spartirsi i fondi come ventilato da Lusi. Già oggi, però, Lusi potrebbe ricordarsi qualcosa di meno evanescente nell’interrogatorio con i magistrati. E poi c’è sempre una chiavetta Usb che la segretaria di Lusi ha dovuto consegnare ai pm. Dentro, scrive Fiorella Sarzanini sul Corriere della Sera, ci sono tutte le uscite dal 2007 a oggi, “bollette telefoniche, trasferte, stampa dei manifesti e altre decine e decine di voci…Sulle quali Lusi potrebbe decidere di fornire adesso inediti dettagli”. Non è che l’era del dopo Lusi inizierà dopo che il capro espiatorio avrà vuotato tutto il sacco?
Siamo alle solite! In Italia da Piazzale Loreto, passando per le monetine del Raphael, non dimenticando Cusani e Moggi, fino a Lusi, abbiamo bisogno del Capro Espiatorio! Attribuirgli responsabilità di errori e malefatte al fine di avere il perdono per i nostri vizi e per i nostri peccati... Quando faremo nostri i valori morali che non riconosciamo nel nostro prossimo forse saremo pronti a costruire una società civile, democratica etimologicamente, libera finalmente.
Giorgio Squinzi, il nuovo presidente della Confindustria, ha impresso, ieri, una decisa e salutare svolta all'ente di cui ha la responsabilità. Squinzi è un grande imprenditore. Su questo non c'è dubbio. Lo dimostrano la crescita costante e la redditività prodigiosa della sua azienda, la Mapei. Che non si è sviluppata, come le imprese di molti altri big confindustriali del passato, aggrappandosi alle mammelle dello stato, o godendo di indiscusse rendite di posizione, oppure rifugiandosi sotto l'usbergo dei protezionismi variamente mimetizzati ma, non per questo, meno efficaci. Gran parte della produzione della Mapei infatti viene venduta nel mondo, in aree dove la concorrenza è vivacissima e dove quindi vince solo il migliore. E un imprenditore italiano che operi nella chimica (e non nella moda o nel design, o nell'agroalimentare) per poter essere considerato il più bravo, nella chimica, ripeto, deve dimostrarlo due volte. Sulle sue capacità imprenditoriali, quindi, niente da dire. Sembrava invece che Squinzi, che ha modi riservati e controllati, avesse tratti troppo signorili e quindi fosse incapace, per eccesso di signorilità, appunto, di entrare nell'arena politico-sindacale in modo deciso (dopo decenni di tergiversazioni) per far risolutamente valere la ragioni dell'imprenditoria italiana e non solo di quella confindustriale. Ieri Squinzi ha detto, esplicitamente, che «la riforma del lavoro è una boiata ma che va fatta ugualmente». Una boiata. Con una sola parola, desueta fra coloro che contano quando parlano in pubblico (anche se, tutti, in privato, fanno molto peggio, in termini di linguaggio), Squinzi ha fotografato la situazione di una riforma del lavoro che, nei suoi propositi iniziali, doveva sgessare le rigidità occupazionali e che, invece, raggiunge un obiettivo esattamente opposto: distruggerà posti di lavoro anziché crearne. Squinzi è però anche un realista e quindi ha detto che la riforma «boiata» (una parola che la fulmina) dovrà essere approvata, sia pure obtorto collo. L'importante almeno è che si sappia che, come riforma, è una boiata. E quindi, se si vorrà aumentare l'occupazione, la riforma dovrà essere riformata. Il presidente della Confindustria è intervenuto pure sul fisco dicendo, anche qui senza nascondersi dietro le parole lenitive degli eufemismi di maniera, che «il fisco italiano è il più complicato e inaffidabile, non dico del mondo, ma d'Europa». Dopo questa uscita, Monti, che fa finta di non saperlo, non potrà continuare a nicchiare. Insomma, Giorgio Squinzi non ci sta, fin dall'inizio del suo mandato, a svolgere il ruolo di chi fa finta di non vedere che il re è nudo. Lo vede nudo e dice che è nudo. Occorrerà vestirlo.
L’attesissimo vertice che i leader Ue presenti al G20 avrebbero dovuto avere nella serata messicana con il presidente Usa Barack Obama sulla crisi dell’eurozona, anche alla luce del voto in Grecia, salta a sorpresa!. Mentre si attendeva qualche notizia sull’esito del colloquio è rimbalzata infatti la notizia che quell’incontro è stato “cancellato”, come fanno sapere fonti della Casa Bianca. Nessuna motivazione specifica o ufficiale ma solo un vago riferimento al fatto che Obama avrà l’occasione di vedere i colleghi europei oggi, nella seconda giornata di lavori, insieme ad altri incontri a margine del G20.
E se c’è chi spiega la cancellazione con il prolungarsi della cena e della discussione sull’Europa con tutti i leader, nel formato a 20, sono in molti a scommettere che dietro il mancato appuntamento ci siano le tensioni emerse nelle ultime ore tra le due sponde dell’Atlantico. Secondo le anticipazioni sul documento finale”un piano di azione per la crescita e i posti di lavoro” – per contrastare la crisi dell’Eurozona e scongiurare i rischi di contagio- e un aumento del ‘firewall’ anticrisi sono l’impegno preso dai leader del G20. Con l’accento sulla crescita, ha prevalso la linea degli Usa e dei Paesi Brics, che temono i rischi di un contagio, ma anche di Italia e Francia mentre appare sempre più isolata la posizione della cancelleria Angela Merkel fautrice dell’austerity a tutti costi. Sui rifinanziamento del Fondo monetario per fronteggiare l’emergenza à stato superato l’obiettivo di un incremento di 430 miliardi di dollari delineato dal G20 dei ministri delle Finanze di Washington e le risorse per il ‘firewall’ sono lievitate a 456 miliardi.
Intanto la Merkel è sempre più accerchiata e ancor di più dopo il voto in Grecia che non ha placato le turbolenze sui mercati, rendendo il clima più teso e rilanciando più che mai la necessità di misure da prendere in fretta. Misure che rappresentino davvero una svolta, in grado di ridare credibilità all’euro e fare ripartire l’economia del vecchio Continente. Con una ricetta difficile da mettere a punto, proprio per la distanza delle posizioni tra Berlino e le altre capitali europee. La cancelliera Merekel continua infatti a dire no agli euerobond e a qualsiasi forma di mutualizzazione del debito. Senza contare la linea dura che Frau Angela mantiene nei confronti di Atene, rinviando al mittente qualsiasi ipotesi di dilazione degli impegni presi dalla Grecia. Una linea in totale controtendenza con quella di Barack Obama, che prima della cena di ieri ha voluto un incontro a due. Un faccia a faccia durato 45 minuti e coperto dal più stretto riserbo. Ma non è difficile ipotizzare che per la Merkel siano stati tre quarti d’ora di tensione, con il presidente americano più che mai in pressing sull’Europa.
Un’Europa quella sbarcata a Los Cabos che è pronta a confrontarsi con il resto del mondo per trovare una soluzione ad una crisi che riguarda tutti. Ma che rivendica l’autonomia e il diritto delle proprie decisioni. Non disposta ad essere messa all’angolo. Come ha sottolineato con determinazione Barroso. “Non siamo qui per prendere lezioni di democrazia o di gestione dell’economia”. Stanotte nessuno parla ma c’è chi ipotizza che dietro la cancellazione dell’incontro con Obama ci possa essere anche questo. Un risultato, il primo giorno di questo G20, è stato ottenuto in chiave Fmi: l’organismo di Washington ha infatti raccolti impegni finanziari, destinati ad aumentare le sue risorse, per 456 miliardi di dollari, oltre i 430 previsti. Saranno – ha spiegato il direttore generale Christine Lagarde, la “seconda linea di difesa” per risolvere e prevenire crisi finanziarie. Tra i paesi chiamati concretizzare il loro contributo per il rifinanziamento del Fondo monetari, l’India ha annunciato che verserà 10 miliardi di dollari. La Russia ha assicurato un contributo analogo mentre la Cina contribuirà con 43 miliardi.
I grandi della Terra si permettono il lusso di giocare "allo scarica barile" rinfacciandosi responsabilità e connivenze, concorsi di colpa e correità di incapacità. Non contenti decidono di "non decidere" e cancellare un incontro che finalmente li avrebbe riuniti tutti intorno ad un tavolo inchiodandoli a delle precipue responsabilità politiche, storiche.
Quello cui stiamo assistendo è la frantumazione "world wide" dello stato sociale, quel welfare state simbolo della moderna società del Novecento accorta nella tutela e garanzia delle fasce sociali meno abbienti e dall'esiguo potere contrattuale. Si sta consumando l'attacco parossistico, probabilmente finale, da parte del neo liberismo che per mantenere e difendere le posizioni di rendita acquisite, fa uso di politiche precise, decise nei centri del potere finanziario internazionale e battezzate come politiche di globalizzazione. Tali politiche, pretendono di raggiungere l’efficienza economica nascondendosi dietro nozioni molto vaghe come la modernità o la società tollerante. Hanno, invece, ottenuto esattamente il contrario: una concentrazione senza precedenti della ricchezza, impoverimento, disoccupazione o sottoccupazione per la maggioranza della popolazione economicamente attiva, la condanna di milioni di esseri umani allo sfruttamento tramite il meccanismo del disagio sociale che impedisce loro di avere una visione critica della propria esistenza.
Nel contempo le conseguenze di questo perverso meccanismo sono la negazione del diritto alla salute, all’educazione, al territorio, costringendo le popolazioni a vivere nell’ingiustizia e riducendo ogni possibilità di un futuro dignitoso.
In campo politico, si assiste allo smantellamento dello stato sociale e ad una crescita smisurata del potere transnazionale trainato dai dettami dei vari FMI, WTO, banche centrali e Banca Mondiale.
Ed ora al G20 salta l'incontro più atteso, come se ci fosse ancora tempo. Come se la crisi economica e finanziaria non mordesse le caviglie della nostra speranza nel futuro; sono organismi e persone svuotate di ogni sovranità e potere decisionale. Rise up people of the world, make your own future. Popoli della Terra sollevatevi, costruite il vostro futuro!
Un pacchetto da 80 miliardi tra risorse e investimenti. E’ il provvedimento “corposo, organico e robusto”, come l’ha definito il presidente del Consiglio Mario Monti, con il quale oggi il governo, in consiglio dei ministri, ha dato il via all’iter per l’approvazione del decreto legge sullo sviluppo. Un’approvazione “salvo intese”, che in gergo vuol dire che il testo è comunque passibile di modifiche, che riguarda un testo che si è dilatato rispetto agli ultimi giorni, anche in termini di articoli e di pagine. Dentro si trovano molte cose: un primo capitolo della spending review, per esempio, con tagli a Palazzo Chigi e Ministero dell’Economia del 10 per cento (solo via XX settembre ridurrà la pianta organica per un risparmio di 25 miliardi); ma anche un tentativo di accorciare il processo civile; soprattutto, però, le misure per stimolare l’economia e aiutare le imprese: tra l’altro maggiori detrazioni per le ristrutturazioni, l’esclusione dell’Imu per le aziende edili per tre anni, la possibilità per le ditte di chiedere il concordato anziché il fallimento, finanziamenti per la green economy.
Tra risorse e investimenti, come detto, il decreto sviluppo muoverà 80 miliardi: 40-45 miliardi arriveranno dai project bond e dalle misure per le piccole e medie imprese gli altri 30-35 miliardi dalle altre misure. La copertura finanziaria per le minori entrate derivanti dall’applicazione di alcuni articoli del decreto legge saranno reperiti, a partire dal 2013, con riduzioni di spesa e con le maggiori entrate previste dalle sanzioni introdotte del provvedimento per chi viola le regole per i prodotti a denominazione di origine protetta o Igp. Nuove entrate sono poi attese dall’armonizzazione del trattamento fiscale tra le polizze emesse da assicurazioni italiane ed estere che non pagano l’imposta annua dello 0,35%.
“Crescita e riduzione della dimensione e del peso dello Stato: sono i motivi ispiratori del cdm di oggi” ha detto il presidente del Consiglio Mario Monti. “Nel decreto sviluppo – ha aggiunto il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera – ci saranno molti interventi strutturali e, soprattutto, interventi per favorire l’occupazione”. Passera ha parlato anche di “iniziative concrete sul credito imposta per l’ acquisizione di personale di alto livello, per facilitare sia il mantenimento sia l’attrazione di personale” qualificato. Per contro sugli incentivi è stato fatto “un lavoro molto grosso: avevamo 43 leggi di incentivazione che sono state bloccate, interrotte e sono state recuperate parecchie centinaia di milioni, oltre 2 miliardi per il Fondo per la crescita sostenibile”.
I tagli alle strutture di governo e ministero. Monti l’ha chiamato “alleggerimento dello Stato” e precisa che “abbiamo cominciato dal vertice del governo”. Tagli che comprendono anche “riduzioni degli organici” oltre che un complesso di dismissioni degli immobili dello Stato. Il governo, tagliando gli organici a Palazzo Chigi e al ministero delle Finanze, “è il primo a fare da esempio aggredendo gli organici – spiega il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà – Oggi stesso ci sarà un taglio del 20% delle figure dirigenziali. Ciò comporterà una riduzione sul bilancio di 25 milioni. Per noi è un bel risparmio che si aggiunge ai 25 milioni offerti alla revisione per la spesa che sta facendo il ministro Giarda”. “In tutto – conclude il sottosegretario – saranno 10 i milioni restituiti al ministero dell’Economia che non saranno spesi da palazzo Chigi. L’augurio è che il nostro sforzo sia accolto anche dagli altri ministeri” con “tagli ben precisi entro la fine dell’anno”.
“Da dismissioni 10 miliardi”. Nasce il fondo immobiliare al quale verranno conferiti tutti gli immobili pubblici sia dello Stato (comprese le caserme) sia degli enti territoriali (compresi quelli dei Comuni). Gli immobili, spiega una nota di Palazzo Chigi, “verranno valorizzati e venduti”. Gli enti proprietari degli immobili “avranno quote di partecipazione la fondo e risorse liquide da utilizzare a riduzione del proprio debito”. L’importo complessivo delle vendite immobiliari “presumibilmente si aggirerà intorno ai 10 miliardi che sarà utilizzato a riduzione del debito ivi compreso quello derivante dal debito commerciale a favore delle imprese”.
I tagli a Palazzo Chigi. I nuovi tagli agli organici di Palazzo Chigi decisi oggi porteranno un risparmio annuale di 25 milioni di euro. Sarà effettuato un taglio del 20% degli organici dirigenziali della presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’Economia e del 10% per gli altri organici. Un provvedimento questo che ha effetto immediato perché Monti ha deciso di firmare un decreto del presidente del Consiglio che riduce, con effetto immediato, gli organici dirigenziali di Palazzo Chigi del 20% e, tutti gli altri organici, del 10%”. Tagli anche per la ”governance delle società controllate al 100 per cento” dal Tesoro: esse avranno un “un Cda snello” composto da 3 persone: una persona esterna che fungerà da amministratore delegato, due persone del ministero.
Soppressi Monopoli e Agenzia del Territorio. Razionalizzazioni anche in altre strutture di governo e ministero. Saranno soppressi, infatti, i Monopoli di Stato e l’Agenzia del Territorio che vengono incorporati rispettivamente nell’Agenzia delle Dogane e delle Entrate. Viene anche abolita l’Agenzia per lo sviluppo del settore agricoltura. Il provvedimento prevede anche la soppressione dell’Assi (ex-Unire), le cui funzioni sono ripartite tra ministero dell’Agricoltura e la nuova Agenzia delle dogane e dei Monopoli. Il governo cederà invece Fintecna, Sace e Simest a Cdp avrà “un impatto importante sulle entrate. Stimiamo da questa vendita circa 10 miliardi. E verrà conclusa la parte iniziale entro un mese. Avremo una pari riduzione del debito o interverremo sui ritardi nei pagamenti”. In questo momento, invece, non ci sono piani di dismissioni di Eni, Enel eFinmeccanica, come ha confermato il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli.
Le misure per le imprese. Altra parte voluminosa del decreto Sviluppo riguarda i contributi e le misure dedicate alle imprese. Sono, spiega il ministro Passera, “vere riforme di lungo periodo: strumenti di finanziamento per poter ricorrere meglio ai mercati. Si riducono i limiti per le aziende piccole e medie non quotate. E’ una riforma strutturale delle modalità di finanziamento”. Ecco gli elementi principali.
Detrazioni per le ristrutturazioni. Passa dal 36% al 50% la quota di detrazione Irpef per le ristrutturazioni. La norma sarà in vigore fino al 30 giugno 2013.
Imu esclusa alle imprese edili per 3 anni. Arriva l’esclusione dall’Imu, per unperiodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori, degli immobili delle imprese, il cosiddetto magazzino, fabbricati costruiti e destinati alla vendita. Lo prevede la bozza in entrata del dl sviluppo e dovrebbe svincolare 35 milioni di euro.
Aziende in crisi possono ricorrere al concordato. Le aziende colpite dalla crisi, ma che hanno comunque prospettive di ripresa, non saranno obbligate a dichiarare il fallimento ma potranno ricorrere direttamente al concordato preventivo. Il ricorso diretto al concordato preventivo consente la continuità dell’attività dell’impresa ivi compreso il mantenimento dei contratti di fornitura con la Pubblica amministrazione.
Srl semplificata estesa a tutti. La srl semplificata, introdotta daldecreto liberalizzazioni per gli under 35, viene estesa dal decreto sviluppo “a tutti”.
Project bond per attrarre capitali privati. Arrivano le obbligazioni da partedelle società di progetto sul modello europeo. I project bond saranno “appetibili per gli investitori” per realizzare nuove infrastrutture anche grazie al capitale privato. La sottoscrizione sarà incentivata introducendo un incentivo cioè accordando lo stesso trattamento fiscale agevolato previsto per i titoli di stato relativamente all’aliquota di ritenuta sugli interessi (12,50%). In base a dati Ance – ricorda il testo del decreto – l’importo delle gare di finanza di progetto ammonta annualmente a circa 12 miliardi di euro, suddivisi per circa l’80% su gare ad iniziativa privata e il restante 20% su gara ad iniziativa pubblica, e circa il 40% riguarda bandi superiori a 500 milioni di euro. Ne consegue che la norma proposta determina effetti considerevoli in termini di possibilità di crescita del Pil, atteso che ogni euro di nuovi investimenti si stima che generi una crescita di Pil pari a 3 euro.
Su internet sovvenzioni, consulenze, incarichi da oltre 1000 euro. Sovvenzioni, contributi e sussidi alle imprese e l’attribuzione di compensi a persone ed imprese per forniture, servizi, incarichi e consulenze ad enti pubblici e privati, di importo complessivo superiore a 1.000 euro nel corso dell’anno solare, sono soggetti alla pubblicità su internet. Lo prevede la bozza del dl sviluppo.
Finanziamenti a favore della “green economy”. Il dl sviluppo prevede anche misure per favorire l’occupazione giovanile nella green economy, estendendo il finanziamento agevolato previsto dal fondo Kyoto (su cui sono disponibili 470 milioni di euro) a soggetti pubblici e privati che operano in ulteriori 4 settori della Green Economy. E cioè della Protezione del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico e sismico; della ricerca e sviluppo e produzioni di biocarburanti di seconda e terza generazione; di installazione di tecnologie nel solare termico, solare a concertazione, solare termo-dinamico, solare fotovoltaico, biomasse, biogas e geotermia; e dell’incremento dell’efficienza negli usi finali dell’energia nei settori civile e terziario (incluso social housing). Il finanziamento è vincolato alla creazione di nuova occupazione giovanile a tempo indeterminato.
Il fondo per la distribuzione di alimenti ai poveri. Viene istituito all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura un fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica Italiana. Le derrate alimentari sono distribuite agli indigenti mediante organizzazioni caritatevoli.
Prorogata l’entrata in vigore del Sistri. Il testo del governo prevede la proroga al 31 dicembre 2013 il termine per l’entrata in vigore del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) al fine di consentire la prosecuzione delle attività necessarie per la verifica del funzionamento del sistema.
Per le città cabina di regia contro il degrado. Il ministero delle infrastrutture e dei trasporti predisporrà un piano nazionale per le città, dedicato alla riqualificazione di aree urbane con particolare riferimento a quelle degradate. A tal fine sarà istituita una Cabina di regia composta, tra gli altri, da due rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture, di cui uno con funzioni di presidente e da un rappresentante del ministero dell’Economia e del ministero dello Sviluppo economico.
Rinvio del decreto contro taxi abusivi. Viene prorogata al 31 dicembre 2012l’emanazione del decreto che avrebbe dovuto adottare disposizioni tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio di noleggio con conducente.
Credito d’imposta per per l’assunzione di “qualificati”. Arriva il credito di imposta per le nuove assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato. L’aliquota del beneficio è pari al 35% delle spese aziendali con un vincolo di assunzione per almeno 3 anni. Alla misura sono destinati 50 milioni di euro l’anno; si dovrebbero creare 4mila nuove assunzioni. La misura si indirizza al personale“qualificato in possesso di laurea magistrale a carattere tecnico o scientifico impiegato in attività di ricerca e sviluppo o in possesso di dottorato di ricerca senza vincoli sulle attività di impiego”.
Ripristino dell’Iva sulle cessioni delle locazioni. Il decreto sviluppo ripristina l’Iva sulle cessioni e locazioni di nuove costruzioni da parte delle imprese edili, attualmente esenti dall’imposta dopo i 5 anni dalla costruzione. L’Iva resta dunque a carico delle imprese edili.
Arriva il Dop anche per il pesce. Arriva una sorta di Dop per il pesce pescato in Italia, compreso quello allevato in impianti di acquacultura. I negozi e i banchi di pesce “possono utilizzare nelle etichette, la dicitura “prodotto italiano” o altra indicazione relativa all’origine italiana o alla zona di cattura più precisa di quella obbligatoriamente prevista” dalle attuali leggi.
Le opere pubbliche e le infrastrutture. Il governo accelera anche sulle infrastrutture: “Nei prossimi mesi speriamo di sbloccare una ventina di miliardi in infrastrutture” da parte del Cipe, ha annunciato Passera. Ciò sarà possibile grazie alle norme del dl sviluppo che semplificano il cofinanziamento da parte dello Stato. Di più: “Dobbiamo assicurarci che entro la fine dell’anno prossimo tutti i cantieri della Salerno-Reggio Calabria, oggi sono 13 e due devono essere ancora aperti, siano completati” perchè si tratta di una “infrastruttura basilare del Sud”. Anzi, conclude il ministro: “Metto la faccia in tanti posti, la metto anche qui”.
Processo civile: nasce l’udienza filtro in appello. Uno dei problemi per le imprese è anche la durata dei processi. Così una chiave di soluzione è stata trovata dal ministro della Giustizia Paola Severino. La proposta è di un’udienza filtro che dichiari ammissibile o meno il ricorso in appello in un processo civile. A favore di questa scelta anche la statistica che dice che il 68 per cento dei processi civili vede la sentenza d’appello confermare la pronuncia di primo grado. Così si taglierà sensibilmente la durata dei processi civili. “Una ricetta abbastanza semplice – la definisce il Guardasigilli Paola Severino – che coniuga la necessità di assicurare garanzie con quella di snellire i processi”. Cambia, per volontà del Governo, anche la legge Pinto, del marzo 2001, sull’indennizzo che spetta in caso di violazione della durata ragionevole del processo, sia nel penale che nel civile. Con il decreto sviluppo si prevedono indennizzi predeterminati e calmierati (da 500 a 1.500 per ogni anno di ritardo) e termini di fase per i procedimenti che vengono prefissati: la durata complessiva di un processo è prevista in sei anni, tre per il primo grado, due per l’appello ed una per la Cassazione. Condotte non diligenti, dilatorie o abusive delle parti possono comportare anche la non indennizzabilità per l’eccessiva durata del procedimento.
La voragine milionaria di Invitalia, la “supercontrollata” del ministero
Mentre Bondi setaccia i conti e la spesa pubblica la società pubblica (erede della Sviluppo Italia) si porta dietro 14 partecipate con 669 dipendenti che costano 46 milioni di euro, ha perdite per 4, debiti per 45. Tra le imprese collegate anche la Valtur che ha un debito di 2 milioni di euro per l'affitto di un villaggio turistico in Calabria
Inutile bussare non risponderà nessuno. A Palazzo Chigi lo descrivono come un fantasma, figurati se te lo passano al telefono. Nessuna comunicazione filtra, tanto meno ai sindacati in allerta da settimane. Enrico Bondi da un mese setaccia per conto del governo i conti e la spesa pubblica per tagliare entro giugno 4,2 miliardi. Sotto la lente il complesso degli acquisti della pubblica amministrazione ma, a dire il vero, il super commissario potrebbe anche partire dal Ministero dell’Economia e Finanze che, da sei mesi, fa capo a chi lo ha incaricato: il premier Mario Monti. Sprechi e costi si annidano anche in via XX Settembre, anche se è difficile stanarli.
Ci ha provato il servizio Bilancio del Senato due giorni fa con un documento di revisione della spesa che fornisce macro aggregati e qualche sorpresa. Il ministero per il proprio funzionamento, scrivono i funzionari del Senato, spende 28,5 miliardi di euro l’anno e altri 35,5 per interventi. Sul primo fronte spiccano alcuni costi incomprimibili, come le politiche previdenziali (11,2 miliardi), le politiche economiche (5,1) o l’ordine pubblico (1,4). Ma ci sono anche 2,8 miliardi di euro che sevono a mantenere in vita gli “organi costituzionali”, 411 milioni solo per sostenere la presidenza del Consiglio. C’è il solito assegno da 168 milioni di euro per il “sostegno all’editoria”, spese per servizi postali e telefonici pari 649 milioni di euro.
Ma i veri sprechi del ministro, forse, non sono neppure i costi di funzionamento. Lo ribadiscono anche i sindacati che tutelano 13mila dipendenti sui quali si sono già abbattuti in passato tagli a stipendi e pianta organica. Lì, resta poco da tagliare mentre altrove resta tutto da fare. I rami secchi, infatti, partono dalla pianta del ministero e vanno lontano, ma non dall’occhio dei controllori dei conti.
Un caso per tutti, la controllata Invitalia, società pubblica che galleggia da tempo all’ombra del ministero portandosi dietro un carrozzone di 14 partecipate con 669 dipendenti che costano 46 milioni di euro (i dipendenti sono il 57%, 25% quadri, 9,3% dirigenti e 6,7 atipici), perdite per quattro milioni, debiti per 45 milioni e passività patrimoniali per 1,1 miliardi. Il fortunato amministratore delegato, di nomina governativa, si porta a casa da solo quasi un milione di euro. Di che si tratta? Della ex Società Sviluppo Italia Spa, l’agenzia che fa capo al Ministero come unico azionista, chiamata a promuovere lo sviluppo produttivo e imprenditoriale fungendo da catalizzatore delle risorse pubbliche e private. Tra i suoi progetti gli interventi nelle aree di crisi, la riqualificazione del polo industriale di Termini Imerese oggi in fase di istruttoria.
A metà maggio la Corte dei Conti ha messo sotto la lente la situazione sua e delle controllate. Da dove cominciare? Forse dagli emolumenti di chi guida la società pubblica. Tra cariche di rappresentanza e direttive, cda e collegio sindacale il costo di chi amministra Invitalia è di 1,3 milioni di euro l’anno. Il suo presidente si chiama Giancarlo Innocenzi Botti ed è espressione diretta del Pdl. Tra le altre cose è stato fondatore di Fininvest e sottosegretetario alle Comunicazioni dal 2001 al 2005 con l’incarico di presidenza della Commissione per lo Sviluppo del Digitale Terrestre che è stata, notoriamente, una fetta importante degli affari della famiglia Berlusconi. Negli ultimi tre anni il suo compenso è passato da 146 mila euro a 251 mila euro.
L’amministratore delegato è invece Domenico Arcuri, uomo della finanza cresciuto all’Iri e poi attraverso joint venture e società di consulenza (Diloitte). Al secondo mandato, il suo compenso è passato da 601mila euro a 806 mila euro nel giro di tre anni grazie al cumulo di tre compensi che comprende 357mila euro come dipendente dell’ente stesso, 192mila euro come amministratore e 252mila euro come premio di risultato legato al raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Cda ha definito e il comitato remunerazioni ha ratificato. Peccato che lo stato patrimoniale ed economico della società non abbiano avuto lo stesso andamento positivo.
Su questo la Corte dei Conti, proprio a inizio maggio, ha fornito un’analisi impietosa: chiudono in perdita le controllate Strategia Italia (di 110mila euro), Sviluppo Italia Aree produttive (-1,7 milioni), Italia Turismo (-1,9 milioni), Italia Navigando (-3,9 milioni), Nuovi Cantieri Apuana (-5,6 milioni). Ci sono poi le perdite delle succursali regionali (Invitalia Abruzzo perde 810mila euro, 1,5 milioni quella campana, 721 quella sarda e 5 milioni quella calabrese). Aprendo i faldoni relativi alle singole controllate si trovano atri spunti non proprio felici come gli affari spericolati di “Italia Turismo” che ha rilevato complessi e villaggi sull’orlo del fallimento per poi darli in affitto a operatori privati. In pratica le perdite sono pubbliche, i ricavi sono privati. Un caso per tutti quello del Villaggio di Cefalù comprato per 73 milioni di euro, un’operazione finanziaria sulla quale già un anno prima la Corte aveva espresso riserve legate al rischio di accollare allo Stato perdite economiche, finanziare e patrimoniali insieme a quello di concentrare tante risorse su un’unica operazione quando anche allo sportello bancario la regola è diversificare. Ma la controllata è andata per la sua strada, nonostante abbia accumulato perdite negli ultimi tre esercizi per 7,5 milioni di euro.
Altra società in cui ha messo piede è Valtur, oggi commissariata. La vicenda riguarda la Società Alberghiera Porto d’Orra (Sapo) oggi incorporata in Italia Turismo. Sapo nel 2003 aveva concesso in affitto il villaggio turistico di Simeri Crichi (Catanzaro) a Valtur che non ha pagato i canoni annui maturando nei confronti di Sapo un debito che, a novembre 2011, sfiorava i 2 milioni di euro. La stessa Valtur nel 2001 aveva stipulato un contratto d’affitto con la Leasing Roma Spa per il villaggio di Pollina con una garanzia nominale di Investitalia all’acquisto irrevocabile dell’immobile in caso di mancato pagamento dei canoni. Leasing Roma sta bussando alle porte della società pubblica per chiedere 16 milioni di euro oltre le spese. Il giudizio sulla causa, con gli attuali vertici di Invitalia che si rifanno sui precedenti amministratori, pende al Tribunale di Bologna. Anche la controllata “Italia Navigando” naviga in cattive acque con una pendenza da parte dell’azionista di minoranza “Mare 2 Srl” che chiede 16 milioni di euro di danni anni imputando all’Agenzia e ai suoi dirigenti una gestione inefficiente.
Invitalia sostiene poi lo sviluppo di impresa e il sostegno alle aree di crisi. Una pioggia di milioni che non sempre porta i frutti sperati: nel 2010 ha erogato 32,1 milioni a 26 iniziative imprenditoriali per le quali a regime si prevedono ricadute occupazionali per 680 lavoratori, 289 milioni di aiuti a 4.395 imprese, 55 milioni per 6 progetti occupazionali con la speranza di creare 367 posti di lavoro. Su queste operazioni la magistratura contabile ancora una volta raccomandato maggiore attenzione ai beneficiari, “al reale tasso di sopravvivenza garantito con le risorse pubbliche, al tasso di rientro dei finanziamenti erogati e ai connessi problemi relativi a sofferenze e incaglie. Speciale riflessione meritano – dicono i giudici – i criteri sulla base dei quali vengono realizzate le iniziative ed allcolte le domande, anche con riferimento alle priorità riferite alle aree del Mezzogiorno”.
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Questo blog nasce proprio nell'intento di condividere opinioni, idee, esperienze, progetti, filosofie, culture, modelli di sviluppo alternativi e/o complementari che per la prima volta, forse, ci permettano di sentirci un POPOLO unito che ha la consapevolezza, la forza e la capacità di scegliere il proprio futuro per sè e per le generazioni a venire. Un popolo che urla la propria indignazione verso quella classe politica cinica ed autoreferenziale che interpretando la politica come mezzo ad uso esclusivo proprio e dei propri affini a vantaggio personale e clientelare ha spezzato la catena di congiunzione con l'elettorato attivo, non fornendo risposte, non risolvendo problemi. Non resta che rimboccarci le maniche, fare politica attiva, dare il proprio contributo! ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può fare grande l'italia! Che ognuno di noi possa interpretare nel proprio quotidiano, con il proorio lavoro, le proprie aspirazioni, i propri sogni il CAMBIAMENTO che vorremmo vedere nella nostra bella ITALIA!
La più grande difficoltà sta nell'interpretare la politica come un mezzo al servizio della collettività, della giustizia sociale, uno strumento utile a migliorare la qualità della vita di tutti noi. gli anni trascorsi dal '94 ad oggi hanno segnato le menti, le coscienze ed i cuori, riempendoli di scontri verbali, contrapposizioni ideologiche, dietrologie politiche, lotte di classe. Tutto ciò fa gioco alla oligarchia classista avida di potere che detiene non soltanto il potere politco, ma soprattutto, il potere economico e finaziario di questo paese. In realtà "gli affari" vengono fatti con l'accordo di tutti trasversalmente ad ogni "finta ideologia" politica. La politica degli opposti schieramenti, delle tifoserie selvagge, della contrapposizione liberista-comunista è nella realtà odierna una assurda amenità anacronistica utile soltanto al conservatorismo liberista finto riformista che così continua a tenere sotto scacco le capacità imprenditoriali, i talenti intellettuali, la voglia di "cambiamento" di questo paese. Facciamo che queste eccellenze non rimangano inespresse: lottiamo "insieme" senza inutili contrapposizioni ideologiche. Una cosa ci accomuna tutti: l'amore per il nostro paese. lottiamo insieme per costruire un futuro migliore per tutti!