Le Germania dice sì alla Tobin tax
D'accordo governo e parlamento


Introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie nell'eurozona: è sempre stato argomento tabù, nonostante la crisi. Ma adesso fa parte della "trattativa parallela" tra Germania e Francia.

La coalizione di centro-destra si è accordata in linea di massima con l'opposizione socialdemocratica e verde sull'introduzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie nell'eurozona, fino a ieri bloccata dai liberali della Fdp. Dal gettito potrebbero venire impulsi alla crescita.
L'imposta sulle transazioni finanziarie, che sta a cuore al presidente francese Hollande, ed è collegata alla trattativa con Parigi su un «patto per la crescita» che dovrà accompagnare il «patto fiscale» sul pareggio dei bilanci, è materia di un negoziato parallelo anche con l'opposizione tedesca. Merkel ha bisogno di un'intesa con Spd e verdi, per far ratificare prima delle ferie parlamentari dal Bundestag e dal Bundesrat, con maggioranze «costituzionali» di due terzi, il Fiskalpakt e il meccanismo europeo di stabilità. Dopo settimane di tira e molla, qualcosa si sta muovendo.
Ma l'attenzione dei media è stata distratta da un'intervista piuttosto convenzionale concessa dalla cancelliera alla prima rete della televisione Ard, dove non si faceva cenno alle trattative sulla «crescita», né con Parigi, né con l'opposizione tedesca. La trascrizione dell'intervista, registrata in precedenza, è stata messa di buon'ora in rete col titolo «Serve più Europa», e qualche agenzia di stampa dalla memoria corta a creduto di vederci una novità.
Il «più Europa» è un tassello costante nei discorsi di Merkel, almeno da quando l'ex cancelliere Helmut Kohl nel febbraio del 2011 intervenne, via Bild Zeitung, a scuotere i deputati democristiani che esitavano a concedere crediti alla Grecia: «Abbiamo bisogno, a maggior ragione adesso, non di meno Europa, ma di più Europa». La stampa intonò una corale lode alla passione europeista dell'anziano politico, e un altrettanto corale lamento sulla «mancanza di pathos» di Merkel. E lei, sempre pronta imparare, da allora ripete, con la sua retorica sobria e a volte perfino algida: «Abbiamo bisogno di più Europa».
Il ritornello ha accompagnato le trattative per imporre il Fiskalpakt, la demenziale rinuncia a elasticità nella modulazione della spesa pubblica, venduta appunto come «più Europa». Che significa soprattutto, come Merkel ha spiegato anche ieri, più controlli sui bilanci degli stati membri: «Abbiamo bisogno di più Europa. Non basta un'unione monetria, serve anche una cosiddetta unione fiscale, cioè una politica di bilancio comune. Abbiamo soprattutto bisogno di un'unione politica, ovvero dobbiamo anche, passo passo, cedere competenze all'Europa, dare all'Europa possibilità di controllo» (sottolineatura nostra).
Tempestiva la replica del socialista Gregor Gysi: «Finché i governi europei considerano inutile un'unione sociale, tengono ai margini il parlamento europeo, inchiodano l'Europa ai mercati finanziari, definidendola in primo luogo attraverso diktat sui tagli alla spesa, un simile 'più Europa' suona come una minaccia esiziale per l'Europa».
Ma al di sotto delle opposte dichiarazioni di principio sui modelli della costruzione europea, a Berlino procede il lavorio trasversale di due gruppi di lavoro, per l'«imposta sulle transazioni finanziarie» e sul «patto per la crescita».
Poche ore dopo l'apparizione televisiva di Merkel, gli emissari che trattano su una tassa, con un'aliquota di qualche millesimo di punto, sugli scambi di azioni, obbligazioni e derivati, sono apparsi ottimisti. «C'è una svolta positiva», ha detto il vicecapogruppo del liberali, Volker Wissing. Il suo collega socialdemocratico Joachim Poss ha confermato: «Siamo riusciti a fare un passo importante verso un'imposta sulle transazioni finanziarie».
Nessun dettaglio è filtrato. È chiaro però che - constatata l'opposizione della Gran Bretagna - si intende procedere col metodo della «cooperazione rafforzata» con i paesi che saranno d'accordo. Basta l'intesa di nove stati per cominciare. Si andrà avanti senza aspettare Londra, e ieri Merkel lo avrà preannunciato a David Cameron, in visita a Berlino. Il presidente della Spd, Sigmar Gabriel, trionfa: «L'Unione e la Fdp seguono, dopo due anni e mezzo, le nostre proposte sulla Finanzmarktsteuer. Adesso manca ancora il patto per la crescita».
Qui i negoziatori sono lontani da un'intesa. La coalizione nero-gialla rifiuta di garantire in comune la quota dei debiti degli stati membri che superi il 60% del Pil, sebbene lo abbia proposto l'anno scorso la consulta di «saggi» economisti nominata proprio dal governo tedesco. Per Merkel nessuna «comunitarizzazione del debito» è compatibile con i trattati europei.
Non è poi chiaro se la Banca europea degli investimenti sarebbe in grado di aumentare il volume dei suoi programmi. Pure i piani per contrastare la disoccupazione giovanile sarebbero in alto mare. Il 13 giugno i capi dei partiti si incontreranno per sondare le possibilità di accordo.