Sempre così! Appena l'opinione pubblica viene distratta da altro siano i mondiali di calcio, un sisma o un evento di cronaca nera, il Parlamento prende la palla al balzo per fare passare sotto silenzio, quasi nell'anonimato dei media quei provvedimenti che per mesi hanno inchiodato il governo al rispetto di precise responsabilità politiche: quella di tutelare il lavoro, i lavoratori, i nostri diritti! Per pagare una crisi generata da finanzieri e speculatori, banche d'affari e d'investimento senza scrupoli, si chiede ai più deboli di rinunciare al minimo di tutela che gli era rimasta pur di salvare un sistema, quello capitalistico, che oggi più che mai evidenzia contraddizioni e lacune. La prima più palese ed evidente è il fatto che il sistema capitalistico necessita di livelli di consumo costanti e crescenti per determinare livelli di sviluppo costanti che permettano di evitare la saturazione dei mercati di sbocco. Oggi che la macchina consumistica è ai box si rinuncia a tutele, servizi, diritti acquisiti e futuri pur di non compromettere il moto della macchina capitalistica che, però, purtroppo, nonostante gli sforzi profusi, non sembra riuscire, nel breve periodo a riprendere la corsa verso il traguardo della crescita.
La riforma Fornero del lavoro - quella che smantella l'articolo 18 - è passata ieri definitivamente al Senato, dopo che sono arrivati gli ultimi due sì alle complessive quattro fiducie poste dal governo, e l'ok all'intero testo con 231 voti favorevoli, 33 contrari e 9 astenuti. La ministra del Welfare ha espresso soddisfazione, così come il primo ministro Mario Monti e la «santa» alleanza Pd-Pdl. Il premier ha spiegato che si tratta di «una riforma di profonda struttura che ha ricevuto il parere favorevole di organismi internazionali imparziali come Ue, Ocse, Fmi». Alla domanda se l'iter parlamentare sarà blindato alla Camera, con una fiducia così come è stato a Palazzo Madama, Monti ha risposto: «A noi interessa il buon esito della riforma». Sostanzialmente, non ha negato. Entusiasta il giudizio di Anna Finocchiaro, per il Pd: «È stata raggiunta una sintesi razionale, laica e direi, se non fosse una sgrammaticatura, costituzionale e riformista della regolamentazione del mercato del lavoro e penso che sarà utile all'Italia». Più cauto Maurizio Gasparri, del Pdl: «Non è la nostra legge, non è quella che avremmo voluto fare, ma l'abbiamo migliorata». Gasparri si riferisce alle lunghe polemiche sulla «flessibilità in entrata» portate avanti dalla Confindustria, che desiderava meno lacci possibili. Inoltre, il neopresidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, si era lamentato dell'ancora troppo ampia (a parere suo) discrezionalità lasciata ai giudici sul nodo dei licenziamenti.Diversa l'atmosfera dentro la Cgil. Al sindacato guidato da Susanna Camusso la riforma non piace, e ancor meno è piaciuto che il governo abbia posto la fiducia. Dalla sinistra della segreteria viene dunque la richiesta di sciopero generale: è Nicola Nicolosi a chiederlo, denunciando che l'uso della fiducia è una «chiara sospensione della democrazia nel nostro Paese». Opinione non certo condivisa da tutto l'esecutivo che si stringe intorno a Camusso, tanto che per ora la segretaria ha dribblato il problema, in vista della riunione dei vertici Cgil prevista per lunedì: «La riforma - ha spiegato - è esattamente ciò che non serve al lavoro. La mobilitazione della Cgil continua. Sullo sciopero, invece vedremo. Decideremo quando e come continuare». Un altro segretario Cgil, Danilo Barbi, rincara e chiede che il Parlamento sospenda l'iter del ddl (la settimana prossima dovrebbe approdare alla Camera): «Quel testo è un pasticcio inestricabile - dice - Non c'è una riduzione reale delle forme di precarietà, e solo l'opposizione della Cgil ha permesso di non aprire la strada totalmente ai licenziamenti facili. Con questa riforma si aprirà un contenzioso legale infinito, e nel combinato disposto con le riforma delle pensioni permetterà alle imprese di ricorrere a una valanga di espulsioni dai luoghi di lavoro. Avremo una moltiplicazione biblica degli esodati». Passando al contenuto del ddl, alcuni punti, come ad esempio i contratti flessibili, sono notevolmente peggiorati rispetto alle stesure precedenti: La durata del primo contratto a termine che può essere stipulato senza che siano specificati i requisiti per i quali viene richiesto (cioè la causale), sarà addirittura di un anno. Per i cocoprò si prevede una definizione più stringente del progetto, con la limitazione a mansioni non meramente esecutive o ripetitive e aumento dell'aliquota contributiva di un punto l'anno fino a raggiungere nel 2018 il 33% previsto per il lavoro dipendente. Lo stipendio minimo dovrà poi fare riferimento ai contratti nazionali. Si rafforza l'attuale una tantum-ammortizzatore per i parasubordinati, innalzandone l'entità. Per le partite Iva, si prevede che la durata di collaborazione non deve superare 8 mesi (erano 6 nel ddl originario); il corrispettivo pagato non deve essere superiore dell'80% di quello di dipendenti e cococò (75% nel ddl); il lavoratore non deve avere una postazione «fissa» in azienda: non si può avere una scrivania, insomma, ma il telefono sì. Le partite Iva che hanno un reddito annuo lordo di almeno 18 mila euro sono considerate vere (punto contestatissimo dalla Cgil, che vorrebbe vedere triplicato quel valore-soglia). Per attivare il job on call (lavoro a chiamata) basterà inviare un sms alla Direzione provinciale del lavoro. In caso di mancato avviso, l'azienda rischia da 400 a 2400 euro di multa. Il job on call sarà autorizzato liberamente per lavoratori under 25 e over 55.
Bye Bye Art. 18
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Questo blog nasce proprio nell'intento di condividere opinioni, idee, esperienze, progetti, filosofie, culture, modelli di sviluppo alternativi e/o complementari che per la prima volta, forse, ci permettano di sentirci un POPOLO unito che ha la consapevolezza, la forza e la capacità di scegliere il proprio futuro per sè e per le generazioni a venire. Un popolo che urla la propria indignazione verso quella classe politica cinica ed autoreferenziale che interpretando la politica come mezzo ad uso esclusivo proprio e dei propri affini a vantaggio personale e clientelare ha spezzato la catena di congiunzione con l'elettorato attivo, non fornendo risposte, non risolvendo problemi. Non resta che rimboccarci le maniche, fare politica attiva, dare il proprio contributo! ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può fare grande l'italia! Che ognuno di noi possa interpretare nel proprio quotidiano, con il proorio lavoro, le proprie aspirazioni, i propri sogni il CAMBIAMENTO che vorremmo vedere nella nostra bella ITALIA!
La più grande difficoltà sta nell'interpretare la politica come un mezzo al servizio della collettività, della giustizia sociale, uno strumento utile a migliorare la qualità della vita di tutti noi. gli anni trascorsi dal '94 ad oggi hanno segnato le menti, le coscienze ed i cuori, riempendoli di scontri verbali, contrapposizioni ideologiche, dietrologie politiche, lotte di classe. Tutto ciò fa gioco alla oligarchia classista avida di potere che detiene non soltanto il potere politco, ma soprattutto, il potere economico e finaziario di questo paese. In realtà "gli affari" vengono fatti con l'accordo di tutti trasversalmente ad ogni "finta ideologia" politica. La politica degli opposti schieramenti, delle tifoserie selvagge, della contrapposizione liberista-comunista è nella realtà odierna una assurda amenità anacronistica utile soltanto al conservatorismo liberista finto riformista che così continua a tenere sotto scacco le capacità imprenditoriali, i talenti intellettuali, la voglia di "cambiamento" di questo paese. Facciamo che queste eccellenze non rimangano inespresse: lottiamo "insieme" senza inutili contrapposizioni ideologiche. Una cosa ci accomuna tutti: l'amore per il nostro paese. lottiamo insieme per costruire un futuro migliore per tutti!
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