Il sistema di vita del mondo occidentale appare sempre più in crisi. L’economia di mercato, che aveva avuto campo libero dopo la definitiva sconfitta del suo principale antagonista ideologico, il Comunismo, sembra sempre più incapace di soddisfare i bisogni di ampi strati della società, con un crescente, visibile malcontento, che nella migliore delle ipotesi produce forte instabilità politica e, nella peggiore, fenomeni di protesta anarcoide.

Il modello che nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale aveva consentito agli Stati Uniti, al Giappone e all’Europa Occidentale tassi di sviluppo e di diffusione del benessere senza precedenti si sta inesorabilmente rivoltando contro i suoi più accaniti sostenitori, sempre più alle prese con un forte senso di smarrimento e di perdita di identità. Mentre i governi si trovano infatti a dover affrontare problemi giganteschi sotto il profilo della finanza pubblica, generati dall’era dell’"azzardo morale", sempre più gente continua a scendere in piazza per protestare contro lo scollamento evidente tra i programmi elettorali originari e le politiche che i governi stessi si trovano a dover mettere in atto, loro malgrado, a protezione del “sistema”.

In Grecia il governo si appresta ad approvare un nuovo pacchetto di misure fiscali restrittive imposte dalla EU e dal FMI in palese attrito con la volontà popolare, e per consentire il voto è stato predisposto l’impiego massiccio di forze dell’ordine a difesa del Parlamento, che si prevede sarà assediato da migliaia di dimostranti. In Irlanda il Fine Gael di Enda Kenny ha vinto le elezioni non più tardi di alcuni mesi fa promettendo all’elettorato di imporre ai creditori privati detentori delle obbligazioni bancarie irlandesi senior il cosiddetto burden-sharing, cioè la condivisione delle perdite con il settore pubblico; ma una volta vinte le elezioni, si è immediatamente rimangiato la parola, sulla scorta dell’enorme pressione esercitata dalle autorità europee preoccupate dall’effetto contagio. A Madrid la piazza principale è ormai da mesi occupata da migliaia di autoproclamatisi “indignados”, giovani che protestano per la crisi profonda che sta toccando la nuova generazione in un Paese che esprime al momento tassi di disoccupazione vicini al 20% e che ha tuttora un governo guidato dai socialisti. In Germania, l’orientamento ostile della maggioranza dell’opinione pubblica ai salvataggi finanziati dal denaro dei contribuenti ha spinto più volte esponenti autorevoli del governo a fare la voce grossa e ad invocare un forte contributo dei mercati in questo genere di operazioni, salvo poi fare retromarcia quando i guardiani del sistema (la BCE, la FED, il Fondo Monetario Internazionale, la EU, ecc.) hanno illustrato loro le prevedibili immediate conseguenze di scelte di rottura di questo tipo.

Che cosa è il sistema ? Il sistema è l’economia globalizzata ed interconnessa che si è venuta a creare negli ultimi due decenni, il risultato di un modello di sviluppo che è stato esportato e fortemente propagandato dapprima dal mondo anglosassone al resto dell’Occidente, e poi da lì a tutto il resto del mondo, sulla base dei presunti enormi benefici che questa estensione dell’economia di mercato avrebbe generato per tutti, in primis per il mondo occidentale, che avrebbe goduto di prezzi più bassi, innescati dalla competizione globale, per i suoi consumatori, e di enormi mercati di sbocco per i suoi prodotti/servizi a maggiore valore aggiunto. In questo modello misure come il protezionismo economico, la rigidità dei mercati del lavoro, il controllo sul movimento dei capitali, sono state sempre più additate dall’establishment economico internazionale come seri ostacoli allo sviluppo e alla crescita del Paese che intendeva adottarle. Non solo l’economia si è globalizzata, ma anche la finanza, con il risultato che sempre di più oggi la stabilità del quadro finanziario internazionale appare straordinariamente dipendente dalla stabilità finanziaria del suo weakest link, cioè del suo anello più debole, oggi per esempio rappresentato dalla Grecia. Se l’anello più debole salta, i molteplici meccanismi di interconnessione della finanza a livello globale sono in grado di mettere il sistema in ginocchio, con il risultato che oggi i greci non sono padroni assoluti del loro destino.

Tutto il mondo della finanza internazionale ritiene di avere il diritto di esprimere la sua opinione e influenzare le decisioni che contano.

I mercati dettano l’agenda ai governi dei Paesi guida, che la dettano ai governi degli anelli più deboli, in barba alla volontà popolare e al meccanismo della rappresentanza politica, perché quello che davvero conta è preservare il sistema, a qualsiasi costo. E il sistema va preservato nel breve, non nel lungo periodo, per cui gli sforzi sono perennemente protesi a puntellarlo e a rinviare nel tempo i nodi insolubili, pur sapendo che tali nodi nel tempo cresceranno al punto tale da renderne impossibile la sopravvivenza. Che se la prenda la prossima classe politica la responsabilità, questo è il motto dominante.

Nel suo romanzo più famoso pubblicato nel 1932, “Il Mondo Nuovo”, lo scrittore americano Aldous Huxley aveva anticipato alcuni dei temi che sarebbero diventati centrali nella società moderna, come il razionalismo produttivistico, l’eugenetica, l’omologazione culturale, il governo mondiale.

Il romanzo descriveva un’ipotetica società del futuro che, nata sulle ceneri di una guerra devastante, aveva lasciato il governo unificato del mondo a dieci “Coordinatori mondiali” responsabili di garantire il rispetto del principio fondante di essa, riassumibile in “Comunità, Identità, Stabilità”. La nuova società era concepita sul modello della produzione in serie, alimentata dalla divisione degli esseri umani in 5 caste, di cui le tre caste inferiori erano riprodotte solo attraverso clonazione. La casta superiore, quella degli ALFA, era composta dagli individui destinati al comando. Quella immediatamente successiva, quella dei BETA, predestinata agli incarichi amministrativi. L’ultima casta, quella degli EPSILON, era destinata ai lavori più umili. Tutte le caste erano sottoposte a condizionamento mentale finalizzato a realizzare la piena accettazione del loro ruolo nella società, ed eventuali sprazzi di infelicità venivano curati attraverso una droga legale, il soma.

Facendo in modo evidente il verso al motto della Rivoluzione Francese, lo scrittore aveva in modo ironico (ma non troppo) puntato l’indice verso la graduale degenerazione dei valori sociali in corso nella società dei consumi, dove alla libertà veniva progressivamente sostituito il senso di appartenenza allacomunità figlio dell’indottrinamento, all’uguaglianza veniva sostituita l’omologazione identitaria, allafratellanza l’esigenza assoluta di stabilità.

Come nella società immaginata da Huxley negli anni ’30, anche la nostra negli ultimi due decenni si è basata sui concetti di “casta” e “produzione in serie”, ed è stata governata dal principio cardine tripartito di Comunità (la comunità globalizzata con chiara definizione dei ruoli), Identità (l’omologazione culturale e la convergenza degli stili di vita) e Stabilità (degli individui e quindi del sistema). L’Occidente si è reso promotore e garante del sistema, condizionando attraverso i suoi meccanismi di coordinamento (FMI, Banca Mondiale, G7, Banche Centrali, ecc.) il resto del mondo ad accettare il ruolo ad esso assegnato nella società globalizzata: mentre i cittadini europei, americani, canadesi, ecc., hanno ritenuto di avocare a se stessi i ruoli tipici delle caste dominanti, il comando e l’amministrazione, il ruolo dei cittadini indiani, cinesi, coreani, messicani, ecc., nel sistema sarebbe dovuto limitarsi ai lavori essenzialmente di quantità e di fatica, o comunque a produzioni a basso valore aggiunto, e all’accettazione rassegnata dello sfruttamento delle loro risorse nazionali (demografiche, energetiche, minerarie, ecc.).

La crisi del sistema è sorta nel momento in cui i cittadini dei Paesi in via di sviluppo hanno imparato la lezione del capitalismo e l’hanno usata contro di noi. Per anni l’Occidente si è crogiolato in dotte spiegazioni del suo più alto tasso di sviluppo, insistendo su concetti come il vantaggio comparativo internazionale o la produttività, e santificando gli enormi pregi dell’economia di mercato. Ma quando nella grande competizione globale questi concetti tradotti in pratica hanno cominciato a premiare altri Paesi, tutti quelli delle presunte “caste inferiori”, determinando un’emorragia di posti di lavoro ed un forte impoverimento degli strati più deboli della nostra società, i cittadini BETA occidentali hanno iniziato a mettere in discussione il sistema, ad invocare misure come il protezionismo, a demonizzare ogni forma di mobilità o flessibilità lavorativa, a considerare il decentramento e la delocalizzazione come il peggiore dei mali. In altre parole, hanno cominciato a rifiutare la logica impietosa del Mercato, che non fa sconti a nessuno.

E’ la nemesi del capitalismo globalizzato, il Mondo Nuovo, che si rivolta contro chi lo ha creato. Il somadel consumismo sembra non funzionare più, e sempre di più i cittadini non si sentono parte della comunità globale, sempre di più rifiutano l’omologazione culturale, sempre di più minacciano la stabilità aspirando ad una rivoluzione del sistema alle fondamenta.


Per questo, visti questi presupposti ci si pone la domanda: è ancora sensatamente possibile pensare che la mera espansione finanziaria possa costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica? Se si risponde di no, come credo che oggi si debba fare, e se non si prende la strada sbagliata della decrescita, ecco allora che è doveroso interrogarsi sulla nuova logica di ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore, che potrà affermarsi nei prossimi anni.
Nel nuovo quadro che si va formando, non solo sarà più difficile e controverso avere accesso alle consistenti opportunità di profitto ancora disponibili a livello mondiale, ma soprattutto non le si potrà più assumere come necessariamente in crescita.
Per compensare tali difficoltà, il nuovo ciclo di accumulazione dovrà investire, ancora più massicciamente di quanto non sia già accaduto, sulla propria base cognitiva. E ciò per almeno due ragioni. La prima è che, all’interno di un pianeta sempre più unificato da un sistema tecnico-economico planetario, il confronto sarà ancora più stringente rispetto ai livelli di efficienza e di innovazione. La seconda è che, soprattutto nelle società mature, la conoscenza costituirà un fattore decisivo per allargare le opportunità di mercato.
Tuttavia, questa prima dimensione, da sola, non sarà sufficiente. Sia perché costosa, sia perché relativamente incerta.
Un contributo ugualmente importante dovrà venire anche da nuove forme di «accumulazione sociale e culturale», dove con tale espressione si intende la cura dei luoghi e delle persone che sono il patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società avanzate sono alla ricerca. In un mondo sempre più integrato sul piano tecnico-economico, al di là di una certa soglia cognitiva, a fare la differenza sarà il differenziale derivante dalla qualità delle persone, dei luoghi, delle istituzioni.
In questo senso, l’economia tornerà a legarsi alla società: la nuova stagione dell’accumulazione dipenderà più decisamente dalla capacità di produzione di valore sociale, che altro non è che un sistema di priorità: fare di più con meno eliminando gli sperperi e le rendite; includere e integrare la dimensione sociale in contesti a crescente complessità umana; valorizzare lo spirito di iniziativa e le capacità individuali, oltre che la bellezza e l’efficienza di contesto.
La buona notizia è che tutto ciò porterà con sé un nuovo modello di crescita che promette di essere migliore di quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Naturalmente a condizione che si capisca di che cosa si sta parlando e che si costruisca un consenso attorno a ciò che fonda il futuro di una società di questo tipo: centralità della scuola e della università, della conoscenza e della cultura, dell’intrapresa e dell’investimento, della collaborazione e della cooperazione.