Per tutta la giornata ieri, continuavo a guardare le foto orrende di quei teenagers picchiati dalla polizia nei cortei organizzati in varie città italiane. Pensavo al sangue, alla brutalità di un corpo trascinato sull’asfalto e a volti impauriti di fronte ai manganelli. E pensavo ai miei nipoti. E a me e mio fratello e ai nostri, tanti, pacifici cortei. E pensavo alla Diaz. Alla vergogna in mondovisione di un paese che, dopo quella vergogna, dovrebbe avvertire una certa difficoltà nel definirsi civile.
Pensavo che senza pene adeguate e senza responsabilità politiche i fatti della Diaz, il sangue innocente, i manganelli, i calci in faccia, le umiliazioni e la violenza sembrano quasi “cose da niente”, cose che si possono ripetere, restando innocenti, nascosti sotto caschi e dietro scudi come se si fosse in guerra. E il nemico ha quindici anni ed è smilzo e forse ha ancora qualche brufolo sul viso.
Vergogne. Vergogne dolorose che ci rendono un paese sempre piu’ allo sbando. Sempre meno libero. Sempre più violento. Abbiamo tolto tutto a quei ragazzi. Gli stiamo mangiando il futuro. Gli abbiamo detto che sognare e’ da cretini, che studiare non serve, che senza un paio di tette grosse non vai da nessuna parte. Gli abbiamo insegnato che si puo’ rubare, corrompere, frodare, evadere il fisco, mentire, infangare le istituzioni ed essere intoccabili. Inamovibili. Perché potenti. Del potere dei corrotti e dei gradassi. Del potere che ci ha ridotto alla caricatura del paese che eravamo. Gli abbiamo detto che non devono andar via se no sono “traditori”, ma se provano a protestare li picchiamo nei denti perché non devono pensare mai e poi mai di poter avere una voce, di poter essere persone.
Quando io ero più giovane, sognavo e lo faccio ancora. Sognavo di essere felice. E mio padre e mia madre mi hanno ripetuto sempre che se studiavo e facevo del mio meglio avrei potuto esserlo. Ho studiato e ho fatto del mio meglio, poi, prima che fosse troppo tardi, sono andata via, con la mia rabbia, il mio dolore e senza sapere chi fossi, perchè il mio paese aveva riso in faccia alle mie aspirazioni perché non “supportate” dalle conoscenze giuste. Eppure io sono stata fortunata, perché quando ero più giovane, mi è stato almeno concesso sognare. Ieri, in tante città, i manganelli hanno ribadito che il sogno, in Italia, è fuorilegge. Che la gioventù è fastidiosa perché si ha ancora voglia di non essere servi. E allora bisogna far ben capire chi comanda.
Ieri, era l’anniversario della morte di Steve Jobs. Un genio. Da lui, da molto tempo, ho preso, come mio motto, la famosa frase “resta affamato, resta folle” che lui, a sua volta aveva letto in una rivista degli anni sessanta. Pensavo a Jobs e ai ragazzi picchiati. E a quella follia che in Italia è derisa e considerata “pericolosa” e che fa troppo presto spazio alla necessita’ della sopravvivenza senza bagliori, senza neppure più la voglia del sogno, senza neppure più l’aspirazione alla felicità.
Abbiamo tolto tutto ai questi ragazzi e se provano a ribellarsi li picchiamo. E non ce ne vergogniamo. Tanto domenica ci sono le partite.
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