E’ vero o non è vero? Quante cose ha detto (anzi ridetto) Silvio Berlusconi a Servizio Pubblico che barcollano al confronto con la realtà documentabile? Ci sono varie affermazioni sottoposte anche al fact checking dei lettori che convincono poco.
I record di cassaintegrazione
Si potrebbe iniziare, per esempio, dai dati sulla cassaintegrazione. “Noi abbiamo subito una politica di austerità – ha spiegato l’ex presidente del Consiglio – che se applicata ad un’economia in sviluppo produce risultati. Se fatta, come è successo, porta a quello a cui assistiamo oggi: un calo di consumi, aziende che hanno esuberi, la cassa integrazione che non ha mai toccato questi livelli”. Peccato che “questi livelli” siano le 1090,6 milioni di ore totalizzate nel 2012, quando, è vero, nel 2011 ci si è fermati (si fa per dire) alle 973,2. Ma nel 2010 (quando il governo Berlusconi era insediato ormai da due anni) si arrivò a 1197,8 milioni di ore di cassaintegrazione, cioè oltre 100 milioni di ore in più rispetto all’anno dell’esecutivo tecnico. La fonte è quella dell’Inps.
Chi ha reintrodotto l’Imu?
Gioco quasi facile anche sull’Imu. Un argomento su cui si è molto innervosito il Cavaliere durante l’intervento nello studio di Santoro. Berlusconi alza la voce e accusa il governo di aver operato uno “spostamento a sinistra del governo”, che “ha provocato un allontanamento dalle direttive che noi cercavamo di dare”. Insomma: “L’Imu non potevamo non votarla perché avremmo fatto cadere il governo. Dovemmo approvarla e decidemmo di presentare una variazione dando indicazioni per trovare i 4 miliardi necessari ma il governo ci disse che non era possibile e allora siamo arrivati al disaccordo totale che ha portato a farci togliere la fiducia”. In realtà, come ormai è arcinoto, la reintroduzione dell’imposta sulla casa era stata decisa già dal governo Berlusconi nella primavera 2011. Certo, sarebbe dovuta partire dal 2014 ed escludeva la prima casa (e sulla rimodulazione dell’imposta è d’altronde d’accordo lo stesso Bersani).
La crisi e i ristoranti pieni
Poi la mai dimenticata teoria dei ristoranti pieni. A Servizio Pubblico mandano il suo discorso durante il G20 di Cannes (2011) e lui parla del 2009. “Io non annetto a quanto fatto come governo alcuna responsabilità” nello scoppio della crisi economica, dice Berlusconi che poi vuole “confermare le parole del 2009” quando c’era “una situazione diversa e non si era scatenata la crisi che ci avrebbe colpito successivamente”. L’ex presidente del Consiglio ha citato i dati delle agenzie di viaggio, i ristoranti che “lavoravano a pieno ritmo” e le “difficoltà nel prenotare aerei nei week end e nei ponti festivi”. Non c’era insomma ancora “nessun accenno ad una forte crisi: tutti pensavano che si stesse riprendendo un cammino di crescita” tanto che “la disoccupazione era inferiore all’8%, fisiologica per il nostro paese”.
La crisi internazionale, anche qui si tratta di circostanze ormai pacifiche, è iniziata nel 2008. Nel 2009, a leggere l’Istat, il Pil era crollato del 5 per cento. Berlusconi, però, dice il giusto sulla disoccupazione che quell’anno era calata del 7,8 per cento. Le associazioni di categoria dei commercianti e degli albergatori si lamentavano per un anno da dimenticare. Lo stesso vale per il 2011 (il Pil ha perso lo 0,4%, ma non si può parlare di un’economia fiorente), al quale si riferivano in realtà le immagini mandate in onda. Peraltro lo disse il 5 novembre, dieci giorni prima che Napolitano e mezza Europa lo costrinsero a dimettersi per lasciar posto a Mario Monti.
“Mai licenziato nessuno”Era già emersa, poi, la contraddizione su quell’assicurazione per i dipendenti delle sue aziende: “Non ho mai licenziato nessuno”. Dimenticando che in in realtà, poche settimane fa, la suaPublitalia ha licenziato in tronco 35 dirigenti. Accanto a questo ci sono i tagli a Mondadori per poter trovare risorse necessarie al rilancio dei giornali del gruppo: dopo i prepensionamenti, giusto a settembre uscì la notizia dell’ “esubero” di un centinaio di dipendenti.
“Il Governo non può usare decreti”
“Il Governo italiano non può usare il decreto legge“ ha detto Berlusconi. Bene: il quarto governo Berlusconi ne ha approvati 80 in 42 mesi. Nelle esperienze precedenti, invece, il secondo e terzo governo Berlusconi (quattordicesima legislatura) avevano registrato una media superiore a quella del governo dei tecnici: 217 decreti, ossia 3,6 al mese, ma in un arco temporale di 60 mesi. Per la cronaca il secondo governo Prodi (2006-2008) ha emanato 47 decreti legge. 
In particolare: i provvedimenti del Governo Berlusconi
34 decreti legge [di cui 31 approvati definitivamente e 1 approvato da una Camera]
29 disegni di legge [di cui 6 approvati definitivamente e 11 approvati da una Camera]
34 ratifiche di trattati internazionali [di cui 19 approvati definitivamente e 4 approvati da una Camera. (fonte: www.popolodellalibertà.it!!!!)
La Corte CostituzionaleDifficile dare ragione a Berlusconi, in base ai fatti e ai documenti, anche sull’affermazione per la quale “la Corte Costituzionale è formata da 11 uomini di sinistra e 4 di centro-destra”. Come mai? Perché, come ha spiegato più volte, tre successivi presidenti della Repubblica di sinistra hanno messo lì cinque uomini appartenenti all’area della sinistra”. Innanzitutto dei 15 membri della Consulta nessuno è stato nominato da Oscar Luigi Scalfaro (compreso tra i tre presidenti peraltro pretesi di sinistra visto che Scalfaro è sempre stato democristiano e Ciampi non è mai stato politico se non ai tempi dell’esperienza azionista nel Dopoguerra). Nel merito, tuttavia, su 5 membri della Corte eletti dal Parlamento tutti sono stati nominati durante i governi di centrodestra. Uno solo è riconducibile al centrosinistra (Sergio Mattarella, ex sottosegretario di Prodi ai tempi dell’Ulivo). Gli altri sono Luigi Mazzella (ministro della Funzione Pubblica di Berlusconi per 2 anni dal 2002 al 2004), Gaetano Silvestri, Paolo Maria Napolitano (noto anche per aver partecipato alla cena a casa di Mazzella con Berlusconi, Letta e Alfano) e Giuseppe Frigo (già avvocato di Berlusconi e Previti).
Gallo, Cassese e Tesauro sono stati nominati da Ciampi, mentre Grossi e Cartabia da Napolitano, ma tutti hanno sempre avuto solo incarichi professionali nel mondo del diritto (anche a livello internazionale). I restanti 5 sono entrati alla Consulta con il voto delle magistrature supreme: Quaranta (dal Csm), Criscuolo (dalla Cassazione), Lattanzi (Cassazione), Carosi (Corte dei Conti) e Morelli (Cassazione). D’altronde ancora una volta la procedura è regolata dall’articolo 135 della Costituzione. 
La mafia e i latitanti
Difficile da dimostrare anche l’affermazione (ripetuta come una nenia) della cattura dei 32 su 34 pericolosi latitanti, considerati pedine fondamentali per la criminalità organizzata. Difficile non solo perché dal 2009 il ministero dell’Interno ha eliminato la lista dei 30 ricercati più pericolosi (per esempio oggi ce ne sono solo 7), ma anche perché le operazioni per catturare i latitanti le portano avanti magistrati e forze dell’ordine, non il governo. 
A Servizio Pubblico Berlusconi di balle ne ha raccontate tante, troppe. Con il tono di voce sicuro di chi snocciola da anni dati e numeri senza contraddittorio. Nei passaggi cruciali il contradditorio è mancato anche a casa Santoro, in una fossa di leoni per lunghi minuti sdentati, intimoriti dal personaggio, dal demonio per anni attaccato in contumacia che dal vivo fa paura e mette quasi in soggezione. Poco male. Tra un paio di giorni ci saremo già dimenticati di tutto, le dichiarazioni saranno sepolte da nuovi proclami, le balle da nuove balle, seguite da smentite, insinuazioni, attacchi fino al fatidico 24 febbraio.
C’è però una balla in particolare che, se ripetuta nelle prossime uscite, rischia di creare un effetto valanga devastante: quella, colossale, sul debito. L’Italia ha un debito pubblico di 1.900 e passa miliardi di euro ma un “attivo” di 9.000 miliardi, ha sentenziato Berlusconi. Qualsiasi azienda farebbe salti di gioia di fronte a questi numeri. La questione del debito quindi non si pone, è un’illusione ottica, un pretesto dell’asse franco-tedesca per ridurre gli italiani alla miseria e alla sudditanza.
Il vero problema è che – nonostante il Cavaliere cerchi da sempre di farci credere il contrario -l’Italia non è un’azienda. E l’attivo in questione (che ammonta a 8.619 miliardi di euro) è il dato aggregato della “ricchezza delle famiglie italiane”, come evidenziato nell’ultimo rapporto della Banca d’Italia. Non è l’attivo dello Stato, quindi, ma delle famiglie.
Di questi 8.619 miliardi, poco più di 5.000 miliardi di euro costituiscono la “ricchezza abitativa” degli italiani (per l’84,1% abitazioni) e 3.541 miliardi di euro la “ricchezza finanziaria” (risparmi, titoli, azioni, ecc..). Le famiglie hanno però anche un passivo finanziario (mutui, prestiti personali, ecc..) di 900 miliardi di euro, quindi – per essere precisi – l’attivo netto delle famiglie italiane è di 7.700 miliardi di euro circa. Si tratta però sempre e comunque di famiglie, non dello Stato.
Ciò significa che, se vogliamo mettere in relazione – come ha fatto Berlusconi – i 1.900 miliardi di debito con la ricchezza delle famiglie italiane bisogna per forza che lo Stato intervenga per appropriarsi di tale ricchezza. Come ha già fatto con l’IMU e come potrebbe essere costretto a fare sempre di più se non si riuscirà a contenere il debito e il suo rapporto con il PIL. Come? Con nuove tasse sui patrimoni, prelievi forzosi sui conti correnti, aumenti delle imposte di bollo sui conti, aumento della tassazione sui capital gain e ulteriori ritocchi verso l’alto delle imposte sugli immobili. Operazioni sgradevoli e dolorose, soprattutto per la parte di elettorato che Berlusconi potenzialmente rappresenta.
In alternativa si può ridurre la spesa pubblica – come ha iniziato a fare con gli effetti che conosciamo il governo Monti, combattere seriamente l’evasione fiscale e rilanciare la crescita (che sta a denominatore nel rapporto debito/PIL), quella parola magica di cui tanti si riempiono la bocca, ma per la quale nessuno – e tantomeno Berlusconi – ha ancora proposto ricette credibili (mentre dovrebbe diventare il tema centrale della campagna elettorale).
Tra le sedie di Servizio Pubblico ne sarebbe bastata giusto una in più, occupata da un economista serio. Senza un contradditorio preciso sulle balle economiche si rischia di rovinare nella demagogia, promuovendo la diffusione di mezze verità e di teorie economiche da bar che non servono a nessuno. Ma forse l’obiettivo, fin dall’inizio, era proprio quello di buttarla in caciara, in commedia. In tal caso, bisogna dirlo, si è trattato di un pessimo spettacolo.