Il dibattito sull’Europa ha assunto negli ultimi anni e soprattutto nella ultima campagna elettorale, toni populistici e deformanti, perché la maggior parte degli schieramenti politici, desiderosi di “vendere” a un’opinione pubblica sfiancata dalla crisi ricette di risanamento meno onerose, ha cominciato a manifestare insofferenza verso quelli che sarebbero i vincoli imposti dalle istituzioni e dai partner europei. Tre critiche su tutte, ripetute ossessivamente dai politici in cerca di consenso elettorale, appaiono particolarmente strumentali e meritano una replica.


La prima è che la crisi italiana è comune a tutti i paesi dell’Eurozona ed origina in fondo dall’incapacità dell’Unione europea di predisporre delle misure adeguate a livello europeo per evitare speculazioni dei mercati finanziari sul debito sovrano. Ma si confonde il rimedio con l’origine del male: la vulnerabilità dell’Europa riflette il pesante indebitamento di alcuni paesi dell’Eurozona, unitamente alla mancanza di prospettive di crescita, che mettono a repentaglio la solvibilità a termine di tali paesi. Sarebbe quindi forse più onesto interrogarsi sulle vere cause della fuga degli investitori dai titoli di Stato italiani, che vanno di tutta evidenza ricercate nella crescita asfittica del paese e nell’incapacità della nostra classe politica di attuare le riforme di risanamento.

La seconda critica è che l’UE avrebbe imposto una ricetta di austerità deprimendo l’Italia e le altre economie dell’Eurozona già in crisi. Sul punto basti osservare che l’equilibrio dei conti pubblici è una tappa obbligata propedeutica a qualsiasi progetto di sviluppo e di solidarietà intergenerazionale e va perseguita per il nostro interesse e non per quello dell’Europa. Vivere a debito non è realistico alla lunga perché implica che qualcuno sia disposto a dare credito ed abbia fiducia nella solvibilità del debitore; ma senza finanze in ordine un paese non comanda né rispetto, né tantomeno fiducia o credito.


La terza critica, direttamente correlata alla seconda, è che le istituzioni europee, ponendo enfasi sull’austerità, non si sarebbero preoccupate di rilanciare la crescita attraverso lo stanziamento di fondi adeguati per lo sviluppo delle economie dell’Eurozona. Ma è fatto notorio che il budget della UE, che equivale a più o meno l’1% del suo PIL, è palesemente inadeguato.

Riguardo poi alla connotazione dispregiativa con cui molti politici rappresentano l’Unione europea, raffigurata come entità distante e priva di legittimazione democratica, va ricordato che l’UE non è un organismo esterno e alieno agli Stati che ne fanno parte, ma un’Unione di popoli e dei loro Stati sovrani che hanno deciso di esercitare una parte della propria sovranità attraverso istituzioni sovranazionali create per perseguire politiche e obiettivi di interesse comune. Le decisioni prese a Bruxelles sono dunque anche nostre.

Poi, soprattutto, ricordiamo che i vantaggi che gli italiani traggono dall’appartenenza alla UE e all’euro sono, oggettivamente, enormi.

L’Unione Europea ha saputo garantire ai popoli europei pace e prosperità per ben 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. In termini economici, poi, i benefici sono incommensurabili. Per menzionarne solo alcuni: 

1) la libera circolazione beni, servizi, capitali e persone ha creato un mercato unico di milioni di consumatori; 
2) la liberalizzazione dei settori delle pubbliche utilità (telecomunicazioni, energia, trasporti, poste) ha consentito un abbattimento vertiginoso delle tariffe pagate da noi utenti; 
3) innumerevoli sono le direttive UE in materia di protezione dei lavoratori, donne, fasce deboli, studenti, (si pensi al riconoscimento dei diplomi e al programma ERASMUS); 
4) la disciplina della concorrenza ha consentito di combattere cartelli e abusi di posizione dominante, mentre il controllo degli aiuti di stato ha frenato la cattiva abitudine di alcuni Stati a concedere alle imprese sussidi distorsivi, limitando lo sperpero di danaro pubblico;
5) la disciplina di tutela del consumatore ha consentito di sventare monumentali truffe ai danni dei consumatori;
6) la disciplina degli appalti pubblici ha promosso un principio benefico di concorrenza per il mercato consentendo alla pubblica amministrazione ingenti risparmi nel procacciarsi beni e servizi per la collettività. 
7) I fondi europei di sviluppo e coesione e quelli infrastrutturali, per quanto spesso mal utilizzati dal nostro paese, hanno contribuito alla realizzazione di grandi opere di interesse collettivo (per es. la metropolitana di Napoli, le reti tranviarie di Firenze, la ristrutturazione dei porti di Genova e Civitavecchia, ecc.); 
8) La tutela dell’ambiente, una delle priorità della UE, ha dato voce a esigenze per anni ignorate nel nostro paese. 
9) anche la politica di liberalizzazione degli scambi commerciali con i paesi extra-europei (WTO), sebbene faccia talvolta oggetto di critiche, a ben vedere ha prodotto molti effetti benefici: oggi noi europei possiamo esportare verso quei paesi beni e servizi a valore aggiunto; 
10) Infine l’euro, tanto criticato, ha sconfitto l’inflazione, consentendo agli italiani di contrarre mutui a tassi di interesse favorevoli per comprare casa, e allo Stato italiano – e quindi ai contribuenti- di finanziare il proprio debito pubblico risparmiando miliardi.