C'è un sentire diffuso che la campagna elettorale sia stata deludente e inadeguata. Se non cambia qualcosa, gli anni a venire vedranno un drammatico impoverimento del paese. Non c'è ragione per cui il calo del prodotto nazionale non prosegua per molto tempo. Già ora ci vorranno anni per recuperare i livelli di benessere del 2007, e di problemi di giustizia sociale e di modernizzazione ne avevamo già allora da vendere. Ora si è andati indietro. Che lo snodo principale fosse quello europeo, gli economisti più avveduti si sono sperticati a dirlo.
Ma di Europa in questa campagna si è parlato poco, e quando se ne è parlato lo si è fatto in maniera superficiale, per inadeguatezza politica, e anche per impreparazione intellettuale: di economia si mastica poco, ahimè in particolare da parte dei leader di riferimento della sinistra radicale.
La sinistra ha così lasciato a Grillo o a Berlusconi il monopolio dell'argomento europeo. Il primo ritenendo che delle grida scomposte e programmi sgangherati possano sostituire un orizzonte economico-politico su come e dove guidare il paese. In questo senso, come in altri, Grillo è stata un'occasione mancata, sebbene ancora da non confondere con l'inaffidabilità politica, morale oltre che intellettuale del Cavaliere, di cui neppure vale la pena parlare. Ma l'occasione mancata è sopratutto quella della sinistra.
Proprio facendosi forte della minaccia dell'avanzata di messaggi populisti o comunque semplicistici, essa avrebbe potuto alzare il tono del dibattito denunciando il sostegno oggettivo che a quei messaggi proviene dalle sciagurate e antipopolari politiche europee. A partire da questo stato di cose, naturale sarebbe stato per una sinistra candidata a governare porre le cancellerie europee di fronte alle proprie responsabilità, ché solo un mutamento di segno dell'Europa volto a sostenere politiche di ripresa occupazionale e di rinnovamento poteva dare una spinta vittoriosa alle forze più democratiche e responsabili. E questo poteva esser fatto mostrandosi agli elettori come coloro che senza timore e forti delle proprie credenziali possono andare in Europa a parlar chiaro con la credibilità che i demagoghi non hanno. Questo non è stato fatto, o se lo si è fatto, lo è stato in misura timida e irrisoria. E sul piano interno, piuttosto che attaccare Monti sulla sua adeguatezza come politico ed economista, forti della valanga di studi che mostrano che la sua agenda è disastrosa, lo si è continuato a corteggiare. Così sono bastati Sanremo e la rinuncia di un Papa a distogliere l'attenzione da uno stucchevole balletto elettorale fatto, diciamolo, di promesse che nessuno potrà in questo quadro mantenere.
Abbiamo la speranza che, tuttavia, il bello debba ancora venire, e che lo vedremo nel dopo-elezioni quando i nodi sociali che si sono elusi in questa deprimente campagna elettorale verranno finalmente al pettine. A meno che l'assuefazione al peggio finisca per prevalere, assecondata purtroppo da una sinistra che mai come ora ci è apparsa al di sotto delle sfide a cui le sorti del paese la chiamavano.