La Corte costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul mancato riconoscimento del legittimo impedimento che l’ex premier Silvio Berlusconi aveva opposto in un’ udienza del processo Mediaset – del primo marzo 2010 – in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri non programmato.

Il ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato era stato promosso dalla Presidenza del Consiglio nei riguardi del Tribunale di Milano, perché la corte negò il legittimo impedimento chiesto da Berlusconi e fece proseguire l’udienza. resta così pienament valida la condanna in appello a quattro anni inflitta a Berlusconi per frode fiscale, con annessa interdizione dai pubblici uffici. Aspetto, quest’ultimo, che ha infiammato la polemica politica, con Maurizio Gasparri che ha minacciato le dimissioni in massa dei parlamentari Pdl in caso di “espulsione” di Berlusconi dalla vita politica per via giudiziaria.

Nel dare ragione ai giudici di Milano, la Corte Costituzionale ha osservato che “dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall’imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la ‘non rinviabilità’ dell’impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario”.

Sul piede di guerra i legali dell’ex premier, Niccolò Ghedini e Piero Longo: “I precedenti della Corte Costituzionale in tema di legittimo impedimento sono inequivocabili e non avrebbero mai consentito soluzione diversa dall’accoglimento del conflitto proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Evidentemente la decisione assunta si è basata su logiche diverse che non possono che destare grave preoccupazione“. Secondo i legali, “la preminenza della giurisdizione rispetto alla legittimazione di un governo a decidere tempi e modi della propria azione appare davvero al di fuori di ogni logica giuridica”. In conclusione, accusano Ghedini e Longo, la decisione “ampiamente annunciata da giorni da certa stampa politicamente orientata, non sorprende visti i precedenti della stessa Corte quando si è trattato del presidente Berlusconi e fa ben comprendere come la composizione della stessa non sia più adeguata per offrire ciò che sarebbe invece necessario per un organismo siffatto”.

Nessuna dichiarazione ufficiale arriva invece dagli uffici della Procura di Milano.

E' sotto gli occhi di tutti noi lo stato di profonda crisi in cui versa la nostra democrazia.

Eppure se siamo in questa situazione miserevole lo dobbiamo in primis a chi ha dominato il paese per un ventennio, anche quando non era al governo per compiacenza della cosiddetta opposizione, e sta continuando a dominarlo grazie alle larghe intese con l’eterno copione dello statista-combattente pro domo sua.

All’opinione pubblica è stato prospettato da giorni in buona o mala fede, fate voi le proporzioni, come una sorta di litania che questa sentenza della Corte Costituzionale avrebbe determinato in un sol colpo la sorte dei processi di Berlusconi, la vita del governo, il futuro politico dei prossimi mesi. Si capisce, al di là delle intenzioni, quale sia stato il livello di pressione politico- mediatica esercitato sull’organo di massima garanzia costituzionale, senza contare i tentativi di condizionamento diretto o indiretto dietro le quinte.

Quello che non è stato detto con sufficiente chiarezza è che quando nel 2011 la Consulta decise “ la parziale” incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento stabilì anche che il beneficiario del medesimo deve indicare “un preciso e puntuale impegno” tale da determinare “un impedimento assoluto” e che è nel potere del giudice “valutare caso per caso”. Nel nostro caso, tanto per cambiare, Silvio Berlusconi, dopo aver concordato un calendario processuale ritagliato sulle sue esigenze ha convocato nel giorno dell’udienza precedentemente calendarizzata un consiglio dei ministri per varare nientepopodimeno che il pacchetto anticorruzione. Anzi come è specificato nel dispositivo della sentenza dai giudici costituzionali Berlusconi decise di far slittare il CDM dalla data originaria del 24 febbraio al giorno dell’udienza e cioè il primo marzo, senza dare spiegazioni. Forse perché erano superflue.

Come è noto Berlusconi è stato condannato in secondo grado nel processo Mediaset per frode fiscale a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici quale dominus assoluto dell’operazione finalizzata a gonfiare i diritti Tv per creare fondi neri.

Ora la condanna per diventare definitiva attende solo il vaglio della Cassazione e la sentenza dovrebbe arrivare in autunno scongiurando per una volta almeno il rischio della prescrizione che scatta solo nel 2014.

La decisione è perciò importante perché ha evitato che ancora una volta grazie ad un regime di prescrizione unico al mondo fosse scritta un’altra pagina di impunità legale a favore di un soggetto che, tra l’altro, prima di essere passibile di interdizione è da sempre ineleggibile. Ma non è stato corretto né opportuno collegare la decisione della Consulta ad “un clima generale” sui processi in corso a Berlusconi che sono numerosi e per reati gravissimi come la concussione e la compravendita di senatori.

Il conflitto di attribuzioni è stato rigettato perché era macroscopicamente infondato e naturalmente l’interessato, i suoi legali, i suoi parlamentari scudi-umani ed i giornalisti al seguito dentro e fuori le testate di famiglia lo sapevano da sempre.

L’enfatizzazione, la confusione ed il surriscaldamento del clima attorno alla pronuncia della Consulta, come se si trattasse di un’ordalia, sono state solo il tentativo maldestro di supportare la crociata antitoghe da campagna elettorale permanente, anche per compattare “le diverse anime” pidielline.

Dai falchi alla Gasparri che minacciano “le dimissioni di massa” contro “l’odioso sopruso” di una sentenza di condanna definitiva, alle “colombe” in stile Carfagna, contraria all’Aventino, ma molto sollecita ad invitare ad ribellione “dieci milioni di elettori indignati” per l’accanimento anti-silvio.