Enrico Letta ostenta serenità, ma non c’è dubbio che il destino del governo è appeso letteralmente a un filo. Peraltro, proprio in un momento assolutamente decisivo sul versante delle scelte di politica economica.

Da un lato perché questo è il momento di sciogliere i nodi rimasti aperti su temi importanti quali la riforma dell’Imu, la sterilizzazione dell’Iva, il rifinanziamento della Cig in deroga. Dall’altro, perché si avvicina il varo della legge di stabilità 2014, la norma che dovrebbe ridisegnare la politica economica in senso più espansivo per accompagnare la ripresa e creare lavoro.

Si gioca tutto in pochi giorni. Oggi il primo banco di prova sarà la riunione di Consiglio dei ministri che dovrebbe licenziare il pacchetto D’Alia sui precari del pubblico impiego e l’Agenzia per il riuso dei fondi europei per lo sviluppo non utilizzati. A quanto si conosce un’intesa nella maggioranza già è stata raggiunta. Poi mercoledì sarà la volta della decisione sull’Imu.

Sarà durissima. Il clima è già rovente. «Non pensi Saccomanni di arrivare in Consiglio dei ministri con una proposta «prendere o lasciare» sull’Imu. Dati i tempi non penso che sarebbe produttivo», avvisa il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, che sostiene di non avere notizie dal ministro dell’ Economia, e nessuna risposta dal lontano 22 luglio.

Anche se nel frattempo Saccomanni ha diffuso un dossier di 105 pagine con nove possibili ipotesi di riforma dell’imposta per il 2013. A Brunetta risponde duramente il viceministro dell’Economia Stefano Fassina, del Pd. «Le risorse per cancellare l’Imu sulla prima casa non sono sufficienti ad esentare anche le abitazioni di lusso - spiega - vorrei che il Pdl prestasse attenzione non solo verso chi ha appartamenti di 400 metri quadrati, ma anche verso chi rischia di non vedere rifinanziata la Cig in deroga».

Posizioni e tensioni che non rassicurano il premier Letta, che tornando dall’Afghanistan dove ha visitato le basi italiane, ha detto ai giornalisti che «buttare a mare tutto in questo momento sarebbe una follia».

Certo è che se ci fosse una crisi di governo la fittissima agenda parlamentare e di governo verrebbe letteralmente dinamitata. L’Ufficio di presidenza della Giunta delle Elezioni di Palazzo Madama si riunirà il 4 settembre per decidere il calendario dei lavori, mentre per il 9 è già fissata la seduta per l’intervento del relatore Andrea Augello.

Alla Camera è approdato il decreto legge contro il femminicidio, ma anche per l’arresto differito in occasione delle manifestazioni sportive e sulle competenze dei commissari delle Province in attesa del riordino delle stesse.

Il 6 settembre dovrebbe essere votato il disegno di legge che definisce il percorso delle riforme costituzionali. Letta al Meeting di Rimini aveva chiesto un’accelerazione sulla legge elettorale, e a Montecitorio, è stata decisa la procedura d’urgenza, ma il clima è pesante. E non meno complicato si annuncia il cammino di altri tre provvedimenti che attendono di essere esaminati alla Camera per passare poi al Senato: riforma del finanziamento ai partiti, legge contro l’omofobia e modifica delle norme sulla diffamazione per arrivare all’ eliminazione del carcere per i giornalisti.
Tutto questo marasma in una situazione contingente quanto mai drammatica solo e soltanto per salvare Silvio Berlusconi dalla decadenza come Senatore della Repubblica. Naturalmente i falchi e le colombe del PDL hanno pensato bene che far cadere il governo su un tema tanto importante come la pressione fiscale sarebbe stato più facilmente giustificabile rispetto al tema della persecuzione giudiziaria del Cavaliere, anche rispetto al proprio elettorato.

E' però vero che chiunque sia dotato di un minimo di buon senso e di malizia capisce che la motivazione che spinge verso la crisi di governo è solo il ricatto fatto da Berlusconi al PD, far venir meno le larghe intese e quindi il governo se si votasse a favore della decadenza. Ma qui in gioco non c'è alcuna "questione democratica". C'è solo da uniformarsi alle regole dello Stato di diritto, rispettando la separazione dei poteri, se non vogliamo diventare una Repubblica delle banane.