A 10 anni dalla introduzione dell'euro, la moneta unica europea, è forte più che mai la nostalgia per la vecchia moneta. Cresce la malinconia  per i tempi andati, risuona il celeberrimo detto "era meglio quando si stava peggio" tramandato dalla tradizione popolare ma il cui fondo di verità non scopriamo per caso, oggi.
"Era meglio quando c'era la lira!". Sappiamo bene che i sentimenti nostalgici si palesano soprattutto in tempi difficili, nei momenti complicati, nelle situazioni più difficoltose.
Così, in questi tempi di crisi, con pensioni e stipendi che vedono decurtarsi quasi quotidianamente il proprio potere d'acquisto avremo sicuramente assaporato la nostalgia del vecchio conio, la moneta passata, la vecchia e cara Lira!
Anzi per molti, imprenditori e non, la colpa della  attuale situazione contingente negativa è da attribuirsi proprio all'introduzione dell'euro, la moneta unica europea che, nei piani dei governanti del vecchio continente avrebbe dovuto portare prosperità economica e stabilità finanziaria.
Perché non tornare alla lira? Gli economisti concordano con il dire che se tornassimo alla lira, l'Italia potrebbe fallire nel giro di una settimana. Uno scenario da incubo. La "nuova" lira partirebbe svalutata del 50% rispetto al cambio attuale. La svalutazione verrebbe naturale perché nessuno si fiderebbe più del nostro paese (pieno di debiti), assisteremmo ad una ingente fuga di capitali.
Non solo, ma la svalutazione sarebbe l'unico modo per rendere competitive le nostre aziende all'estero. Però con la svalutazione ci ritroveremmo con 1 euro pari a 3.000 lire e, a questo punto, sarebbe impossibile pagare l'enorme debito pubblico (1.900 miliardi di euro di euro), già incolmabile oggi, non avremmo le risorse finanziarie sufficienti ad onorare il clamoroso debito sovrano.
Il fallimento dello Stato, il famigerato default di oggi, porterebbe al fallimento di molte banche ( esposte in euro con l'estero), e di altrettante imprese. Con la "nuova" lira, svalutata del 50%, potremmo senz'altro attirare turisti dall'estero, ma dovremmo anche comprare petrolio. E il greggio, (lo sappiamo bene se abbiamo fatto una sosta dal benzinaio in questi primi giorni del 2012), costa caro e si paga in dollari. Il prezzo della benzina aumenterebbe a dismisura toccando livelli record e porterebbe in dote anche un aumento dell'inflazione che nel giro di pochi giorni arriverebbe al 10%.
Ci sarebbe immediatamente il problema delle pensioni: l'Inps, infatti, investendo in titoli di stato, con il default dell'Italia non avrebbe le risorse finanziarie necessarie per pagare le pensioni.
Molti economisti stimano che una uscita dell'Italia dall'euro costerebbe ad ogni singolo cittadino circa 10mila euro all'anno per almeno un decennio (gli italiani con gli stipendi decurtati non sarebbero in grado di compare le case, il cui valore subirebbe un evidente contraccolpo).e, infine, alcuni analisti di banche d'affari americane non escludono l'insorgere di disordini sociali.
Uno scenario preoccupante se non addirittura allarmante. Nell'euro ormai ci siamo, tocca rimanerci evidentemente. L'appello alla classe politica è di ridisegnare un modello di sviluppo e di società civile nel quale ognuno sia chiamato a contribuire al bene comune proporzionalmente alle proprie capacità ed improntato a criteri di giustizia sociale e di legalità. Ma si sa, chiedere ad un politico uno sforzo di onestà è come chiedere la verginità ad una prostituta in un bordello.