Da uno studio della Funzione pubblica emerge che nel 2010 enti territoriali, università e aziende sanitarie hanno disperso oltre un miliardo e mezzo di euro in 276mila incarichi inutili, figure professionali esterne spesso doppioni rispetto ai già abbondanti dipendenti statali
Illustrazione di Marilena Nardi
Ogni anno l’Italia spende 2 miliardi di euro in consulenze pubbliche (fonte Corte dei Conti). Carburante che Regioni, Province, università e aziende sanitarie disperdono in migliaia di incarichi (276 mila per l’esattezza) più o meno inutili, più o meno bizzarri.

Figure professionali esterne che diventano doppioni rispetto ai già abbondanti dipendenti statali. Il ministero per la Funzione Pubblica ha pubblicato le auto-certificazioni relative al 2010; la somma complessiva è di oltre 1,675 miliardi di euro, ma qualche furbo – i comuni di Roma o Napoli (mandato Rosetta Iervolino) e persino il governo – omette i particolari: e la cifra, seppur enorme, dimagrisce. Senza cancellare, però, decine di sprechi che saltano di qua e di là in mezzo a migliaia di pagine. Un elenco impressionante che i sindaci d’Italia – 550 milioni di euro dichiarati, in realtà tanti di più – riempiono con commissioni a volte assurde e a volte cinematografiche: indagini per censire i piccioni; monitoraggio per le mosche che aggrediscono le olive e per l’insetto che distrugge le viti; corsi per estetica e accoglienza; esperti di risparmio energetico che consigliano di spegnere le luci in casa; sedute di ginnastica cinese, mediatori culturali arabi; calendari per la polizia municipale, loghi per i parchi cittadini. E poi milioni di euro in contenziosi legali sempre ai soliti studi; esosi atti notarili; architetti di lusso. I comuni grandi non badano a spese, anche se durante l’esame ministeriale insabbiano i dettagli; i comuni piccoli faticano a distribuire il malloppo che ricevono, ovviamente non risparmiano né denari pubblici né avventurose consulenze: a Benevento c’è un meteorologo municipale, a Ginosa (20 mila abitanti) la comunicazione costa oltre 100 mila euro, contratti divisi in otto contrattini per non scontentare nessuno.

La relazione ministeriale, che cerca di contenere rivoli che esondano, precisa un fatto semplice per intuizione: i nostri enti pubblici preferiscono assegnare le consulenze a persone esterne all’amministrazione. I dipendenti non s’avvicinano nemmeno a quei rapporti di lavoro occasionale che superano i 15 mila euro. Il ministero, ottimista, spera che i vari Comuni e Regioni, in futuro, restituiranno il denaro di troppo, che non serve nemmeno per “il benessere e lo sviluppo dei cittadini” (succede a Parma, 400 mila euro). Non sfugge la passione dei centri anche minuscoli per consulenze edilizie per decine di migliaia di euro né per i giornalini-megafono di sindaci e assessori. E quante docenze, musiche e arte ovunque, a forte intensità, per quei borghi dove non nascono più bambini, ma fiorisce la fantasia.

fonte: il fatto quotidiano