Alla vigilia delle elezioni amministrative, ecco presentarsi puntuale l’ennesimo scandalo: la Lega di Bossi travolta dall’inchiesta sull’uso illegale dei fondi dei partito. Trattasi di crollo di tipo esponenziale, un crollo al quadrato – se così si può dire – visto che la Lega aveva fatto della sua “purezza” un elemento distintivo. E, come è accaduto per tutti gli altri casi analoghi, anche qui compare un demiurgo che promette di “fare pulizia”.
Al ripulitore i migliori auguri. A noi, spettatori di un dramma ripetutosi infinte volte da quando Tangentopoli ha trasformato il garantismo in giustizialismo, tocca tornare a riflettere sul rapporto tra morale e politica, la politica dei politici – ovviamente – non quella dei tecnici.
Potrà sembrare banale, ma la prima osservazione – di fronte al “crollo”, peraltro annunciato, del movimento leghista – è che la morale sta ben prima della politica; essa riguarda tutti e non solo i personaggi che volta per volta vengono sbattuti in prima pagina da inchieste, il cui tempismo non può essere considerato neutro rispetto agli effetti che produce. Il senso morale è un fattore costitutivo dell’io, riguarda noi, e non va confuso con lo sdegno sollecitato (spesso ad arte) dai media verso gli altri. Desideriamo tutti essere morali, consistenti, non trascinati verso azioni che negano il nostro desiderio di purezza, di bontà, di coerenza. È un desiderio che permane e ci pervade, sollecitato non solo dalle rare azioni nobili ma, anche, da tutti gli errori che quotidianamente compiamo, noi e gli altri. Così, il senso morale vero, radicato nel profondo, non muove a sbrigative condanne; anzi, esso può anche risultare potenziato davanti allo spettacolo impietoso della debolezza umana, come dimostra il senso di stima che molti hanno manifestato verso Bossi, pur nello stigma che lo segna indelebilmente e con lui tutta la Lega, a seguito del suo accorato riconoscimento dell’errore compiuto: rendere l’onore delle armi allo sconfitto è, infatti, anch’esso un segno di moralità, non imposto da nessuna legge ma semplicemente dovuto.
Altrettanto banale, in quest’ora che ha l’amaro sapore di tragedia, è ricordare che oggi il discorso politico risulta povero, impoverito certo per i continui scandali, ma non solo per questo, non primariamente per questo – si sarebbe tentati di dire. Il fatto drammatico è che oggi, se non invoca la questione morale, la politica sembra impotente a legittimarsi. 
Lo stesso Alfano, insediandosi, non ha mancato di inchinarsi alla Dea Onestà e, implicitamente, ai suoi sacerdoti. Eppure la legittimazione politica non deriva direttamente dalla correttezza etica; essa ne è il presupposto tanto indispensabile quanto insufficiente. L’incapacità a formulare e sostenere un progetto di sviluppo per le nostre società vessate dalla crisi economica è, credo, il vero problema “morale” da tenere presente, come questione aperta rispetto ai nostri comportamenti (mores) come singoli e come gruppi. La ragion d’essere della politica è la capacità di una progettualità alta e lungimirante: questo determina la moralità in senso pieno (non ridotto) di chi vi si impegna. Ultimamente, una questione di ragione e non solo di rispetto del codice etico.
Pertanto, se ci si chiede quali siano i doveri di un uomo politico o di un partito cui il popolo conferisce la rappresentanza in vista della costruzione di un bene comune, si avverte che la moralità personale non basta. Vi è ben altro, in aggiunta, altro che in questo momento sembra essere oscurato sotto il peso della corruzione, ovviamente enfatizzata a dovere, cosicché chi propone come progetto politico quello di “fare pulizia” o di creare un partito di onesti, ha già tutti dalla sua. Così non va. Non accontentiamoci di ripulitori.  Occorre ben altro per ridare fiato al Paese.