"Il 99% dei contribuenti italiani ha effetti positivi" dalle misure sull'Irpef e sulle deduzioni e detrazioni. A sostenerlo il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, in un'audizione in Parlamento.

"Dalle banche dati dell'Agenzia delle entrate, dei 40 milioni di contribuenti, 30 milioni hanno sicuramente un effetto positivo, mentre un effetto non positivo o negativo si ha per circa 450mila contribuenti", ha detto Grilli.

Caro Grilli facciamo un pò di conti insieme, scopriamo perché lei è menzognero al 100%...

Il disegno di legge di stabilità 2013-2015 interviene in più punti e con diverse fasi temporali sulla struttura delle due più importanti imposte del nostro sistema tributario, l'Irpef, con il taglio di agevolazioni e la riduzione delle prime due aliquote, e Iva, con l'incremento, seppure dimezzato rispetto a quanto già previsto, dell'aliquota ordinaria e di quella intermedia. Nel comparto delle famiglie la manovra a regime vale complessivamente circa un miliardo di sgravio fiscale. L'importo è modesto, non sufficiente a sostenere la crescita. Ma soprattutto, sul piano distributivo, il tax shift da Irpef a Iva non avvantaggia i livelli più bassi di reddito mentre in questa fase congiunturale l'alleggerimento fiscale dovrebbe al contrario concentrarsi proprio sulle fasce più povere dei contribuenti. Questa performance redistributiva assai insoddisfacente deriva dal combinarsi dell'aumento dell'Iva, imposta di per sé regressiva rispetto al reddito, con la riduzione delle aliquote più basse dell'Irpef di cui tuttavia non possono approfittare proprio i contribuenti più poveri, che già oggi sono incapienti per l'operare della no tax area. Per mitigare il vantaggio fiscale che la rimodulazione delle aliquote Irpef consente ai contribuenti relativamente più ricchi, oltreché per ragioni di gettito, il governo ha previsto, come detto, una stretta pressoché lineare sulle agevolazioni fiscali. È un dare e togliere che poteva essere meglio rimodulato nei suoi esiti distributivi. Inoltre, il ddl di stabilità prevede soltanto il taglio delle aliquote legali e non interviene, come sarebbe stato necessario, anche sulla struttura delle detrazioni per carichi di lavoro, che non sono più coerenti con la nuova aliquota del 22%. Una svista che dovrà però essere corretta. Per valutare gli effetti redistributivi che la manovra Irpef-Iva avrà sulle famiglie abbiamo utilizzato un modello di microsimulazione fiscale basato sui dati dell'indagine Banca d'Italia sui redditi familiari e dell'indagine Istat sui consumi. Per quanto riguarda l'Irpef, dalla revisione delle agevolazioni fiscali il 42,6% delle famiglie non subisce alcun aggravio di imposta rispetto alla situazione attuale, mentre il rimanente 57,4% vede aumentare il prelievo. Le cose cambiano quando confrontiamo l'impatto per decili di reddito: la stretta sugli oneri fiscali penalizza la maggior parte delle famiglie a partire dal quinto decile, anche se l'aggravio medio è relativamente contenuto. Nei primi due decili di reddito le famiglie che subiscono un aggravio sono poche, poiché qui incide fortemente il fenomeno dell'incapienza. 

Peraltro, la prevista franchigia di 250 euro per i contribuenti con reddito superiore a 15 mila euro opera su ogni spesa fiscale individuata dalla manovra: il debito d'imposta cresce dunque all'aumentare delle tipologie di spese fiscali e quindi non è coerente con il principio di equità orizzontale. Rispetto a un taglio lineare parametrato su ciascun onere sarebbe stato più coerente, così come avviene per le detrazioni per lavoro e famiglia, prevedere una decrescenza lineare rispetto al reddito per l'ammontare complessivo. Ciò avrebbe evitato anche il salto d'imposta al superamento dei 15 mila euro: il ddl di stabilità introduce un incentivo ad evitare di superare tale soglia, incentivo che può essere particolarmente conveniente per i lavoratori autonomi. 
Il taglio delle aliquote Irpef riduce il debito di imposta per l'85,2% delle famiglie, mentre lascia invariata la posizione fiscale del restante 14,8%; ma le famiglie che beneficiano della manovra, a causa dell'incapienza dei contribuenti più poveri, si concentrano soprattutto nelle fasce alte di reddito. Considerate congiuntamente, le due componenti della manovra IRPEF, agevolazioni più aliquote, producono un aggravio soltanto per l'1,8% del complesso delle famiglie, mentre l'83,3% guadagna e il 14,8% è indifferente. Guardando alla composizione per fascia di reddito è evidente che la quota dei contribuenti che si avvantaggiano è tutta sbilanciata a favore delle famiglie con redditi medio-alti e ciò perché, come detto, la riduzione delle aliquote non avvantaggia i redditi bassi.
In termini percentuali di reddito il risparmio di Irpef è pari allo 0,54% del reddito delle famiglie nel loro complesso. Dal terzo al nono decile di reddito si ottengono, in media, vantaggi superiori, mentre molto più contenuti sono i risparmi percentuali per il secondo e per l'ultimo decile. Rimane sostanzialmente invariata la situazione del primo decile. Passando all'aumento del l'Iva, l'aggravio a regime è invece nettamente decrescente rispetto al reddito familiare a conferma del carattere regressivo di questa imposta: da 1,1% per il primo decile allo 0,26% per per l'ultimo.

Se si considera solo il taglio di un punto delle due aliquote più basse dell'Irpef, oltre 30 milioni di contribuenti ottengono uno sgravio, in media di 151 euro. Mentre il debito Irpef resta invariato per altri 10 milioni di contribuenti, per lo più incapienti. Ma se a questo si aggiunge l'aumento dell'Iva, il discorso cambia. I primi due decili subiscono un aggravio fiscale, che sarà dell'1 per cento per il primo. Tra il terzo e il nono decile il prelievo diminuisce rispetto a oggi in misura pressoché costante, attorno allo 0,2-0,3 per cento. Immutata la situazione per l'ultimo decile.


Davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato, il 23ottobre, il ministro dell’Economia, a commento del disegno di legge di stabilità, ha affermato che il 99 per cento dei contribuenti Irpef pagherà meno imposte per gli interventi fiscali proposti. Più precisamente, ancora secondo le dichiarazioni del ministro, 30,8 milioni di contribuenti Irpef beneficeranno di una riduzione fiscale con un guadagno medio di 160 euro. Si tratta di valutazioni, come ha precisato il ministro, che fanno riferimento alla sola manovra sull’Irpef.
Le affermazioni del ministro necessitano di qualche approfondimento e precisazione.

QUANTI SONO I CONTRIBUENTI IRPEF

Un primo punto, forse frutto di una svista, ma certamente di un qualche peso in termini di annuncio, riguarda la coerenza delle cifre presentate. I contribuenti Irpef totali sono circa 41 milioni e quindi i conti non tornano se si dice che dalla manovra guadagneranno 30,8 milioni di contribuenti Irpef e poi si afferma che si tratta della pressoché totalità (99 per cento) dei contribuenti. Una possibile spiegazione ex-post di questa contraddizione sta nel fatto di includere tra “coloro che ci guadagnano” anche “coloro che non ci perdono”. Infatti dalle nostre elaborazioni risulta che effettivamente 30,5 milioni di contribuenti Irpef ottengono uno sgravio (di ammontare medio di 151 euro) ma poi ci sono altri 10 milioni che vedono il proprio debito Irpef totalmente invariato. Si tratta in massima parte di contribuenti “incapienti”, cioè di soggetti che hanno un reddito sotto la linea della “non imposizione” e su cui pertanto la manovra Irpef non ha alcun effetto.

SE AGGIUNGIAMO LA MANOVRE SULL'IVA

La seconda osservazione riguarda il fatto che le cifre illustrate dal ministro raccontano soltanto un pezzo della storia, quella dell’Irpef. Ma la manovra fiscale ha il suo punto qualificante nella scambio “meno Irpef - più Iva” prevedendo, accanto agli interventi sulle aliquote e sulle agevolazioni Irpef, anche l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva al 22 per cento e l’aliquota intermedia all’11 per cento. E quando accanto agli interventi sull’Irpef si considerino anche quelli sull’Iva la storia cambia radicalmente.
In realtà ci sono due modi per valutare l’effetto dell’aumento dell’Iva.
In primo luogo, si può valutare la rimodulazione dell’Iva guardando a che cosa sarebbe successo a legislazione vigente, cioè considerando che il precedente governo aveva già previsto di aumentare le due aliquote superiori. In questa prospettiva, le aliquote Iva scendono dal 23,5 per cento e dal 12,5 per cento a 22 e 11, rispettivamente, e di conseguenza, ovviamente, tutte le famiglie ricevono uno sgravio dalla manovra.
Diversa è la questione se si valuta manovra Iva rispetto a oggi perché in questo caso le due aliquote aumentanodi un punto percentuale rispetto al regime attuale. L’aumento dell’Iva incide maggiormente sulle famiglie più povere: l’imposta sul valore aggiunto è una imposta regressiva rispetto al reddito, pur essendo moderatamente progressiva rispetto ai consumi. Complessivamente, pertanto, i primi due decili vedono aumentare il carico fiscale, mentre dal terzo al nono decile il prelievo complessivo diminuisce lievemente. Per l’ultimo decile, infine, la situazione rimane invariata.
Se ci si muove in questa seconda prospettiva, ), la manovra congiunta Irpef-Iva produce sui bilanci familiari uno sgravio seppure di dimensioni limitate (circa un miliardo, cioè lo 0,1 per cento del reddito disponibile). (1) Il taglio delle aliquote Irpef riduce il debito di imposta per l’83,3 per cento delle famiglie, mentre lasciano indifferente il 14,8 per cento e penalizza soltanto l’1,8 per cento; ma le famiglie che beneficiano della manovra, a causa dell’incapienza dei contribuenti più poveri, si concentrano soprattutto nelle fasce alte di reddito (tabella 1). Il quadro cambia quando si aggiunge l’impatto dell’Iva: i primi due decili subiranno in realtà un aggravio fiscale, che sarà piuttosto rilevante nel caso del primo (+1 per cento). Tra il terzo e il nono decile, invece, il prelievo diminuirà rispetto a oggi in misura pressoché costante, attorno allo 0,2-0,3 per cento. Invariata sarà invece la situazione per l’ultimo decile.